Cold War: l’amore in bianco e nero
Girato in un avvolgente e ipnotico bianco e nero, in formato 4:3, quasi quadrato, Cold War è il racconto di una storia d’amore che si protrae per 15 anni, in bilico tra l’opprimente regime comunista dell’Europa dell’est e l’apparente libertà offerta dal capitalismo occidentale.
Wiktor (Tomasz Kot) è un colto insegnante e musicista, che, nella Polonia del dopoguerra, gira per il paese alla ricerca dell’autenticità della musica locale. L’obiettivo è quello di raccogliere materiale per la creazione di un collettivo di canto e danza folkloristici, il “Mazowsze”, che viene da subito inglobato nella sfera di controllo del governo filosovietico, diventando uno strumento di propaganda e un simbolo della cultura slava. Come tale anche gli artisti che ne fanno parte devono essere dei fedeli rappresentanti dell’etnia slava: giovani, sani, e preferibilmente biondi.
Zula (una brava e bella Joanna Kulig) è il volto perfetto e biondissimo di questa gioventù, ed è anche dotata di una certa sfrontatezza, che la fa da subito diventare la favorita di Wiktor. Inizia così la loro storia d’amore. Il successo del collettivo li porterà presto in visita in diverse città del blocco sovietico, fino a raggiungere Berlino Est. Il muro non è ancora stato costruito, e il passaggio dal comunismo al capitalismo è ancora relativamente facile. Wiktor organizza una fuga per due verso la libertà, ma inaspettatamente Zula non si presenta all’appuntamento, e i due si separano per la prima volta. Da qui in poi la loro storia d’amore subisce interruzioni e accelerazioni, divisa tra Est e Ovest, ma mantiene intatta la passione, che li spinge sempre, inesorabilmente, a ritrovarsi.
Wiktor e Zula sono come due pezzi di un puzzle creati per unirsi, ma che non si incastrano perfettamente: condannati a una vita di tentativi, sempre più disperati.
Il loro amore non è di quelli sereni. Sono pochi i momenti di felicità spensierata, rarissime le parole sincere che si scambiano. Se i due pezzi del puzzle riuscissero finalmente ad incastrarsi morirebbe la passione che li anima.
In contrapposizione alle parole di Shakespeare “ama moderatamente: l’amore che dura fa così”, Wiktor e Zula vivono 15 anni con l’intensità di Romeo e Giulietta, combattendo con la distanza quando sono lontani e con la vicinanza quando stanno insieme, combattendo contro la loro stessa natura.
Cold War è infatti anche la rappresentazione della guerra di cui porta il nome: Zula è davvero l’incarnazione dell’etnia slava, oppressa dal regime sovietico in cui vive, ma incapace di abbandonare la sua terra natale e vivere secondo il modello occidentale. Quando va a vivere a Parigi con Wiktor fa fatica a capire quale sia il suo posto. Può frequentare i club alla moda, incidere un disco e mescolarsi agli artisti bohémien, ma si sente spaesata e la verità è che non sa come usarla, tutta quella libertà. E finisce per gettarla via.
Wiktor dall’altro lato non riesce a rimanere nella Polonia oppressa, e lo si capisce già dall’inizio. Per lui il Mazowsze è un’occasione per fare musica, non uno strumento di propaganda. È un’artista, suona musica jazz ed è a suo agio negli ambienti intellettuali parigini. Quando decide di tornare in patria lo fa per amore, e a un prezzo carissimo.
Da segnalare anche il ruolo della musica, che gioca una parte fondamentale in Cold War (basta guardare il trailer per farsene un’idea). Nello spostamento tra est e ovest cambia completamente il panorama musicale, così come cambia con il passare degli anni. Si comincia con la musica folkloristica polacca, si passa al jazz dei club parigini degli anni ’50, fino ad arrivare a un’apertura anche nell’Europa dell’est, dove sentiamo in sottofondo 24 mila baci.
Il regista, il polacco Pawel Pawlikowski, si è ispirato alla vera storia dei suoi genitori, che con i protagonisti condividono anche i nomi, Wiktor e Zula. Il film è dedicato a loro, che hanno vissuto una tormentata storia d’amore a cavallo della Guerra Fredda, tra est e ovest. Forse proprio perché non voleva lasciare che la componente personale prendesse il sopravvento, Pawlikowski ha costruito il film con apparente freddezza e formalità, curandolo fin nei minimi dettagli. La perfezione quasi patinata della regia e la fotografia così nitida ed elegante sembrano però togliere umanità al film.
La storia è passionale, drammatica, dolorosa. Ma questa passione, questo dolore, arrivano solo indirettamente allo spettatore, come da dietro un vetro. Ci sono dei momenti (la convivenza a Parigi ad esempio) in cui forse il regista avrebbe potuto osare di più, spingersi fino a rompere il vetro, farci vacillare, ma non lo fa.
Cold War rimane un’opera esteticamente impeccabile, bellissima come può esserlo una statua greca in marmo, ma forse un po’ troppo distaccata.
Titolo originale: Zimna wojna
Anno: 2018
Regia: Pawel Pawlikowski
Cast: Tomasz Kot, Joanna Kulig