Per questo tempo sospeso | Consigli di lettura per i giorni di quarantena
Nonostante tutto, sta arrivando la primavera.
Gli unici che sembrano non accorgersi di quello che sta accadendo sono gli uccellini che si affacciano al mondo dal nido sotto la grondaia, nati appena.
Il loro concertino chiassoso invade il balcone e mi commuove fino alle lacrime, mentre il sole avanza con la sua solita calma e benedice la crassula e il basilico.
«Queste misure provocheranno disagio ma questo è il momento dell’auto-responsabilità, non del fare i furbi. Dobbiamo tutti aderire. Per tutelare la nostra salute, dei nostri cari, dei nostri genitori e soprattutto dei nostri nonni»
8 marzo 2020, Dichiarazioni alla stampa del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte
Sono ad Asti a casa dei miei genitori e sono felice di essere insieme a loro.
La città è da poche ore una zona “chiusa” e non so quando potrò rivedere il mio fidanzato, i miei amici, la mia città: ma tutto questo importa così poco in questo momento che mi sembrerebbe solo un vezzo lamentarsene.
Ho la fortuna, che ora è quasi una vergogna, di non avere un lavoro di cui dovermi occupare e di poter soltanto studiare. So che nel mezzo senza fondo del dolore degli altri, delle loro preoccupazioni e della loro stanchezza che sembra già vecchia io sono una privilegiata.
In questi giorni abbiamo mancato di responsabilità gli uni verso gli altri, soprattutto verso i più deboli. Queste misure sono necessarie.
Ma questo tempo sospeso, questo tempo lento è un terreno fertilissimo per i libri.
Ho pensato di consigliarvene alcuni se non sapete cosa fare e cosa leggere in questi giorni: li ho scelti pensando al momento che stiamo vivendo, che stiamo vivendo insieme (trovate un po’ di conforto in questo?) e spero che per qualcuno possano essere buoni consigli.
Coraggio, vogliamoci bene.
1) Il vagabondo delle stelle, Jack London (Adelphi)
Il fascino di Jack London mozza il fiato: esiste qualcosa che non abbia vissuto, sperimentato, provato?
Il fiume in piena, l’uragano, la belva selvaggia ed indomabile che è stato Jack London è il cuore del Vagabondo delle stelle.
Il romanzo si camuffa da lascito narrativo del suo protagonista circa il suo “vagabondare tra le stelle”. Carcerato e condannato a morte, rinchiuso per anni in una cella di isolamento e ripetutamente torturato con la camicia di forza, Darrell Standing trova una via di fuga nella propria mente e scopre in se stesso racconti di molteplici vite vissute in luoghi e tempi lontani e vicini: dalla Francia dei cavalieri al Far West dell’800, dalla Corea cinquecentesca alla Gerusalemme di Ponzio Pilato.
Imprigionato, torturato, seviziato nel corpo, fino a non sembrare nemmeno più un essere umano, Darrell Standing resta libero, perché libera e salva resta la sua mente.
Il vagabondo delle stelle è la più disperata, lirica, disarmante ode all’evasione — al potere dell’evasione della mente umana.
«Solo, ho dentro di me tanta di quella vita che non potrete mai venirne a capo. Datemi cento giorni di camicia di forza, se volete, ne uscirò col sorriso sulle labbra»
2) Tutti i racconti, Grace Paley (SUR)
Nonostante siano moltissimi gli scrittori maschi che hanno alimentato le fornaci della tradizione del grande racconto statunitense — da Hemingway a Carver, da Salinger a Fitzgerald, da Sherwood Anderson a Truman Capote — ci sono scrittrici che ce l’hanno fatta, ad uscire dalle asfittiche cantine del patriarcato e a raggiungere le vette dei loro colleghi. Flannery O’Connor. Dorothy Parker. Grace Paley.
L’edizione Einaudi dei racconti di Grace Paley — scrittrice, poetessa e attivista per la pace e per i diritti delle donne — è stata per moltissimi anni fuori stampa e impossibile da rintracciare se non sui banchi di qualche rigattiere di quartiere: circa un anno fa, però, la casa editrice SUR ne ha curato una nuova, bella traduzione così che oggi l’ironia frizzante della sua scrittura è una medicina a portata di mano per tutti.
L’ironia è un’arma potente con cui cavalcare la vita, con cui scendere dal letto la mattina. È la candela che tutti conserviamo sul fondo dei nostri cassetti pieni di cianfrusaglie e che ci serve quando va via la corrente.
I racconti di Grace Paley — storie della working class newyorkese, di “famiglie, bisticci, pettegolezzi, storie di sesso e divorzi, un miscuglio di razze e culture che coesistono non sempre pacificamente, di generazioni che stentano a capirsi” — sono vivaci, quotidiani, poetici, realisti, scanzonati, irriverenti.
