Chiacchierata notturna con Violetta Bellocchio
Ho passato una serata al telefono con Violetta Bellocchio. Nonostante la distanza e il non esserci mai incontrati dal vivo, la conversazione è volata sciolta per quasi quattro ore. Abbiamo discusso di tutto, dalla politica a Tinder, dal femminismo alle nostre passate relazioni concluse (no, non troverete i dettagli privati di nessuno dei due nelle prossime righe), dal cinema horror ai nomi dei gatti, con una facilità sorprendente. La competenza e il bagaglio culturale di Violetta sono spropositati e ammetto di essermi sentito spesso in difetto, ma in senso positivo: spronato, cioè, a conoscere di più, a leggere, guardare, ascoltare. Prendete il blocco degli appunti: vi servirà.
Ecco un estratto della serata:
Inizia lei, senza che io le faccia alcuna domanda, dice che vuole rompere il ghiaccio. Ci fa i complimenti per il progetto (non è piaggeria, è successo davvero! NdS) e mi racconta di trovarsi in una sorta di bolla fra l’ultima data estiva di presentazione del libro e la ripresa del tour e delle incombenze lavorative a fine agosto. È molto legata a “La Festa Nera”, e lo sta accompagnando in giro per l’Italia. Al momento della chiamata, però, si trova in vacanza proprio nei luoghi del libro, lungo la Statale 45.
Perché la Statale 45? Perché proprio quelle zone?
La Statale 45 mi ha chiamato. Conoscevo queste zone per pezzi di infanzia e ci sono tornata da adulta, quindi fa parte della mia storia personale. La crepa appenninica da cui è sbucata la mia famiglia due generazioni fa. Mio nonno, il primo che ha studiato, avvocato. Fascista convinto, molto deluso poi dall’alleanza con Hitler. Credeva nel rinnovamento. Io non l’ho mai conosciuto, ma rappresenta per me il DNA fascista dell’Italia.
Poi in queste zone ci sono tornata da adulta e nel libro mi piaceva l’idea di ricreare una geografia, sovrapponendo più strati: quello reale e quello letterario. Sono luoghi di forte bellezza, ma a passarci in macchina si notano molte case vuote: mai terminate oppure dismesse, abbandonate. Gli abitanti, soprattutto negli anni passati, sono emigrati. Negli ultimi anni, però, qualcosa sta cambiando: la gente sta ritornando e ci sono anche gruppi di turisti curiosi, stranieri quasi tutti, forse anche per la vicinanza con la Via Francigena. Anche da un punto di vista umano è un luogo strano: ci sono enclave macedoni, moldave, ucraine. Hanno avuto un inserimento pacifico e sono oggi ben integrati. Una mia conoscente è scappata da Reggio Emilia, come straniera non riusciva a sopravvivere. Qui in un comune di 1500 abitanti è diverso: chi si trasferisce qui cerca una normalità normale e libera. Ne ho discusso con un barista macedone da cui prendo il caffè tutte le mattine: forse è un’integrazione più semplice perché siete bianchi e avete una religione non così diversa? Ha riso e non ha negato.
Oltre al luogo, mi pare che anche il momento di uscita del tuo libro non sia esattamente casuale…
Ci troviamo in un momento storico elettrico: superstizione e creduloneria sono tornate ad essere padrone, ben al di là delle confessioni. È facile vedere il falso, credere ai vaccini che portano l’autismo, rifiutare la notizia e la realtà. Altrettanto facile prendersela con chi si applica perché le cose vadano meglio. È più o meno quanto ci diceva Carpenter ne “Il seme delle Follia” (ce l’ho in videocassetta! Chissà se esiste ancora un lettore di VHS… NdS), film adulto che non è adatto al facile spavento, ma piuttosto alla sottile inquietudine.
Anche per la cultura è uno strano periodo. Abbiamo vissuto per anni nel recupero nostalgico del passato. Abbiamo rivalutato ogni tipo di merda o raccontato nuovamente il passato, come fosse d’oro. Ora credo che anche questo sistema sia in crisi: siamo giunti alla fine della nostalgia, è il momento di passare al nuovo. Ma non è facile: in un momento storico come il nostro, le persone che consumano cultura cercano il conforto di un luogo sicuro. E il passato è sempre uguale, quindi è sicuro. È una crisi del presente. È difficile fare attivismo con la cultura, ma la cultura ha e deve avere un ruolo politico.
