Cercami | André Aciman e le infinite pieghe del desiderio

Cercami | André Aciman e le infinite pieghe del desiderio

“No, io non ho mai amato: solo ora apprendo che cosa significhi.
Fin qui, nella mia vita, non vi era stato che preludio, attesa, spreco di tempo,
fino a quando non la conobbi, la amai, e allora veramente amai.”

(J. W. Goethe)

 

Una carrozza in partenza da Firenze, il trambusto dei passeggeri, un treno affollato.

Inizia con la descrizione di un viaggio Cercami, ultima fatica letteraria di André Aciman, in libreria dal 28 ottobre 2019. L’adattamento cinematografico verrà curato da Luca Guadagnino, regista di Chiamami con il tuo nome, pellicola vincitrice nel 2018 dell’Oscar per Migliore Sceneggiatura Originale e prequel di Cercami. Il primo romanzo narrava la storia d’amore tra Elio Perlman, adolescente italoamericano di origine ebraica, ed Oliver, dottorando ventiquattrenne ospitato da Samuel, padre di Elio, docente universitario di lettere classiche. La narrazione terminava con Elio che domandava ad Oliver, ritornato per pochi giorni al “limitar del Paradiso” (così viene chiamata la casa di villeggiatura in Liguria), di ritardare la partenza, prima di ritornare nel New England.

Se nel primo libro la vicenda seguiva l’attrazione della piccola comunità di provincia nei confronti del nuovo arrivato, la sua educazione sentimentale e letteraria, per poi indagare i turbamenti di Elio e la scoperta della sessualità, nel secondo si focalizza sul rapporto tra Elio e il padre Samuel, provato dal recente divorzio ed alle prese con una nuova storia d’amore. In una recente intervista lo scrittore ha spiegato che il secondo romanzo “potrebbe farci comprendere qual è il posto di questo giovane nel mondo, cosa vuole e cosa gli resta dopo il forte colpo emotivo accaduto anni prima: l’allontanamento di Oliver”.

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Aciman, ebreo sefardita nativo di Alessandria d’Egitto, costretto all’esilio per sfuggire alle persecuzioni di Nasser e docente di comparatistica presso la New York University, non ha mai nascosto il suo metro di riferimento non solo per la trama stessa, ma anche per l’introspezione psicologica dei personaggi: la letteratura greco-latina.

La classicità è volutamente inseguita, a partire dalla creazione in Liguria di quel paradiso artificiale che è rappresentato dall’oasi felice della villa del XVII secolo dove si sviluppa la vicenda ed il tempo appare cristallizzato e scandito dai pranzi e le cene organizzate dalla famiglia del protagonista. La scelta di collocare la narrazione durante l’estate non è casuale, come non accidentale appare l’idea di ambientare la vicenda tra la campagna verdeggiante dotata di fonti d’acqua dove rinfrescarsi dalla calura insopportabile.

“Proprio accanto all’acqua…”

 

Proprio accanto all’acqua i protagonisti leggono Eraclito e Heidegger; l’estrema limpidezza degli spazi liquidi prelude ad una vera e propria tragedia del desiderio (nell’antichità, ciò sarebbe culminato con la ninfolepsia, fenomeno di allucinazione erotica connesso ai luoghi solitari ed acquatici). L’acqua, inoltre, è spesso associata alla verginità e se, in un primo momento, ciò ben si sposa con l’apparente impermeabilità affettiva di Elio, presto anche lui soccomberà alla passione che divampa nell’atmosfera di panteistico edonismo che permea tutto il primo romanzo.

Il secondo libro, differentemente dal primo, è ambientato in quattro città diverse: Roma, Parigi, New York ed Alessandria d’Egitto. Il lettore si perde in compagnia di Samuel tra i cortili di Villa Albani e le statue di Winckelmann, l’Apollo attribuito a Prassitele ed il bassorilievo di Antinoo, amante di Adriano e canone assoluto di perfezione greca decretato dal neoclassicismo, grazie ad un ritrovamento a villa Adriana avvenuto nel 1735.

Oscar Wilde associò il volto senza tempo di Antinoo al potere divino che giace nel desiderio: “Incoronato di pesanti boccioli di loto, è apparso sulla prora del battello di Adriano, gli occhi fissi nel verde e torbido Nilo”, avrebbe scritto nel Ritratto di Dorian Gray. Proprio le sculture richiamano la sensualità della statuaria ellenistica, sovente accostata all’immaginario omoerotico e che ritorna con forza nel brano Mistery of love di Sufjan Stevens, utilizzato nella trasposizione cinematografica di Chiamami con il tuo nome: “Like Hephaestion, who died / Alexander’s lover / Now my riverbed has dried / Shall I find no other?”. Lo stesso Oliver, nonostante l’età matura (ha 44 anni), possiede ancora i tratti che caratterizzavano la sua bellezza quando era un giovane dottorando: l’aspetto fiero, i capelli biondi, il corpo atletico ed abbronzato, espressione di una giovinezza senza tempo.