Sono le perline di un braccialetto tenute insieme dal filo d’argento dell’ironia.
3) Tutte le poesie (1969-2015), Milo De Angelis (Mondadori) + Le poesie, Amelia Rosselli (Garzanti)
C’è sempre un dolore nascosto, sotterraneo, un dolore sottobosco che mi prende quando leggo poesie.
Alla domanda “Che cos’è la poesia?” Milo De Angelis risponde: «Tutto, nella commozione assoluta del ritorno, si deposita in noi, attende di essere nominato».
La poesia conosce molti modi per salvare vite e uno di questi è vivificarne i colori, alzare i volumi, dare peso alle cose, dare loro un nome.
Per leggere una sola poesia ci vuole tutta una vita, tutta la concentrazione della nostra senzienza e della nostra memoria; al contrario, per leggere una raccolta di poesie non serve niente: dobbiamo mollare la presa, lasciar andare, avere tempo da dare.
Ci sono due raccolte, in particolare, che non si posso frequentare a tratti ma hanno bisogno che ci si immerga fino al collo, che si abbia tempo, che l’onda sia lunga, che sia calma: Tutte le poesie. 1969-2015 di Milo De Angelis e Le poesie di Amelia Rosselli.
“I SUONI GIUNTI”
Il lupo è ancora sotto la coperta
e occorrono mille domande per capirlo
anche se la voglia
è di credere subito a tutto
pronunciando un grazie silenzioso e intenso
l’unità della sabbia, la mano destra che tocca
la sinistra luminosa delle statue egiziane
una calma che resta,
rifiorisce nel rito, questo giugno
di una preghiera esaudita
la maestra, le scale
e nel grembo c’è il colore dei capelli
e poi il minuto d’oro,
il verde scuro del limone.
(da Somiglianze, Milo De Angelis, in Tutte le poesie. 1969-2015, Mondadori, 2017)
“C’è come un dolore nella stanza…”
C’è come un dolore nella stanza, ed
è superato in parte: ma vince il peso
degli oggetti, il loro significare
peso e perdita.
C’è come un rosso nell’albero, ma è
l’arancione della base della lampada
comprata in luoghi che non voglio ricordare
perché anch’essi pesano.
Come nulla posso sapere della tua fame
precise nel volere
sono le stilizzate fontane
può ben situarsi un rovescio d’un destino
di uomini separati per obliquo rumore.
(da Documento. 1966-1973, Amelia Rosselli, in Le poesie, Garzanti, 2019)
4) L’arte della gioia, Goliarda Sapienza (Einaudi)
La terra che abitiamo ci ha dato tanti scrittori e tante scrittrici. Anche limitando lo sguardo al solo Novecento, possiamo sgranare un rosario di nomi-santi, di nomi più che maiuscoli, di nomi fatti della materia di cui sono fatte le pietre.
Non so perché, oggi, di questi nomi mi sia venuto in mente proprio quello di Goliarda Sapienza: volevo che ci ricordassimo di appartenere gli uni agli altri, e tutti alla stessa cultura e alla stessa terra, Italia.
Per qualche motivo ho pensato a Goliarda.
L’arte della gioia, lo lessi un paio di anni fa d’estate, in spiaggia, e infatti le pagine conservano il giallo stanco e macchiato del passaggio del sole e l’umidità della salsedine.
Ricordo che andavo al lido più vicino alla casa di mia nonna, da sola, a piedi, di pomeriggio.
In tutta la zona era stato disposto il divieto temporaneo di balneazione a causa dell’inquinamento del mare e quindi in spiaggia non trovavo mai nessuno: gli ombrelloni erano quasi tutti chiusi, i giochi dei bimbi accatastati con ordine, solo uno scarso via vai attorno al chiosco delle bibite e dei ghiaccioli creava l’impressione del mormorio umano.
Arrivavo ogni giorno alle tre. Un bagnino gentile apriva per me una sdraio e un ombrellone in quarta o quinta fila, e io passavo così qualche ora a leggere il mio libro, addormentandomi di tanto in tanto cullata dal vento e dallo sciacquio dolce delle onde.
Forse il silenzio innaturale di questi giorni mi ricorda il silenzio di quei pomeriggi.
L’arte delle gioia è un romanzo di formazione femminile: racconta la vita siciliana della sua protagonista, Modesta, dall’infanzia meschina agli anni in convento, a quelli alla villa del Carmelo, fino alla vita a Catania, lungo quasi un secolo di storia italiana.
Se penso a Modesta penso ad un enigma, in cui si mescolano forza e sensualità, determinazione ed eros, il ferro e il fuoco.
