Ce l’ho Corto | (A volte) le dimensioni contano
Ce l’ho Corto è un festival bolognese giovanissimo, dedicato al cortometraggio e nato l’anno scorso dall’attività di un gruppo di giovani dell’Associazione Culturale Kinodromo. Incontriamo Maddalena Bianchi, Presidente di Kinodromo e segretaria organizzativa del festival, e Alessio Chiappi, selezionatore.
Qual è la storia del festival? Quest’anno vi siete trovati a dover ripensare a un’edizione tutta digitale. Com’è stato?
A. Ce l’ho Corto ha una lunga storia, che nasce dagli associati più giovani di Kinodromo come rassegna dedicata al cortometraggio. Dopo diversi anni, constatando la mancanza di un festival che si concentrasse esclusivamente su questo formato a Bologna, ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti: perché no? La prima edizione del festival è stata un successo, e questo ci ha invogliato a portare avanti la seconda. Si spera siano le prime due di una lunghissima serie.
M. La maggiore difficoltà di quest’anno è stato dover ripensare tutto da capo in venti giorni, perché alla prima conferenza stampa a ottobre avevamo annunciato che il festival sarebbe stato in sala. Avevamo infatti deciso per la doppia modalità, quindi un piedino nell’online lo avevamo già previsto, per far fronte alla capacità limitata dovuta ai posti contingentati e per dare la possibilità anche a chi non fosse di Bologna di vedere una parte di festival. Siamo stati smentiti dopo pochissimo a causa del nuovo DPCM, e abbiamo dovuto ragionare su come riorganizzare gli incontri, trovandoci costretti a rimandare il contest e la sonorizzazione live, che abbiamo intenzione però di far risaltare fuori a breve.
La selezione ha avuto modifiche?
M. La selezione è identica a quella che avevamo pensato per la sala, per ragioni varie purtroppo i film saranno disponibili solo in Italia. La maggior parte dei distributori hanno acconsentito alla modalità online, evidentemente rendendosi conto che in questo momento è la soluzione migliore.
A. Un aspetto positivo dell’online è la possibilità di avere tanti ospiti che possono collegarsi da tutto il mondo, forse di più di quanti sarebbero stati presenti dal vivo.
Il festival ha un forte legame con la città e col territorio, ma in questo momento i confini del vostro pubblico si ampliano.
M. Dall’inizio ci siamo proposti di dare l’opportunità di essere visti a prodotti di giovani del territorio, ma senza rinunciare alla qualità cinematografica e senza che il fattore locale diventasse un vincolo nella scelta dei titoli. Soprattutto negli ultimi anni, abbiamo cercato di fare molta ricerca e di accogliere prodotti di diversa provenienza, aiutati anche dal fatto che lo stesso gruppo di organizzatori viene da luoghi diversi di tutta Italia. Nel nostro piccolo abbiamo cercato di ampliare la selezione oltre i confini nazionali. L’apporto che cerchiamo di dare alle produzioni locali è soprattutto quello “industry”, come abbiamo fatto l’anno scorso.
Parliamo un po’ del programma e delle sue sezioni.
A. Il festival prevede quattro sezioni: Ce l’ho Corto, Internazionale e Animazione, e una quarta sezione off che si chiama Ce l’ho Porno curata dalle ragazze di Inside Porn. La prima è un po’ l’anima del festival, gli dà il nome e viene dalla rassegna. Prevede una selezione di corti realizzati da cineasti under 30 in maniera indipendente e che non hanno una distribuzione. Siamo partiti dai circa 400 corti che ci sono arrivati, per poi scremarne un centinaio, fino ad arrivare alla selezione attuale.
Una cosa a cui teniamo molto è di tenere un certo equilibrio tra fiction e documentario. Un altro criterio è quello di dare spazio a corti più sperimentali, dato che il formato si presta a una libertà maggiore rispetto a certe dinamiche narrative. Per il resto, ci scorniamo abbastanza per venire incontro ai gusti di tutti, che sono molto diversi. Faccio nomi, uno dei miei preferiti e che ho voluto fortemente è Braise de Nuit di Laurent Saint-Gaudens, che ha un’estetica watersiana, dalle atmosfere piene e suggestive. Quest’anno per la prima volta abbiamo anche un paio di mockumentary.
Perché il corto?
M. La rassegna è nata così, e nel 2015 era un terreno ancora meno battuto rispetto ad oggi. È da un po’ che si vede un proliferare di festival dedicati al cortometraggio che lavorano ridando dignità autoriale a questo formato, non solo come prima prova registica di una troupe alle prime armi, ma come vere opere brevi del cinema. Con il tempo ci siamo affezionati, in particolare al cortometraggio molto corto, sotto i 15’ per la sezione Ce l’ho Corto e sotto ai 20’ per quella Internazionale
A. A confermare che non si tratta di un terreno di prova ma una scelta di formato che ha una sua rilevanza artistica, per esempio nella sezione Internazionale troviamo Cynthia di Jack Hickey. Il regista di questo corto è un attore inglese, che tra le tante cose ha recitato in Penny Dreadful, quindi in grandi produzioni. Quello che secondo me è un merito del cortometraggio è che nello stesso lasso di tempo di un lungo possiamo vedere 4 o 5 corti, e di conseguenza altrettanti punti di vista differenti, con un più ampio spettro di diversità. E questo è importante, perché nonostante viviamo in un mondo sempre più piccolo e paradossalmente più uguale, tendiamo a dimenticarci della diversità che lo caratterizza.
La quarta sezione, quella dedicata al genere porno, è una delle più seguite e apprezzate dal vostro pubblico. Com’è nata questa collaborazione?
