Club to Club 2019 | Noi e quella luce al buio
Io e Francesco stavamo aspettando il Club to Club di quest’anno come fosse la gita dell’ultimo anno di liceo.
Dico, ma avete visto la lineup?
LA LUCE AL BUIO: SEASON 2 from Club To Club Festival on Vimeo.
E per certi versi è stata veramente una gita del liceo, a partire dall’entusiasmo adolescenziale che ci ha travolto quando abbiamo visto il palco del Lingotto (crack stage) e ci sembrava troppo imponente per essere vero, almeno fino a quando non abbiamo scoperto che quello era il palco minore.
True story.
Per i babbani (e per mia mamma, se ci legge): il Club To Club è un festival di elettronica che infiamma Torino dal 2002. L’appuntamento annuale imperdibile se si vuole godere di un po’ di avanguardia musicale che vada oltre i confini italiani.
Devo ringraziare il mio nuovo amico Paolo di Ondarock, perché domenica sera a Porta Palazzo, dopo ottocentoquarantasetteore – una più una meno – di festival, è riuscito a trovare le forze per raccontarmi una miriade di aneddoti del Club To Club, nato come festival itinerante concentrato in un’unica serata, in cui il pubblico si spostava da un club all’altro (clubtoclub, nomen omen) per ascoltare e ballare sulle note dei vari DJ di Torino.
Negli anni, poi, le cose sono cambiate, il pubblico è decuplicato, lo stile musicale si è ammorbidito e gli eventi del Club to Club si sono sparsi per la città e per serate diverse. La vena del clubbing più puro sta lasciando sempre più spazio all’avant-pop, come ama definirlo Giorgio Valletta, co-fondatore del Festival, e questo non è necessariamente un male, per buona pace degli aficionados.
Tecnicamente, l’edizione 2019 del C2C è iniziata mercoledì 30 ottobre ed è finita il 3 novembre, sui palchi del Lingotto, dell’OGR, di Venaria Reale e di Porta Palazzo. Dico “tecnicamente” perché questa era la tabella di marcia prevista dal programma, ma se siete dei comuni mortali come me, sappiate che quattro serate di ClubToClub possono garantirvi una morte lenta e felice al Parco del Valentino fino all’edizione 2020.
Nel dubbio, io ne ho affrontate due.
Armata di Redbull.
Impavida.
Premessa: io non ve lo so fare un report dettagliato di tutto il Festival, ma per fortuna hanno inventato Pandiny anche per questo:
Invece, quello che vi posso raccontare io, è qualche momento di assoluta epicness che mi impegnerò fortissimo a intrappolare per sempre nel mio ippocampo.
Venerdì 1/11 – Lingotto Fiere
22:10 – 72-Hour Post Fight
Appena arrivata, mi piazzo sotto al Crack Stage, il palco minore, appunto, e sono felice di ascoltare live questi ragazzi italiani che ho iniziato ad ascoltare solo qualche settimana prima del Festival.
Pur realizzando un live molto ben calibrato e tenendo alla grande il palco, si vede che i 72-Hour Post Fight sono giovanissimi e sorrido vedendo che tra il pubblico ci sono tanti loro fan/amici che li supportano ad ogni pezzo, orgogliosi di vederli suonare su quel palco. E questo è meraviglioso.
Festival come il Club to Club devono essere anche questo, una scoperta continua, una vetrina per le band emergenti che valgono la pena di essere ascoltate. Non faccio in tempo a finire la seconda traccia che incontro il mio amico (e ben più esperto) Elia di Vice e tra un sax e l’altro mi dice: “Secondo me in Italia non la fa nessuno sta musica!”.
E mi sa che c’ha ragione.
Bomba, raga!
23:15 – James Blake
Il cuore vacilla quando lo vedo salire per davvero sul Light Over Darkness Stage.
(Poi quando volete discuteremo della scelta dei nomi dei palchi…)
Di James Blake avevo già parlato nel 2016, a fatica, quando era uscito The Colour In Anything ed io stavo cercando di capire quanto quel disco rispondesse alle mie malcelate ferite sentimentali.
Sorridevo, scrivendo quell’articolo, alla sua virata così elettronica e a tutti quei cori digitali, che mi sembravano un modo tanto inaspettato quanto opportuno per riempire il vuoto che l’electro-soul di Overgrown non riusciva più a colmare. Ignara di quanto sarebbe stato veritiero, accennavo a un provocatorio James Blake al Distortion di Copenaghen, senza sapere che pochi anni dopo avrei ascoltato Retrograde al Club to Club.