La sua è una storia di conquista, di affermazione del sé, di scoperta: una storia tutta votata a cercare di sbrogliare l’enigma e la matassa dell’emancipazione della condizione femminile della prima metà del Novecento.
5) I Maigret, Georges Simenon (Adelphi)
Mi piace leggere Simenon perché mi piace Maigret: in sua compagnia mi sento a mio agio, al sicuro e in buone mani.
Il commissario Maigret è un uomo abitudinario, un buongustaio della cucina francese e un indefesso fumatore di pipa.
A volte è burbero, ma irrimediabilmente bonario.
Maigret, soprattutto, è un uomo affidabile.
Credo che i buoni gialli si riconoscano non tanto dall’architettura del delitto — che, se ben pensato, si ha pur prescia di risolvere in preda ad una specie di febbre — ma piuttosto nel piacere che si prova a stare in compagnia di un personaggio, che sia un commissario, un ispettore o un investigatore privato.
Ci si affeziona a lui nel ritrovarlo in situazioni routinarie — rotte, ad un certo punto, dal crimine — e imparando a poco a poco a conoscerlo, circondato da uno sciame di personaggi secondari ricorrenti e inconfondibili.
L’abitudine della frequentazione a puntate porta a credere di conoscere davvero colui di cui si legge e pare ci stia davanti.
Simenon sa raccontare la vita umana — questo groviglio di miseria, e dignità, e cattiva sorte, e amore, e violenza, e tenerezza che si nasconde nelle pieghe di ogni storia e viene in superficie nei dettagli più piccoli: una scucitura nel vestito, un modo di intrecciare le mani, uno sguardo febbricitante, la montatura di un paio di occhiali — e sa raccontarla con una scrittura tanto empatica quanto meccanica per quanto è perfetta.
La cornice del giallo rende il meccanismo umano quasi consolatorio, rassicurante, protettivo, dotato di senso. Sembra dirci: finché possiamo contare su Maigret, non c’è niente di cui preoccuparsi.
6) Guerra e pace, Lev Tolstoj (Einaudi o Garzanti)
Ho pensato che il tempo dilatato, surreale, insonne di questi giorni sia un momento fecondo per leggere un classico (d’altra parte, esiste un momento che non lo sia?): Madame Bovary, Moby Dick, I viceré, Il rosso e il nero, Grandi speranze, L’idiota, I Buddenbrook, Il mulino sulla Floss, L’età dell’innocenza, Don Chisciotte — sono un esercito della salvezza a nostra disposizione.
Tra tutti ho scelto il mio preferito, Guerra e pace, perché il libro che avevo in borsa prima dell’inizio della “quarantena” era Tolstoj di Pietro Citati: un bellissimo saggio sulla scrittura e le opere del più grande autore russo (parafrasando la poetessa polacca Wisława Szymborska, che preferiva Dickens: “preferisco Tolstoj a Dostoevskij”).
Citati, che con Tolstoj ha addirittura vinto il Premio Strega nel 1984, ha i superpoteri nel farti innamorare di uno scrittore o di un libro: l’ho già sperimentato con La morte della farfalla, dedicato a Zelda e Francis Scott Fitzgerald, e con La mente colorata, agile saggio su Ulisse e l’Odissea. E non vedo l’ora di leggere le sue opere dedicate a Kafka, a Leopardi, a Proust e così via.
Avevo scelto di leggere il saggio di Citati per capire meglio Anna Karenina, ma non sapevo che si stavano preparando in me le sementi di un altro raccolto: Guerra e pace.
Guerra e pace mi ha rapita con una tattica lenta, come tutti gli amori definitivi.
Ad un originario dolore sordo per il principe Andrej, che ancora mi accompagna, si è aggiunta con gli anni una certa fascinazione per Nataša, una certa invidia per la sua purezza e leggerezza; e la mia simpatia per Pierre è andata col tempo traendo forza e stabilità dall’architettura e dalle filosofie che sorreggono questo universo perfetto.
Le parole-chiave del mio sentimento per Guerra e pace potrebbero ora essere queste: devozione e struggimento.
Grazie a Citati ho capito finalmente che non c’è un solo filo d’erba, un solo merletto, un solo bicchiere che io non ami di questo incredibile prodigio della parola umana.
Non c’è cosa che in questi giorni gli chiederete che non vi verrà data.
«Non lo sapeva e non lo avrebbe creduto, ma sotto quello strato di fango che le sembrava impenetrabile e che aveva sommerso la sua anima, già cominciavano a spuntare sottili e teneri, giovani fili d’erba, che avrebbero finito col mettere radici e col ricoprire con i loro germogli pieni di vita il suo dolore, cosicché presto esso sarebbe scomparso del tutto. La ferita guariva dal di dentro»