Gli ambienti sono sempre ricercati: Elio, ormai musicista affermato, vive a Parigi, dove insegna al conservatorio, e proprio durante un concerto da camera sulla Rive Gauche avverrà un incontro che darà un senso, anche se fugace, alla monotonia delle sue giornate. Meno malinconica appare Alessandria, che riassume l’intera esperienza letteraria ed umana di Elio – e forse anche quella di Aciman, metropoli da cui scappa durante il colpo di stato di Nasser. In quella città c’è tutto: i ricordi dei protagonisti, i loro studi, la carriera dell’autore stesso; “ogni cosa che ha significato – Efeso, Atene, Siracusa – è finita qui”.

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La tentazione di interrompere la lettura e di riprendere fiato è fortissima, soprattutto durante la descrizione di un tramonto tratteggiato egregiamente, con il sole che muore dietro i frangiflutti nella patria che fu di Alessandro, Efestione, Ipazia e Kavafis. L’Italia che fa da sfondo alle vicende è idealizzata, quasi stereotipata; lo spettatore segue i protagonisti durante il loro languido vagabondare tra una pescheria a Campo de’ Fiori, la terrazza assolata di un attico affacciato sul Tevere, le cupole delle chiese. Questo amore dell’arte per l’arte si incarna nelle camminate lungo via Giulia, il lucido bagliore dei sampietrini di sera, la luce esigua dei lampioni, la statua del Pasquino. Similmente accade per le altre città: la Parigi descritta da Aciman odora di cera e bagnato, così come il bosco in provincia ricorda Corot e le strade richiamano l’effetto Brassaï, con la facciata delle case in stile palladiano.

Cosa resta dell’amore tra Elio ed Oliver, vissuto in pagine trasudanti dotte citazioni ed ambienti altolocati? La loro relazione assume i contorni del mito, sempre inseguito e mai raggiunto pienamente. I riferimenti a Mirra e Ciniro, le letture post-prandiali di Chateaubriand, la molle decadenza di Costantinopoli, gli studi inerenti a Fozio ed il suo Myriobiblion ci ricordano che le emozioni non andrebbero mai vissute sulla soglia, che i testi classici, per quanto insaziabile sia la passione con cui ce ne nutriamo, non potranno mai eguagliare i momenti in cui il tempo si ferma e che non significano nulla se non trovano una eco in qualcuno che si ama.

La gioia quasi pagana con cui Elio e suo padre godono dei piaceri della tavola, tra capesante e buon vino, stona con il vuoto delle loro notti, spese a ricordare amori giovanili. Oliver, anche nelle cene di facoltà in cui si discute di triremi e similitudini greche, nulla può contro i ricordi, affiorati violentemente durante un arioso di Bach, mentre le luci dell’Hudson illuminano Manhattan. Ecco infine sopraggiungere, per i personaggi all’apice della carriera, colpevoli di essere stati sleali unicamente verso se stessi, tutto il peso di anni vissuti come in una perenna sala d’attesa, intrappolati nella vita uomini già morti, tra crateri bui di amori naufragati. “Stavo sempre aspettando, ma era sempre qualcun altro che bussava alla porta. Ai seminari aspettavo che fossi tu ad aprirmi la porta; in un cinema, nei bar, ti aspettavo. Ma tu non arrivavi mai”, esordirà il padre di Elio.

I protagonisti ci tengono inchiodati al loro amore, così profondo da far perdere loro l’identità: “chiamami col tuo nome, io ti chiamerò con il mio”, sussurrava Oliver a Elio, mettendo così la propria identità nelle mani dell’altro e accogliendo, tramite l’amore, quella dell’altro nelle proprie. Elio, privato del suo doppio, non ha dimenticato e non vuole dimenticare, così come Oliver.

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Nonostante venti anni di forzata separazione, i due non hanno mai smesso di cercarsi: il centro di gravità rimarrà sempre il “limitar del Paradiso”, oltre l’Atlantico ed in una casa affacciata sul mare. È necessario partire, prima che l’incantesimo svanisca, prima che sia troppo tardi, prima che il peso di anni sprecati mozzi il respiro (l’autore cita il verbo greco opsizo, “arrivare tardi”, “essere colto dalla notte”). È finalmente giunta la stagione del profumo del rosmarino, dei campi di lavanda selvatica, dei girasoli con le corolle sollevate verso il sole che ci ricordano, ancora una volta, che il vero fulcro dell’esistenza umana rimane l’amore. L’amore vero, senza confini e vergogna.

Il tempo sprecato, le vite toccate e scartate rappresentano per Elio ed Oliver l’accordo finale che conclude un’aria lasciata incompiuta.

Cercami Oliver.
Cercami. E parlami ancora.
Tutto ciò che esiste sei tu. Tutto ciò a cui penso sei tu.

 

titolo | Cercami
autore | André Aciman
editore | Guanda
anno | 2019

Cristiana Roffi

 

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