Se me l’avessero raccontato anni fa, non ci avrei creduto. E nemmeno lui, direi. Eppure, sul palco del C2C ha incantato la folla per un’ora e un quarto di dicotomica alternanza tra pezzi come Are You in Love, Timeless e Life Round Here fino a remix di Untold, in perenne bilico tra momenti di puro isolazionismo di voce e tastiera e tracce quasi esclusivamente strumentali.
Che Assume Form non sia stato il suo apice musicale è un dato, ma questa svolta più “solare” non riesce a dispiacermi. Pochi artisti riescono a vantare una varietà stilistica come la sua, di cui forse si avverte l’eco di Justin Vernon. La verità è che per me James Blake sarà sempre quel ventenne londinese dall’omonimo EP che registrava gli album nella propria stanza/studio e che accompagnava i nostri giorni e le nostre notti con Limit To Your Love (Feist) e ci faceva commuovere guardando il soffitto con la finestra aperta.
Eppure, riesco ad amarlo anche quando trova il coraggio di uscire dalla sua cameretta.
Infine, sento di doverlo pubblicamente ringraziare per non aver suonato Overgrown. Se l’avesse fatto, sarei ancora a piangere tutte le mie lacrime in un angolo del Lingotto.
Grazie, per aver avuto pietà di Noi. (#N).
01:30 – Flume
“Dai regà sembrava di stare nei camerini di Zara” – @Lorenza post concerto.
LMFAO, boh io mi diverto nei camerini di Zara!
Sicuramente Flume ha realizzato uno dei live più pop/mainstream dell’edizione 2019 del C2C, ma anche per questo motivo ha fatto saltare per un’ora tutta la sala principale del Lingotto che era a dir poco gremita ed è sempre quanto mai adrenalinico vedere centinaia di persone ballare senza freni, takin’ it easy. Belle anche le luci.
Per altro, riconosco da sempre di avere un debole per gli artisti australiani, motivo per cui sono andata in loop pure con Flume, che ha portato un po’ di Coachella in chiave Aussie al Lingotto.
Un mix audace, bravo!
04:00 – Slikback
Sì sì sì e ancora sì!
Chiudere il venerdì sera (se le 5:30 possono essere considerate “sera” in questi casi) con Slikback è stata una delle scelte migliori della direzione artistica di quest’anno.
Artista kenyota, un po’ underground e un po’ pesante nella produzione, per me è stata una delle rivelazioni più inaspettate del Festival.
Slikback dopo una prima vera notte a dir poco incredibile, è riuscito a tenere altissimo il livello al Crack Stage, dove tutti ballavano le sue tracce ibride tra techno, elettronica e hip-hop.
Il loop in cui è riuscito a trasportarci tutti quanti è stato così forte che a volte ci guardavamo tra di noi, senza bisogno di dire nulla, senza fretta di andarcene, senza dover filmare tutto con uno smartphone, godendoci il momento e questa eco di suoni africani nel cuore di Torino.
“La mattina dopo era mattina e io ero ancora vivo”, diceva Bukowski.
Sabato 2/11 – Lingotto Fiere
23:00- Chromatics
Premessa: sono passati quattro giorni dal Club to Club e io non ho ancora smesso di ascoltarli. Non riesco (e non voglio) uscire dal loop.
Le mie aspettative sul loro live erano altissime, ma dire che hanno fatto un concerto impeccabile sarebbe un eufemismo. Poi, per dovere di cronaca, va precisato che ho avuto la sfacciatissima fortuna di vedere il concerto in prima fila, avvinghiata alla transenna, fatto piuttosto rilevante per me che dal ’90 godo del privilegio raro di trovarmi davanti il più alto di tutto il concerto.
Nel mio Olimpo di musica elettronica i Chromatics si sono guadagnati ormai da diversi anni due seggi d’onore con Lady e Kill For Love, che sabato sera hanno suonato uno via l’altro, a pochi minuti dall’apertura, senza quasi riprendere fiato. Quando hanno fatto Cherry eravamo già tutti in un’altra dimensione, senza senso del tempo né dello spazio. Ma è sempre stata così bella quella canzone?
