La migliore alternativa | Lo Sherwood Festival resiste
Come ogni teenager vagamente alternativa ed annoiata nell’afosa e vuota provincia veneta, in quegli anni bizzarri che erano la mia adolescenza un solo evento rendeva tollerabile la mia estate: lo Sherwood Festival. Storico (se non mitico), abbastanza sicuro perché i genitori non storcessero troppo il naso quando chiedevi loro il permesso di andarci con gli amici più grandi ma sempre colmo di grandi nomi del panorama indipendente italiano, dal 2000 quei 30 giorni di concerti, incontri, workshop, bancarelle, birrette ed eventi collaterali trasformano il Parcheggio Nord dello Stadio Euganeo di Padova da una rovente distesa di cemento ad un esperimento che di anno in anno si evolve e continua a riuscire grandiosamente.
Per parlare della storia dello Sherwood Festival, dei suoi progetti e del suo futuro ho avuto il piacere di chiacchierare con Alex Favaretto, direttore artistico che da 15 anni lavora per il festival curandone la programmazione e seguendo la logistica dei vari concerti.
Da quanto esiste il festival?
Lo Sherwood Festival esiste da…non sappiamo quando! Ti spiego: è nato come prosecuzione naturale e come forma di autofinanziamento di Radio Sherwood, che è stata fondata alla fine degli anni ’70, e nei primi anni ’90 sono iniziate le prime feste di Radio Sherwood – che non si chiamavano neanche “feste di Radio Sherwood”… Quindi non si capisce bene come e quando sia cominciato il formato dello Sherwood Festival, ma tendenzialmente nella prima metà degli anni ’90. Dal 2000 siamo nell’area del parcheggio nord dello Stadio Euganeo, quella di quest’anno è la diciannovesima edizione che si tiene lì con la formula e la location attuale.
Perché proprio quel parcheggio?
Beh, Radio Sherwood esiste da molti anni e ha cambiato molte location… è passata per il Parco Fistomba, per il Milcovich, per il Parco del Roncajette, per l’ex Foro Boario di Corso Australia… All’epoca quando c’è stato lo spostamento io non ci lavoravo ancora, ma penso che per un festival estivo avere un posto sul cemento sia molto meglio di un parco – banalmente, se piove essere sul cemento ti garantisce che tutto si asciughi prima – in più nella location che abbiamo adesso abbiamo quella collinetta verde. Insomma, è un posto che si addice benissimo ad un concerto. In più è facile da raggiungere perché è vicino all’uscita dell’autostrada e ha un ampio parcheggio.
Cos’è cambiato nel panorama della musica live italiana da quando ti sei approcciato a questo mondo?
Le prime volte che mi sono approcciato al festival era come utente. All’epoca c’era tutta un’altra visione, in Italia, della musica e della cultura. In quegli anni c’erano i 99 Posse allo Sherwood Festival, c’era il Tora! Tora! [un festival itinerante che tra il 2001 ed il 2005 ha riunito il meglio della scena alternativa italiana, ideato da Manuel Agnelli; ndr] e sentivi suonare in una sola serata gruppi come i Marlene Kuntz, gli Afterhours, i linea 77 ed altri. Gli artisti stranieri giravano molto di più (ed erano abbordabili anche per il prezzo dei biglietti). Era tutto un altro periodo culturale per andare ai concerti e per la musica in sé.
Purtroppo, nell’ultimo periodo sappiamo tutti che la musica sta vivendo un declino dal punto di vista “musicale”, culturale, di contenuti. Ma anche il mondo dei live ha visto una grossa commercializzazione che sfocia nei grandi festival come l’Home, l‘iDays... quei grandi eventi che spersonalizzano un po’ il concetto di ascoltare musica.
Lo Sherwood Festival rimane tra i più grandi festival indipendenti d’Italia e di quest’indipendenza fa un punto di forza e ci sforziamo di rendere i concerti accessibili a tutti: continuiamo la nostra politica del “Un euro può bastare”, e anche quest’anno ci saranno molti concerti per cui un euro può bastare, tra cui Willie Peyote, Punkreas, Shantel… Rimane un punto fondamentale perché oltre ai grandi eventi riusciamo a proporre al nostro pubblico anche dei grandi artisti ad un prezzo bassissimo.
Come fate?
È una scommessa che facciamo. Mettendo solo un euro come prezzo del biglietto in alcune serate hai molta più affluenza al festival, e così le cose si riequilibrano!
