Chinese Man | Il Risveglio del Dragone
Senza girarci troppo intorno, Racing with the sun dei Chinese Man è un album che mette di buon umore, fa sentire inaspettatamente pulp, giovani e freschi come rose. A me sa di domenica mattina paciosa, quando posso sculettare in cucina nella mia vera forma, ovvero con l’approccio mistico del bonzo che prepara il caffè. Sognante, placida e zitta.
I bought me a clock, a pretty good clock
To help me to tell the time
It awakened me every morning
With a very poetic rhyme
(Get up)
I Chinese Man non fanno una piega, mi dicono “If you please”, io non li capisco, loro non capiscono me, ma insieme ondeggiamo sinergici e c’incastriamo ad alto volume, senza bisogno di tanti discorsi e manuali d’istruzione, perché siamo gli spiriti liberi della strada noi, i tigrotti della giungla asiatica, balziamo di liana in liana e in tutte le variopinte divagazioni ondeggianti che vi vengono in mente purché comprendano iguane, bambù e piume di pavone.
Chinese Man è un collettivo di Marsiglia formato da cinque elementi e palleggia tra rap, swing, hip hop, reggae ed elettronica, ma tutto sommato il suo sound è abbastanza una tazza di ramen bollente e indefinibile, per questo mi piace. Attivi dal 2004, nel 2007 i cinque hanno aperto l’etichetta Chinese Man Records dopo aver fatto il botto: la loro I’ve Got That Tune è stata scelta per uno spot dalla Mercedes-Benz, da lì l’album di debutto The Groove Sessions, Volume 1, poi il successo nazionale e quello internazionale. Due anni fa Chinese Man è arrivato a farci ballare anche qui, ma io mi ingobbivo sulla farmacoterapia, nella miglior interpretazione della mancanza di tempismo.
Può starci che tu non abbia nulla di profondo da dire e che tu voglia semplicemente muoverti, fonderti e sfumare in un panorama karmico colorato di tinte accese, olè, possibilmente pensando che tutto possa andare bene, senza troppi paletti e categorie. Zen.
Bravi, quelli di Chinese Man, perché i loro bassi sono aperti, la dub non è fatta cadere dall’alto (o dal basso) e fa ballare senza richiedere troppo impegno, con l’indiscussa qualità di essere spiritosa in contorsioni yoga da fachiro indiano e percorsi di raccoglimento del ninja. La sfumatura generale è epico onirica, roba che ascoltando Racing with the Sun e la dub pura di One Past prima di pranzo capirete che Banderas come fantasia mattutina è un surrogato mediocre.
Io la mattina bevo caffè e sogno samurai e Banderas sta ai miei samurai come sta la margarina industriale al burro di malga.
Rispetto alle pubblicazioni successive, Racing with the Sun , uscito nel 2011, è un album dalla rima meno serrata e ricorda da vicino il successo della prima raccolta. Il ritmo intenso, i motivi orecchiabili e persistenti di un album nel complesso leggero, funzionano anche con chi in quanto a trip hop, elettronica e dub è di un’ignoranza caprina. D’altronde, confrontandolo con gli altri, è evidente l’intenzione di proselitismo, ed è quindi totalizzante nella sua atmosfera intensa e orientale, ma non troppo settario: l’espansione di coscienza del dragone avviene con ampiezza di movimento e in un’atmosfera illuminata, il giusto quantitativo di rime ricorda di gestire con piglio fluido la giungla urbana e di stare sul pezzo, ma soprattutto fa ondeggiare sotto cassa. C’è poi anche Remix With the Sun che è la versione dura e pura per chi trova la raccolta originale troppo ballereccia.
Ora, io parlo di colazioni, ma se ti ci dimeni sopra alle due di notte filano goliardici che è una meraviglia.
La mossa azzeccata è il subdolo crescendo. Ogni pezzo ha qualcosa di disparato che scrolla e risale le creste iliache, a partire da Morning sun che è un brano quasi totalmente strumentale, essenzialmente melodico e distaccato, per finire al solito primitivo scuotimento di bacino di J.O.G.J.A, la notte dei tempi. La dilatazione del suono e il ritmo armonioso vogliono ricordare in Ta bom poesia panteista e ascetico panta rei, ma sfociano nel trip hop insistente ma raffinato di Miss Chang. Non ci si può fossilizzare in sterili definizioni, qui c’è la fertile natura che t’invita a divampare selvaggio e armonico per raggiungere l’origine del mondo, e quest’album è bello perché multiforme e sfumato, senza il rispetto di alcuna rigida categoria prestrutturata.
Diciamo solo che lo balli tutto e una volta tanto stai zitto, liberi e non ti opponi, in perfetto accordo l’essenza Zen.