E poi le cover, cavallo di battaglia della band di Portland. Provate ad ascoltarvi la loro versione di I’m on Fire di Bruce Springsteen, chiudete gli occhi e immaginate che sia Ruth Radelet a cantare a cinque metri di distanza voi, sola sul palco con la sua chitarra, al buio, accompagnata dalla luce di enormi candele riprodotte.
Ecco, quello dei Chromatics non è stato solo un concerto, è stato uno spettacolo completo, un’esibizione straordinaria di musica, di luci dai toni caldi, di scenografie quasi cinematografiche. Quel matto (bravissimissimo!) di Johnny Jewel sembrava nel suo parco divertimenti personale, tanto che a lui è stata affidata la fine dello show, quando ormai esausto si è fermato per quello che temevamo fosse il saluto definitivo, e invece ha premuto “play” per regalarci Girls Just Wanna Have Fun ed è uscito di scena.
Il palco vuoto e noi con la cover di Cyndi Lauper.
Uno dei concerti più belli a cui abbia mai assistito.
Giuro.
00:40- Nu Guinea
Che botto! Che bello! Che cuore!
Per me, altra bellissima scoperta del Festival.
Due ragazzi di Napoli, trapiantati a Berlino, che fanno musica elettronica/dance con una buona dose di nostalgia anni 70/80.
What else?
Ah, il loro ultimo album (2018) si chiama Nuova Napoli e io sono già innamorata di loro, con buona pace di Liberato.
Se mai voleste approfondire la loro conoscenza, vi consiglio questo articolo di Giovanni Ansaldo, di Internazionale, che ne aveva già parlato a lungo (e benissimo).
01:50 – The Comet Is Coming
Penso che il tecnicismo musicale per definire il live dei Comet sia “Raga, ma che mine hanno tirato?!?”.
Il mio amico Francesco (sempre lui, sempre amico) aveva provato a diffondere in me un po’ di hype verso la la band UK, ma senza troppo successo. E invece quel diamine di un sassofonista (al secolo, Shabaka Hutchings) mi ha travolto! Maledetto! Ho passato tre quarti del concerto a chiedermi che cassa toracica potesse avere per sostenere un ritmo così ricco, frenetico, insaziabile.
Il genere dei The Comet Is Coming non saprei nemmeno identificarlo, so soltanto che grazie a tutto quel rock fortissimo, a quel sax incontenibile, a quel jazz quasi distorto, ci è stata trasmessa un’energia che non avremmo mai pensato di poter avere alle 3 del mattino della seconda serata.
02:15 – Floating Points
Aveva aperto il concerto degli XX a Milano, un anno fa, limitandosi ad essere una buona spalla per il trio inglese.
Non pensavo che avrebbe scaldato così tanto gli animi, invece sabato notte la sala principale del Lingotto era stracolma e carichissima, complici luci e grafiche psichedeliche su tutti gli schermi sopra al palco.
Floating Points mica per niente, insomma.
Ci ha fatto ballare per un’ora di fila. Bellissimo, lineare, coinvolgente.
Un DJ set di tutto rispetto, volto a far ballare la gente come se non ci fosse un domani.
(ma il domani c’era, scoprirò solo qualche ora dopo…)
03:30 – Romy
Vorrei potervi dire che Romy ha spaccato di brutto e che ha chiuso l’edizione 2019 del Club to Club con una standing ovation.
E INVECE, mi sa che non era in serata. O che io ero ancora troppo carica da tutti i live precedenti.
Voglio molto bene agli XX, ma per me sabato notte è stato tangibile l’abisso di coinvolgimento/energia tra Romy e Jamie XX.
Peccato.
(poi, vabbè, raga, ha suonato con la maglia della Juve. Forse è stato quello…)
Superata la fase clubbing, tutti ora si stanno chiedendo quale direzione artistica prenderà il Club to Club.
Come mi ha suggerito qualcuno, io so soltanto che per più di 9 ore la prima notte e quasi 8 la seconda eravamo tutti nello stesso spazio chiuso, passando da un palco all’altro e da un artista all’altro, e paradossalmente questo ha creato un’atmosfera intima e un po’ irreale come se veramente in quelle notti fossimo stati in un’altra dimensione, perdendo la cognizione del tempo.
E questa è una magia rara.
Non so come sarà la line-up del Club to Club 2020, ma sogno le porte aperte all’internazionalità, alla celebrazione della musica del futuro, a sempre più luce al buio.
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