Condusse me. Viaggio al centro di Giulio Rincione
Un varco dalle fattezze umane tutt’altro che rassicuranti si apre in un albero, al termine di un sentiero in cui la luce è appena percepibile in lontananza. La porta, il passaggio, sono elementi centrali in questa storia.
“Se entri, sarai dio.
Se esci, sarai uomo.”
Irreversibile.
Condusse Me è l’ultimo lavoro di Giulio Rincione, tra i più espressivi ed apprezzabili disegnatori che mi sia capitato di scoprire negli ultimi anni. L’opera, pubblicata ancora una volta su Shockdom, è in questo caso frutto di Giulio anche per quanto riguarda l’aspetto narrativo, diversamente da quanto capitato in altre occasioni, in cui tale aspetto era legato alla penna di altri autori come il fratello Marco (Noumeno, Vite di Carta).
Se il lavoro di Rincione è sempre stato caratterizzato da tinte cupe e amare, come nel caso di Paranoiæ, di cui ci ha già parlato Gaia, Condusse Me non fa del tutto eccezione, ma rappresenta probabilmente quanto di più intimo l’autore abbia partorito fino ad ora.
Un varco in un albero, dicevamo.
IL BUCO
Un bambino curioso, che sceglie di allontanarsi dalla strada maestra e di perdersi nella foresta.
Lo fa senza neanche rendersi conto di cosa significherà quella deviazione: allontanarsi, diventare consapevole, mettere in discussione qualsiasi cosa, finanche i concetti di bene e male.
Essere libero, dove la libertà è tutt’altro che felice o semplice.
I colori della foresta sono cupi e densi, risaltano il pallido colore della pelle del bambino, creano contrasto. L’ambiente è in qualche modo surreale, con forme geometriche e linee di colore che accentuano la tensione. E poi il nero profondo del buco.
Il processo non è indolore.
STORIELLINE
Per sottolinearlo, Rincione tira fuori dal cassetto tre Storielline, pubblicate nel lontano 2013. Il periodo storico differente è intuibile: tratti decisi e colori intensi, che aumentano la drammaticità del sangue versato come la forza vitale di un fiore, che rendono ancora più esplosive con le figure horrorifiche e mostruose che corrompono e abitano i personaggi di questi racconti.
Nei tre capitoli che compongono la raccolta – “il tubicino”, “il fiorellino” e “il canarino” – sono raccontate la costrizione e la sofferenza che segnano la presa di coscienza, che vengono poi superate con la catarsi e con la violenta autoaffermazione ne “il tubicino”, con il sacrificio e con la rinascita ne “il fiorellino”, con la resa ed il salto nel vuoto della liberazione ne “il canarino”.
IL DIO
Le linee diventano più caotiche, le geometrie simboliche più presenti. Le pennellate più nervose. Tutto ciò che circonda il dio sembra rarefatto, lontano. I colori sono quelli di un cielo plumbeo e senza sole a fare da contraltare ad una terra nera e brulla, dal cui fango il Dio potrà costruire.
Con l’allontanamento e l’astrazione, il bambino che ha reciso il suo tubicino diventa Dio e riemerge in quella che è la sua nuova realtà. Cresce, distrugge, smette di soffrire, perde la sua natura umana, perde il significato effimero di ciò che osserva. Si ferma, si rinchiude nel suo tempio, lontano da tutto e da tutti.
AMOR CONDUSSE NOI
Cambio di capitolo, entra in scena il vero protagonista della storia, lo stesso Giulio.
I tratti più flebili, l’acquerello più tenue e con colori freddi e spenti delineano le tinte di una crisi personale in cui tutto risulta più sbiadito e dotato di minor significato. E così anche lui supera quel varco: inizia un viaggio in cui la persona si scontra con i propri limiti, in una battaglia contro i demoni più personali che conduce inevitabilmente alla solitudine ed all’astrazione.
Neanche le persone amiche potranno accompagnarci fino in fondo. Solo l’arte salva e prende per mano l’autore, che tra i colori di Schiele e i tributi a Kent Williams, entra nel tempio, percorrendone i cui corridoi oscuri, con i Verdena in sottofondo, fino ad incontrare il bambino col tubicino diventato Dio.
Ciò che Giulio stesso ha creato e che adesso è il suo limite ultimo.
Lo scontro è inevitabile, quel Dio immobile ed enorme è un ostacolo al cammino e l’unica soluzione è quella di annientarlo, anche col rischio di annientare sé stessi.
DENTRO
Non ci sono più colori, adesso. Solo linee nere definite su un accecante sfondo bianco. Nessuna sfumatura, solo bianco e nero. L’esplosione non ha risparmiato niente e nessuno.
Ma siamo ancora vivi, ed il bianco accecante costringe ad aprire gli occhi, rialzarsi e continuare a camminare.
Dove è possibile arrivare? Quanto ci si può allontanare dalla realtà? Così tanto da ritrovarsi al punto di partenza?
Solo, vecchio e cieco di fronte alle infinite possibilità che ci sarebbero ora.
Parole, anche in frammenti, e disegni immergono il lettore nella catarsi dell’autore, che in particolare gioca con diversi stili grafici ben adattandoli alla situazione narrativa, in un modo che ricorda il miglior Dave McKean. Risalta dunque la grande capacità di rendere il disegno un vero e proprio veicolo narrativo in piena sinergia con dialoghi e riflessioni.
Così facendo, Giulio Rincione ha messo a nudo debolezze e paure, per poi esorcizzarle artisticamente. Condusse Me è riflessione personale ed esistenziale sui limiti, sulla sofferenza, così come sulla necessità di evoluzione e crescita senza perdere di vista il fine ultimo di tutto ciò.
Non è per tutti, non è un’opera per qualsiasi umore. E non è questione di elitarismo, ma è solo che trovo difficile immaginare il poter apprezzare questo viaggio senza essere disposti ad una vulnerabile apertura alla discussione più intima ed alla impervia strada da percorrere.
E questo Giulio lo sa: rimanere fermi, fuori dal tempo e da tutto, è un errore, al pari di non iniziare neanche a camminare. L’astrazione e la mancanza di confronto sono comodità.
Se esci, sarai uomo.
Titolo: Condusse Me
Autore: Giulio Rincione
Casa editrice: Shockdom
Anno di pubblicazione: 2019