Come restituire voce ai folli: “Tredici canti” di Anna Marchitelli

Come restituire voce ai folli: “Tredici canti” di Anna Marchitelli

libro tredici canti anna marchitelli

La rivoluzione, gridavano tutti, ma alla fine solo un pazzo, in preda a un istinto primitivo, avrebbe avuto il coraggio di darle vita.

 

41 anni fa, precisamente il 13 maggio 1978, fu promulgata la famosa legge n. 180, intitolata a Franco Basaglia, che ne fu promotore, e che determinò la chiusura dei manicomi in Italia e diffuse, di fatto, un nuovo metodo di presa in carico dei pazienti psichiatrici.

13 maggio, 13 cartelle cliniche, 13 folli voci narranti.

Il 13 è un numero che ricorre in tutto il libro di Anna Marchitelli: “Tredici canti (12+1)”, in cui vengono raccontate le biografie di tredici pazienti dell’ex ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi di Napoli, considerato all’epoca la “cittadella della follia” abbarbicato com’era – e com’è tuttora, seppur ormai chiuso – sulla Calata Capodichino. 

Di matti da slegare non se ne parla mai a sufficienza. Non se n’è mai parlato a sufficienza, a dire il vero. I quotidiani non escono intitolando loro le prime pagine né abbiamo più un maestro genovese che tenta di cantar per loro il mondo che si portano nel cuore.

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Parlando con Anna Marchitelli, non mi sono mancati brividi di impotenza di fronte all’oblio del secolo scorso. Il suo breve saggio, edito Neri Pozza, riesce a ricostruire una personalità definita per questi folli, per queste anime perse o semplicemente più frastagliate delle altre. 

Quante vite sono ancora intrappolate in quelle cartelle cliniche? E che senso ha oggi riportarle alla luce?

Tredici canti (12+1) nasce dall’impulso di restituire voce ai folli – mi spiega l’autrice.

Mi sono avvicinata all’ex manicomio Leonardo Bianchi di Napoli e all’archivio, prima di tutto nei panni di giornalista, e grazie all’operato illuminato dell’ex dirigente del Polo Archivistico Anna Sicolo. Era il 2010 e mi resi subito conto che il Leonardo Bianchi custodisse al suo interno, tra le carte e le mura, una quantità infinite di storie, tutte dense di vita e di morte. Una volta che l’archivio, per questioni amministrative, è diventato inaccessibile, ho avvertito una sensazione di impotenza: e ora tutti questi folli che sono ancora qui rinchiusi, intrappolati in un limbo, cosa faranno? Come potranno liberarsi? Ho offerto loro solo la possibilità di essere ascoltati, restituendo qualcosa che in vita era stata loro negata. E poi, mi ha guidato un pensiero che oserei definire ossessivo: quando all’individuo viene impedito di aderire alla propria natura, talento, guizzo di genialità, o anche sentimento autentico, ecco che si cade nella patologia, fino ad arrivare, e quindi spiegare, alle nevrosi contemporanee.

Lungomare di Napoli
(Ph. Francesca Bianchi)

Lei in realtà viene da studi di filologia moderna, avrebbe potuto scegliere moltissimi altri contesti cui dare voce: cos’è che l’ha portata ad avvicinarsi proprio al mondo psichiatrico?

Sicuramente i miei studi sono stati il miglior terreno per poter affrontare il mondo psichiatrico attraverso la narrazione, la creazione e l’approccio umano, non avendo altro a mia disposizione. Questo mi ha aiutato ad essere pura, semplice e umana nei confronti di persone realmente esistite.

Quante cartelle ha dovuto leggere e analizzare prima di poter scegliere queste 13? E che cos’avevano queste 13 di “diverso”? Ci sono folli più speciali di altri?

Non ricordo quante ne ho sfogliate, lette, aperte, richiuse, spostate, accarezzate. Ho scelto le cartelle cliniche di personaggi noti mescolandole con quelle di persone comuni, non ci sono assolutamente folli più speciali di altri, sicuramente alcuni percorsi risultano essere tipologie di destini più eclatanti di altri, dove l’iter manicomiale si è imposto non solo a torto ma anche esercitando il Potere in modo più manifesto. Poi, ho scelto documenti di diverse epoche storiche, di modo che potessero coprire un lungo arco temporale e per rendere l’idea che dietro le storie scorresse la Storia con i suoi eterni cicli.




C’è un personaggio in particolare, tra quelli descritti in Tredici canti, a cui si è affezionata di più?

Anna Marchitelli
Anna Marchitelli

È una domanda che mi fanno in molti, e ho sempre un certo imbarazzo, non posso negare di essere entrata nelle carni delle donne con più facilità e aderenza, ma ciò che mi ha colpito di più, e che assurge a simbolo dell’intero lavoro, è la difficoltà del matematico Renato Caccioppoli di conciliare genio e angoscia di vivere, fino a morirne.

 

 

E mentre sognavo la morte, la matematica, mia vera compagna di vita, mi riempiva di intuizioni e gratificazioni.

Immagino che lei abbia aggiunto una buona dose “romanzesca” alle cartelle cliniche per poter ottenere un profilo psicologico accurato dei pazienti descritti: si sente di poter dire di essere rimasta fedele a ciò che ogni paziente è stato davvero in vita? E se sì, come c’è riuscita?

Sì, sento di poter rispondere “sì, sono stata fedele al destino di ciascun folle”, non ho speculato in Tredici Canti, non ho usato i tratti delle loro storie per farne uscire una “bella” storia, non era questo il mio compito, io dovevo penetrare il loro animo, accaduto in momenti di particolare concentrazione, per poter dare loro voce e restituire quella poesia che è stata negata in vita. Forse ho potuto formulare pensieri che si avvicinavano a quelli realmente pensati, ma il cuore di ciascuno, la sofferenza, il disagio sono autentici. I documenti sono stati importanti, le lettere conservate all’interno delle cartelle cliniche, le foto talvolta, il luogo frequentato per molti anni – il manicomio, qualsiasi manicomio, parla, racconta, urla – tutti questi elementi messi insieme, senza avere a priori una metodologia scientifica che mi guidasse, mi ha messa in ascolto, vero, sincero, autentico.

E autentiche risuonano nella mente del lettore le storie di queste anime, prima vittime della vergogna sociale, e oggi dell’oblio a cui molte di loro sono ancora condannate.

…non capirono che dietro la furia di un cinghiale avevo un cuore di pecora, sempre più smarrita, sempre più lontana dal gregge.

Domanda di rito che facciamo sempre a chi intervistiamo su SALT: che cos’è per lei il “sale della vita”?

Il sale della vita per me è il mistero, la possibilità di toccarlo, sentirlo, conoscerlo. Ciò che è al di là mi tiene in vita tra le cose che sono al di qua.

 

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Titolo | Tredici canti (12+1)

Autore | Anna Marchitelli

Casa editrice | Neri Pozza

Anno | 2018

 

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