Ci accoccoliamo sulla spiaggia dell’amore

Ci accoccoliamo sulla spiaggia dell’amore

La Natura non fa per noi

Ophelia | John Everett Millais (1852)

Scrivo di ritorno da un allenamento a canottaggio all’Idroscalo, bislungo lago dell’estremo oriente milanese, là dove gli ingegneri han saputo sfruttare le sorgive naturali del posto per costruire una pista di atterraggio per gli idrovolanti di Linate. Oggi il lago ha perso il suo primo ruolo e si è circondato di alberi e canneti, indossando due maschere a seconda dell’occasione: pozza per l’ammollo feriale dei cittadini, l’estate e le domeniche di sole; freddo, buio e umido incavo di silenzio, circondato dal rombo degli aerei e delle autostrade, nel tempo dei grigi giorni lavorativi.

Per me rimane rifugio d’acqua e prati a pochi passi dai marciapiedi, e, nei giorni in cui il Grignone risorge dalla nebbia all’orizzonte, lo amo. Tuttavia capita di tanto in tanto uno strano e bagnato vuoto dentro, vogando tra i flutti calmi, con le industrie nere e le automobili sullo sfondo. Lo stesso freddo che sale ascoltando Sally di De Andrè: violazione, fiducia malpagata. Sei scappato verso la Natura, ma intorno a te non è altro se non roccia dimenticata, cemento armato, laido. Cespugli strappati, senza origine. Escrementi pigri di pigri selvaggi randagi. Verde abusato, abusivo, efflorescenze fluorescenti.

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Cerchiamo accoglienza, noi poveri vecchi islandesi, usciti dal letargo, ma non c’è riparo per noi. Rapporto contorto e fasullo con la Natura, che immaginiamo grande madre accogliente, e che si rivela invece completamente distante dall’uomo e dai suoi bisogni, lasciandolo orfano e solo.

@AlePig ci aveva già avvisato del pericolo, qualche mese fa, scrivendo su “Kain”, cortometraggio di Kristof Hoornaert: “L’uomo turba la perfezione della natura, la sua mobilità immobile e indifferente.

La poesia di oggi è di Lawrence Ferlinghetti, “reporter omnisciente, venuto dallo spazio, che invia i suoi dispacci a un caporedattore supremo convinto della necessità di rappresentare senza censure le tragicomiche pagliacciate di quelle creature bipedi note col nome di esseri umani.”

E’ contenuta nella raccolta “A Coney Island of the Mind”, pietra miliare della letteratura Beat, e ci parla dell’Idroscalo. A voi, in lingua originale e tradotta in italiano.

 

Idroscalo

 

We squat upon the beach of love

among Picasso mandolins struck full of sand

and buried catspaws that know no sphinx

and picnic papers

dead crabs’ claws

and starfish prints

 

We squat upon the beach of love

among the beached mermaids

with their bawling babies and bald husbands

and homemade wooden animals

with ice cream spoons for feet

which cannot walk or love

except to eat

 

We squat upon the brink of love

and are secure only as squatters are

among the puddled leavings

of salt sex’s tides

and the sweet semen rivulets

and limp buried peckers

in the sand’s soft flesh

 

And we still laugh

and we still run

and we still throw ourselves

upon love’s boats

but it is deeper

and much later

than we think

and all goes down

and all our lovebuoys fail us

 

And we drink and drown

 

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Ci accoccoliamo sulla spiaggia dell’amore

tra mandolini picassiani percossi pieni di sabbia

e zampe di gatto sepolte che non conoscono sfinge

e cartacce di pic-nic

chele di granchi morti

e tracce di stelle marine

 

Ci accoccoliamo sulla spiaggia dell’amore

tra sirene arenate

coi loro pupi urlanti e i consorti calvi

e animali di legno fatti in casa

con le zampe fatte di palette del gelato

che non possono camminare né amare

tranne che per mangiare

 

Ci accoccoliamo sulla spiaggia dell’amore

e siamo sicuri come solo gli occupanti abusivi sanno esserlo

tra le pozzanghere di rimasugli

di salmastre maree sessuali

e i dolci rigagnoli di seme

e molli uccelli sepolti

nella carne morbida della sabbia

 

E ancora ridiamo

e ancora corriamo

e ancora ci catapultiamo

sulle barche dell’amore

ma è più profondo

e molto più tardi

di quel che pensiamo

e tutto affonda

e tutti i nostri salvacuore ci vengono meno

 

E beviamo e affoghiamo

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1 COMMENT

  1. […] Il romanzo è feroce, la componente patologica che disintegra letteralmente la protagonista la convince di potersi lentamente trasformare in un vegetale, un albero, eliminando da se stessa la violenza della quale il consumo e anche la sola vista di carne morta, sanguigna, rappresenta per lei l’emblema. L’unico elemento che allo stremo delle sue forze Yeong-hye chiede alla sorella è acqua. Appoggiata a testa in giù ad un muro dell’ultimo ospedale psichiatrico in cui è ricoverata: gli alberi vivono con le braccia sottoterra e con le gambe all’aria. […]

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