Io e Milano ci piacciamo molto poco, forse per niente. Ha però questo ruolo a tratti materno per alcune persone che fanno parte della mia vita: alcune di esse la amano Milano, non vivrebbero da nessun’altra parte; altre non la sopportano, non la vivono come dovrebbero, e sostengono che se non fosse per il lavoro sarebbero già sperdute in qualche angolo del mondo, il più lontano possibile da lei. Per queste persone io e Milano abbiamo deciso di comportarci come una coppia separata con figli a carico – non litighiamo davanti agli altri e ci rispettiamo, per il bene della famiglia. Così ogni tanto preparo lo zaino e vado.

In realtà questi weekend improvvisati, che siano a Milano o altrove, di solito me li immagino come la gigantesca porta dell’uscita di sicurezza dei cinema; tu sei lì che vivi come viene, spettatore pagante della tua vita, e sembra tutto faticoso come al solito ma regolare, ad un certo punto ci fai perfino l’abitudine. Va tutto bene, e inizi quasi a credere di aver preso un buon ritmo; poi ad un tratto qualcuno ti urta, come se ti svegliasse dal torpore. E tu, prima di chiederti se sia un bene o un male, prima di guardarlo negli occhi anche solo per un secondo, vai nel panico, e ti giri verso la gigantesca uscita di sicurezza. Lei è lì, enorme, rassicurante come l’unica via di fuga possibile, la luce verde si illumina e tu corri dritto verso di lei e la apri, convinto di prendere aria.

Ecco, eri fuori tempo. Di nuovo. Come è potuto accadere?

Ho una lista infinita di cose che dovrei fare
Cominciare in palestra, cambiare cuscino, comprare del sale
Ma anche oggi ho deciso di fare come mi pare
Lancio monete nelle campane
Faccio un passo indietro e non ci penso più
La stagione dei monsoni è dura ma mi tiro su

Convinto come uno stronzo che tutto quello che stai facendo sia più o meno giusto, perché “così si fa”, controvoglia ti ostini a subire la tua vita, mosso dalla smania di riuscire ad ottenere una tua routine, piacevole o meno che sia. Qualsiasi deviazione che distolga lo sguardo dall’obiettivo di una vita normale e socialmente accettata e incasellata nelle aspettative genitoriali, ti atterrisce; allo stesso modo qualsiasi contatto emotivo più profondo del pozzetto del lavello in cucina, ti riempie il cervello con un carico di settimini dell’Ikea pieni di “e se?”. E se finisce come l’ultima volta? E se diventa complicato? E se ci finisco sotto? E se mi faccio male?

Questa nostalgia canaglia che mi tiene per la gola
Scannerizzo le giornate e quello che potevo fare
Siamo esseri imperfetti, quando abbiamo non vogliamo
E poi ci troviamo soli con
L’amore immaginario
Che non delude mai

Per questo scegli deliberatamente di fermarti “un pelo prima”, in modo da calcolare i rischi, contenere i danni e tornare sulle poltrone rosse, con lo schermo davanti, ed in testa una proiezione di quello che potrebbe essere, di quello che potrebbe accadere se invece di correre verso l’uscita di sicurezza tu ti voltassi per vedere da dove provenga il braccio che ti ha urtato, e ti lasciassi trascinare dalla cosa seguendo la pancia, senza prendere di getto le strade strette e contorte che si snodano nel labirinto escheriano che è sempre stato il tuo cervello. Resistere al loop quotidiano del non sentirsi in grado, accampare scuse su come sia impossibile prendere una deviazione d’istinto, fidarsi della pancia, che urla e cerca ti tirarti verso quello che vorresti senza troppe sovrastrutture mentali, è faticoso, frustrante: le abitudini sono dure a morire, soprattutto se le si alimenta come una bestia addomesticata.

Per quanto ancora riuscirai ad assecondare quell’uscita di sicurezza che ti assicura un posto a sedere per assistere alla tua vita senza prendere concretamente parte, vivendo di proiezioni e innocenti episodi che prendono corpo solo nella tua testa? È davvero questo il massimo a cui puoi aspirare, vivere una vita mentale, mentre quella reale si consuma in apnea, in fila indiana insieme agli altri, e con intervalli di tempo scanditi da un lieve e repentino scatto per riprendere fiato a pelo d’acqua?

C’è una lista infinita di cose che non so fare
Cucinare, ballare, chiamare mia madre se sono felice
Anche oggi ho deciso di fare come mi pare
E non è un bene, però conviene
Faccio un passo avanti e non ci penso più
Mi prenoto un viaggio per venire dove sei rimasta tu

Smetti di dare da mangiare alle abitudini, quelle che coltivi nel cervello; segui la pancia, alzati dalla poltrona rossa, rompi la fila indiana. Molla quel maniglione antipanico, sveglia e fatti svegliare, che sia una spalla o una mano. Apri gli occhi, sei vivo, sei di nuovo fuori tempo.

Cazzo, menomale.

 

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