Cosa distingue Sherwood da un festival “commerciale”?
Beh, noi sicuramente diamo molta centralità all’artista che chiamiamo. Un artista viene a suonare da noi e sa che è il suo concerto, tutti gli occhi saranno puntati su di lui. È per questo che abbiamo tanti artisti che amano ritornare al nostro festival. Dopodichè anche dal punto di vista di quel che offriamo al pubblico il nostro festival, essendo indipendente e cresciuto in un certo contesto, è anche un festival che pone molta cura in quel che offre all’utente. Ad esempio, negli ultimi anni è molto aumentata la frequentazione delle famiglie, la presenza di bambini – grazie al nostro evento Sherwood for Kids che è stato pensato appositamente per quei bambini che vengono portati al nostro festival – perché trovano in Sherwood un ambiente che riesce ad essere attraversato dal bambino così come dall’ascoltatore di musica elettronica o di altri generi.
Come siete diventati questo punto di riferimento?
Molti festival purtroppo hanno smesso di esistere o hanno dovuto prendere altre forme. Questa grande prepotenza di grandi eventi “commerciali” che ogni anno aumentano di numero fanno un po’ diminuire quei festival più piccoli che una volta erano molto più presenti. Siamo rimasti in pochi.
Ogni anno ci impegniamo un po’ di più per far sì che lo Sherwood sia sempre migliore, che abbia contenuti nuovi, una programmazione che nonostante il periodo che sta attraversando la musica italiana sia sempre trasversale e di qualità, che piaccia un po’ a tutti. Infatti, i generi musicali toccati durante la programmazione dei 30 giorni vanno dall’elettronica alla musica balcanica, il reggae, l’hip hop e la drum ‘n’ bass… Ci impegnamo per far sì che lo Sherwood Festival rimanga uno dei punti fondamentali della cultura alternativa italiana.
Una grande soddisfazione che avete portato a casa?
Ogni anno c’è una soddisfazione. Un po’ di anni fa siamo riusciti a portare al nostro festival Manu Chau e fare sold out... Dopodiché, le soddisfazioni sono anche sapere che ogni anno che un gruppo esce con un nuovo disco ha piacere a tornare allo Sherwood perché si è trovato bene gli anni prima.
Siamo fieri del fatto di riuscire a continuare ad andare avanti restando indipendenti, creando uno spazio che da un parcheggio vuoto diventa una piccola cittadella che oltre ad avere musica è anche dibattiti, cultura, sport… Non è solo un festival musicale: è un luogo che fa convivere vari aspetti. Dal nulla, per 30 giorni, trasformiamo quello spazio vuoto in uno spazio vitale che non è solo un “concertificio”.
E per te, cosa significa Sherwood Festival?
Dopo tutti questi anni che lo seguo è diventato un punto fondamentale della mia vita. La preparazione del festival inizia molto presto, da Ottobre, quindi è una cosa che occupa gran parte del mio anno. Diciamo che è importante sotto vari aspetti – certo, professionale, ma è anche una soddisfazione vedere ciò che riesco a creare durante un anno. Ogni volta che c’è un concerto che riempie il festival, la gente che balla sotto il palco, che si diverte…è sempre una soddisfazione per me.
Cosa speri per il futuro?
La mia speranza è solo quella che sia un festival che continui a crescere, che sia attraversato da sempre più gente…che venga riconosciuto il valore che ha questo festival rispetto a tante altre realtà che basano la propria sopravvivenza sul lato commerciale piuttosto che quello culturale.
E…qual è, per te, il sale della vita?
È portare avanti le proprie passioni senza mai fermarsi. Oltre ad organizzare concerti io suono, anche, quindi per me la musica è un aspetto fondamentale della vita – è tutto ciò su cui si basa la mia vita.
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Sherwood Festival torna anche quest’anno, a Padova, per 30 giorni tra l’8 giugno ed il 7 luglio al Parcheggio Nord dello Stadio Euganeo. La line-up quest’anno comprende tanti artisti italiani tra cui Zen Circus, Alborosie, Coez, Caparezza e Lo Stao Sociale, big internazionali come Ellen Allien, che suonerà per la giornata a base techno Altavoz de Dia, ed Alice in Chains.
[Tutte le foto dell’articolo, se non altrimenti specificato, provengono dalla pagina facebook del festival.]