Vale anche per il linguaggio: è difficile trovare “scritti” i linguaggi moderni. I messaggi Whatsapp, internet ecc. Tu ci hai provato nel libro, parlando di Youtube, di shaming…
È ancora molto difficile usare questi linguaggi. Soprattutto nella letteratura! Al cinema è diverso, si può inquadrare lo schermo e funziona. Qualche esempio, molto mediocre per la verità, lo abbiamo. Ma sulla carta, come si fa? Una scrittrice umoristica Mallory Ortberg ha scritto con molto spirito e arguzia pezzi umoristici in cui si rielaboravano capolavori del passato tramite gli sms. Sullo schermo funziona alla grande! Ma poi ha pubblicato il libro e funziona decisamente meno. È poi è già su internet, come si fa? Perché comprarlo?
Io ci ho provato, ho anche inserito un meme (trovatelo. NdS). Mi piaceva l’idea che un meme sopravvivesse all’apocalisse. E soprattutto mi sono chiesta come avrebbero parlato le persone nel futuro prossimo. Non è facile! O sei Burgess e ti inventi un linguaggio completamente nuovo, oppure, checcazzo. Alla fine, ho optato per un italiano molto dritto, secco. Alcuni hanno un italiano più ricercato, ma spesso si tratta solo di slogan che gli hanno detto di ripetere. Un certo personaggio dice “Voglio diventare una persona meglio”, ma i restanti dialoghi dello stesso sono improntati a un linguaggio più normale.
Ti aspettavi questo successo?
Sì, me lo aspettavo. Ci speravo. Ma se dico di sì, sono una donna e sembra che sono arrogante e me la tiro. Sono stata padrona di tutto il processo creativo, fin dall’inizio. Anche su come è avvenuta e avviene la promozione: su come lo stiamo portando nel mondo. La dimensione pubblica del lavoro è purtroppo ineludibile, quindi cerco di renderla anche un’esperienza positiva per me. Ci piacerebbe essere Cormac McCarthy, vivere nel nostro ranch lontano da tutti e scrivere libri senza preoccuparci della promozione. Tanto andranno benissimo. Noi siamo donne e non possiamo. Anche nel nostro lavoro, il patriarcato è stato ampiamente introiettato. So che è così, quindi me la gioco e sto in pubblico. Non per essere presenzialista, e capisco anche l’invidia nei confronti di chi è più in vista, fa parte del gioco. Finché non ci sono meccanismi più sani, purtroppo, bisogna fare così.
Dicevi che hai seguito il processo creativo per intero: e la copertina? Per me è semplicemente bellissima.
La copertina piace moltissimo anche a me! Volevo una copertina che fosse identitaria! Volevo che il libro fosse un oggetto bello da avere, bello da volere. Un oggetto che si vuole portare al parco per una passeggiata. Molte ragazze si fotografano con la copertina e mi mandano le foto, quindi ci siamo riusciti. Una ragazza mi ha scritto per raccontarmi che è stata abbordata in metro da un ragazzo, incuriosito dal libro.
[Ma secondo te funziona anche a Monaco, le ragazze mi fermeranno in metro?
Secondo me sì, tu portatelo sempre dietro e in bella mostra.]
Ho fatto vedere 4 prove di stampa a un cartolaio amico mio. Ha subito scelto questa copertina, dicendo che gli ricordava “The Blair Witch Project”. Mi è piaciuta l’idea. Un’idea di femminile che non si sottomette: il libro gira intorno al concetto di sottomissione. C’è chi soccombe e chi no.
Concordo. E trapela da tutto il libro una forte impronta femminista. Tuttavia, il libro piace molto anche agli uomini (a partire da me) e non è una cosa scontata. Cosa ne pensi? Cos’è oggi il femminismo?
Mi leggono anche colleghi maschi, è vero, e molti uomini. Tutt’altro che scontato!
Per quanto riguarda la questione femminile, il femminismo italiano si suicida facendo seppuku ogni giorno, fra prese di posizioni classiste e problemi interni. Alcuni credono sia impossibile essere al contempo creativo e attivista. Entrambi è difficile, a volte. Un tempo forse era più facile: i giornali femminili pagavano anche bene, a volte scrivevi fregnacce a volte no. Ma si viveva in un ambiente positivo, che dava molto. Oggi è rimasto solo Freeda, che fa la sua parte anche con le giovani.
