Ci accoccoliamo sulla spiaggia dell’amore
La Natura non fa per noi
Scrivo di ritorno da un allenamento a canottaggio all’Idroscalo, bislungo lago dell’estremo oriente milanese, là dove gli ingegneri han saputo sfruttare le sorgive naturali del posto per costruire una pista di atterraggio per gli idrovolanti di Linate. Oggi il lago ha perso il suo primo ruolo e si è circondato di alberi e canneti, indossando due maschere a seconda dell’occasione: pozza per l’ammollo feriale dei cittadini, l’estate e le domeniche di sole; freddo, buio e umido incavo di silenzio, circondato dal rombo degli aerei e delle autostrade, nel tempo dei grigi giorni lavorativi.
Per me rimane rifugio d’acqua e prati a pochi passi dai marciapiedi, e, nei giorni in cui il Grignone risorge dalla nebbia all’orizzonte, lo amo. Tuttavia capita di tanto in tanto uno strano e bagnato vuoto dentro, vogando tra i flutti calmi, con le industrie nere e le automobili sullo sfondo. Lo stesso freddo che sale ascoltando Sally di De Andrè: violazione, fiducia malpagata. Sei scappato verso la Natura, ma intorno a te non è altro se non roccia dimenticata, cemento armato, laido. Cespugli strappati, senza origine. Escrementi pigri di pigri selvaggi randagi. Verde abusato, abusivo, efflorescenze fluorescenti.
Cerchiamo accoglienza, noi poveri vecchi islandesi, usciti dal letargo, ma non c’è riparo per noi. Rapporto contorto e fasullo con la Natura, che immaginiamo grande madre accogliente, e che si rivela invece completamente distante dall’uomo e dai suoi bisogni, lasciandolo orfano e solo.
@AlePig ci aveva già avvisato del pericolo, qualche mese fa, scrivendo su “Kain”, cortometraggio di Kristof Hoornaert: “L’uomo turba la perfezione della natura, la sua mobilità immobile e indifferente.”
La poesia di oggi è di Lawrence Ferlinghetti, “reporter omnisciente, venuto dallo spazio, che invia i suoi dispacci a un caporedattore supremo convinto della necessità di rappresentare senza censure le tragicomiche pagliacciate di quelle creature bipedi note col nome di esseri umani.”
E’ contenuta nella raccolta “A Coney Island of the Mind”, pietra miliare della letteratura Beat, e ci parla dell’Idroscalo. A voi, in lingua originale e tradotta in italiano.
We squat upon the beach of love
among Picasso mandolins struck full of sand
and buried catspaws that know no sphinx
and picnic papers
dead crabs’ claws
and starfish prints
We squat upon the beach of love
among the beached mermaids
with their bawling babies and bald husbands
and homemade wooden animals
with ice cream spoons for feet
which cannot walk or love
except to eat
We squat upon the brink of love
and are secure only as squatters are
among the puddled leavings
of salt sex’s tides
and the sweet semen rivulets
and limp buried peckers
in the sand’s soft flesh
And we still laugh
and we still run
and we still throw ourselves
upon love’s boats
but it is deeper
and much later
than we think
and all goes down
and all our lovebuoys fail us
And we drink and drown
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Ci accoccoliamo sulla spiaggia dell’amore
tra mandolini picassiani percossi pieni di sabbia
e zampe di gatto sepolte che non conoscono sfinge
e cartacce di pic-nic
chele di granchi morti
e tracce di stelle marine
Ci accoccoliamo sulla spiaggia dell’amore
tra sirene arenate
coi loro pupi urlanti e i consorti calvi
e animali di legno fatti in casa
con le zampe fatte di palette del gelato
che non possono camminare né amare
tranne che per mangiare
Ci accoccoliamo sulla spiaggia dell’amore
e siamo sicuri come solo gli occupanti abusivi sanno esserlo
tra le pozzanghere di rimasugli
di salmastre maree sessuali
e i dolci rigagnoli di seme
e molli uccelli sepolti
nella carne morbida della sabbia
E ancora ridiamo
e ancora corriamo
e ancora ci catapultiamo
sulle barche dell’amore
ma è più profondo
e molto più tardi
di quel che pensiamo
e tutto affonda
e tutti i nostri salvacuore ci vengono meno
E beviamo e affoghiamo
[…] Il romanzo è feroce, la componente patologica che disintegra letteralmente la protagonista la convince di potersi lentamente trasformare in un vegetale, un albero, eliminando da se stessa la violenza della quale il consumo e anche la sola vista di carne morta, sanguigna, rappresenta per lei l’emblema. L’unico elemento che allo stremo delle sue forze Yeong-hye chiede alla sorella è acqua. Appoggiata a testa in giù ad un muro dell’ultimo ospedale psichiatrico in cui è ricoverata: gli alberi vivono con le braccia sottoterra e con le gambe all’aria. […]