M. Tutto è nato un po’ per caso, tramite Elia Andreotti che fa parte del nostro team e conosceva le ragazze di Inside Porn. Dal 2016 abbiamo iniziato a collaborare, prima nell’ambito di Kinodromo e poi con Ce l’ho Corto. Il primo titolo è stato un lungo in realtà, Porno e Libertà, di Carmine Amoroso. Da lì abbiamo iniziato a collaborare con altri festival italiani, come il Fish&Chips Film Festival di Torino, dedicato al cinema erotico ma con una sezione di porno, e l’Hacker Porn Film Festival di Roma, di cui le ragazze di Inside Porn hanno curato una selezione. Sempre tramite le loro conoscenze, abbiamo collaborato con i Rosario Gallardo, collettivo milanese, e Inside Porn ha poi curato una serata di corti di Erika Lust, maggiore produttrice nel settore non mainstream europeo al momento. Con la prima edizione del festival abbiamo fatto per la prima volta una call.
Ecco, ultimamente il discorso sulla pornografia è diventato più frequente e al centro del dibattito riguardo alla sessualità, ma anche solo quattro anni fa non dev’essere stato facile immaginare di portare il pubblico in sala a vedere porno.
A. Io l’ho vissuta come una cosa molto naturale, in linea con i nostri animi un po’ anarco-situazionisti, un po’ punk, e con la nostra volontà di indagare laddove gli altri non vogliono farlo, dando voce a chi non ce l’ha. Il problema si è posto nel relazionarci con le istituzioni, ma come associazione ci è da subito parso importante trattare questo argomento. La società è ipersessualizzata, ma di sessualità se ne parla sempre troppo poco.
M. A volte trovandoci in situazioni troppo punk anche per noi (ride).
Come avete scelto le giurie?
M. Dall’anno scorso abbiamo deciso di avere una giuria diversa per ogni sezione. Per la sezione internazionale avremo Giulio Sangiorgio, il direttore di Film Tv che è anche media partner, Anna Di Martino direttrice di Visioni Italiane e Laura Pizzirani che è un’attrice bolognese.
Abbiamo affidato il giudizio sulla sezione animazione ad alcuni studenti del Citem, coordinati da una professoressa dell’Alma Mater, perché volevamo che questa sezione fosse ancora più giovane, e perché servisse anche come formazione, organizzando un workshop dedicato al mondo dell’animazione, che non è quello a cui siamo abituati e non ha niente a che vedere con quella per bambini. La giuria della sezione Ce l’ho Corto invece è Sayonara Film e Elenfant Distribution. Il loro è un premio di distribuzione, quindi ci sembrava giusto che occupandosi di distribuire per un anno il film vincitore fossero loro a sceglierlo. In questo modo, oltre a creare delle connessioni, si dà un’opportunità distributiva a un film di un regista giovane ma promettente.
In un momento di confusione e spaesamento, in cui rischiamo che la cultura diventi sempre più on demand, come vedete il futuro in primis del vostro lavoro, e poi della sala e soprattuto del cinema? È ancora in grado essere uno strumento di resistenza politica e di dialogare facendosi portatore di una vocazione popolare?
M. Io ci tenevo tanto che Kinodromo in generale, e quindi non solo il festival Ce l’ho Corto, subisse una modifica verso quella che definirei mediazione culturale. Questo perché credo che ci sia una grande parcellizzazione tra tutto quello che possiamo vedere e fruire comodamente dal divano di casa, ma è proprio in questo momento che servono i mediatori culturali, per dare un indirizzamento ai percorsi di visione, di fruizione ma anche di crescita attraverso i media. In questo senso è importante che un’associazione come Kinodromo continui a proporre titoli con la giusta cornice e le giuste spiegazioni intorno.
L’altra cosa che vorremmo fare è di riavvicinare sia noi che il nostro pubblico ai festival, e quindi a percorsi culturali alti e rivolti all’altrove, anche sfruttando le possibilità dell’online. Ci piacerebbe selezionare film nei grandi festival e riproporli al pubblico che non è abituale fruitore di questo tipo di manifestazioni. Come ultima cosa, l’obiettivo è di rivolgere lo sguardo a ciò che accade in città, creando nuove connessioni con realtà simili alla nostra.
A. Da Don Chisciotte postmoderno, non posso negare che a me la dimensione digitale non piace. Sono un millennial, sono nato nell’era digitale e nonostante ciò ho fatto molta fatica a trovare l’ispirazione per continuare nel mio lavoro, perché credo che il digitale dia molto togliendo anche molto. Quindi la mia speranza è che si possa tornare al cinema il prima possibile, perché è nella sala che il cinema, sia nella forma del lungo che in quella del corto, può esprimere al meglio il suo potenziale e far conoscere in maniera popolare la diversità di sguardi e di pensiero.
In sala ci ritroviamo tutti insieme, gli spettatori con i lavoratori, avvicinando in maniera molto più immediata i punti di vista. Un altro grande rischio che vedo nel digitale è quello di sviluppare la cultura della gratuità, per cui dato che la visione è accessibile pagando il wifi, l’utente si chiede perché pagare anche il prodotto culturale? Quando basta guardare ai titoli di coda per avere un’idea di tutte le persone che lavorano dietro a un film. La sala, invece, ha il potere di restituire a pieno il valore di un’opera.
Il prezzo dell’abbonamento online è 3 euro (tutti i dettagli per partecipare si trovano in questa guida). Sarà possibile effettuare una donazione liberale a sostegno delle attività del Festival.
I cortometraggi saranno disponibili online sulla piattaforma streaming Open DDB.
Gli incontri e i Focus si svolgeranno in diretta streaming su Facebook e sul canale YouTube di Kinodromo.
I cortometraggi in programma saranno disponibili a partire dalle ore 18 per 24 ore, da mercoledì 25 novembre ogni giorno, con replica speciale dell’intera programmazione domenica 29 novembre.