C’è stata calata borghese anche sul femminismo. Penso all’esempio di mia mamma che ha fatto la sua parte, ma da femminista capace anche di stare nel mondo (lavorava, aveva una famiglia, ecc.). Già allora lei mi raccontava che di come si prendesse il potere in maniera maschile anche nei gruppi femministi. Sembra quasi che il modello femminista ci venga calato dall’altro. Una cosa tremenda! Smettetela! Basti pensare al movimento “Se Non Ora quando”, te lo ricordi? Migliaia di persone in movimento, una cosa bellissima. Un momento di militanza felice, guarda quanti siamo: facciamo delle cose! Poi dopo qualche mese è tutto finito. Cosa è successo?
Anche la morale viene imposta dall’alto, ma questo succede in genere all’arte in questo momento, indipendentemente dal sesso. Si valuta la morale dell’autore in base all’opera e basta, e su questo si decide se si può pubblicare (e Nabokov?? NdS). Anche a me è successo, in passato. Venivo definita “fragilissima e instabile”: sono fortunata ad essere ancora in piedi! Sei una donna e diventi fragile e instabile, perché magari quel giorno non eri di buon umore. Devo essere rispettabile piuttosto che artista?
Eppure io credo che nell’ultimo anno e mezzo, qualcosa sia cambiato: forse le cose stanno migliorando. Abbiamo assistito all’uscita di diversi libri di strepitose autrici, cito Teresa Ciabatti, che ha improvvisamente tirato fuori un libro forte con uno stile pirotecnico. Ma anche Veronica Raimo con “Miden”, Simona Vinci con “La prima Verità”. E forse siamo anche in un momento di vuoto di arte maschile.
E Elena Ferrante? (Questa è una domanda privata, perché a me non piace; ma sono gusti personali)
La Ferrante è l’unica scrittrice italiana a non essere l’allucinazione di un editor maschio. Semplicemente non è il risultato di un editor che vuole lanciare un “prodotto femminile” ed un’autrice donna. I casi come questi in Italia sono pochi, penso al recente successo di Marza Zura-Puntaroni con “Grande Era Onirica”, ma sono casi limitati. Il rischio è finire a fare le ancelle maschili della cultura di sinistra: sempre sostituibili. Non diventi un personaggio e neppure piaci alle ragazze, perché ti sgamano subito. Io ho una fan base di ragazze giovani perché ho 40 anni e non me ne frega più un cazzo. Eppure sono io stesso stata scoperta da un editor uomo, però avveduto. Il fenomeno dell’anonimato per la Ferrante è venuto dopo al successo editoriale, poi magari ci ha anche giocato su, ma a quel punto era già affermata. Non è stata lanciata come anonima.
Cosa dici ai giovani che iniziano a scrivere o a fare arte?
I giovani artisti di oggi hanno molto talento, molto più di noi, di quelli della mia generazione. Scrivono meglio di come scrivevamo noi, hanno più strumenti, una immensa capacità di linguaggio. Il problema è che tendono a crollare alla prima difficoltà: da un lato non c’è prospettiva di crescita; dall’altro c’è il pensiero terribile del “chi me lo fa fare?”. Sono terrorizzata che tutto questo talento vada sprecato e non facciano un cazzo.
Non è solo colpa loro, ovviamente. Passa questo concetto, fra i giovani, che una cosa debba per forza essere popolare: se non cavalchi il trending topic non sei nessuno, magari però sacrificando quello che sei o quello di cui vuoi scrivere realmente. Ma allora perché un film come “Tre Manifesti a Ebbing” ha spaccato, fino a diventare il film dell’anno? Perché è ben fatto, anche se non è l’argomento del mese. Il contenuto ancora conta, se fai qualcosa di ben fatto dal punto di vista contenutistico, prima o poi ti sarà riconosciuto! Penso a Teresa Ciabatti o a “L’Arminuta”: autrici non giovani, che non escono da internet. Ma piacciono ugualmente tantissimo anche al pubblico giovane.
Ai giovani che vogliono scrivere o fare altro consiglio di allargare e imparare facendo. Buttarsi in progetti che magari sembrano distanti (questo è il mio primo vero libro di pura fiction), andare a vedere film che non si sarebbero altrimenti visti. Nel peggiore dei casi avete buttato due ore, ma avete conosciuto qualcosa di nuovo. Fare cose nuove va benissimo, basta provarci! Stai in un formato magari scopri che ti piace, scopri di avere strumenti in più per un romanzo. Bisogna provare, buttarsi.
Ci salutiamo che sono quasi le due di notte, senza aver esaurito un decimo delle domande che ho in testa. Ma se non è Sale della Vita, questo…