Alla ricerca di Carnevali: i Racconti Ritrovati da d Editore
Dopo un lungo lavoro di ricerca ed anastilosi, d Editore pubblica i Racconti Ritrovati di Emanuel Carnevali. Nella forma racconto, libero dagli obblighi di coerenza e struttura, Carnevali narra una realtà visionaria e feroce, quella di chi cerca poesia e identità nella miseria delle periferie d’America.
Di nuovo, mi ritrovo a parlare di Emanuel Carnevali, dopo aver scritto su queste stesse pagine (web) de “Il Primo Dio”, il romanzo postumo degli anni americani del poeta. Questa volta tocca ai suoi “Racconti Ritrovati”, recuperati appunto e recentemente pubblicati da “d Editore”.
Nel breve respiro della forma racconto, slegato dagli obblighi di coerenza e struttura imposti dal romanzo, Carnevali narra una realtà visionaria, nostalgica, feroce; una realtà di solitudine ed emarginazione, quella di chi cerca poesia e identità nella miseria delle periferie d’America.
Il narrato e la lingua dei Racconti scaturiscono da questa ricerca frenetica: si mescolano prosa e poesia, materia e immagini evocativi, lucidità e malattia. L’efficacia di Carnevali sta nella sua anarchia; il lettore non può anticiparlo, solo osservare scorci di vita che nelle pagine acquistano un’intensità spesso parossistica.
Carnevali: questo autore nevrile e pazzoide, questa voce potente e disarticolata; da alcuni considerato l’ultimo maudit italiano, pressoché sconosciuto per tutti gli altri.
Un’opera, la sua, che soltanto per irregolarità ed originalità meriterebbe attenzione; per questo il lavoro di “d Editore” sui “Racconti Ritrovati” è così importante ed apprezzabile e volendo saperne di più ho fatto alcune domande ad Emmanuele J. Pilia, uno dei fondatori della casa editrice.
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Carnevali è un autore del quale ci si interessa poco. La sua fortuna, sottolinea Emidio Clementi nella prefazione a “Racconti Ritrovati”, si deve prevalentemente al passaparola.
Come è stato il tuo incontro con Carnevali? Come mai avete deciso di occuparvene ripubblicando “Il Primo Dio” e recuperando i testi che compongono “Racconti Ritrovati”?
Ricordo bene il mio incontro con Carnevali. Assieme a Valerio Valentini stavamo progettando una nuova collana di narrativa che avrebbe curato lui. L’idea era quella di andare a cercare quei testi che, nonostante il loro ruolo pionieristico, fossero stati dimenticati in Italia. A Valentini sembrava perfetto iniziare proprio con “Il Primo Dio”, e aveva ragione.
Carnevali è senza dubbio il più grande autore maledetto italiano. Il fatto che il suo lavoro non avesse trovato fortuna in Italia, se non all’interno di un ristretto circolo di adepti del suo nero culto, ci ha convinti a dare una seconda possibilità a un autore così elegante e così importante.
L’esperienza de “Il Primo Dio” è stata entusiasmante, tanto che nei due anni successivi alla pubblicazione abbiamo aperto una caccia spietata ai suoi racconti perduti, mal tradotti o semplicemente dimenticati.
Nella nota curatoriale si parla di anastilosi per l’opera di Carnevali. Come è stata la ricerca delle opere di Carnevali, che fonti avete utilizzato e quali le difficoltà di un processo di questo tipo?
Siamo partiti dal materiale pubblicato in Italia negli ultimi decenni, per poi andare a scavare dapprima nei cataloghi delle riviste statunitensi. In questo ci sono stati di aiuto alcuni archivi e un notevole numero di amatori del lavoro di Carnevali, tra cui un anziano archivista che ci ha permesso di accedere alla sua collezione.
Ci siamo accorti che, spesso, i racconti erano come composti di frammenti di un qualcosa che sembrava apparire più ampio.
Comparando i testi, le traduzioni, e le diverse versioni dei racconti che andavamo collezionando, ne abbiamo avuto conferma: spesso, ciò che appariva via via nelle riviste erano porzioni o frammenti di testi apparsi poi, nella loro integrità, in “The autobiography of Emanuel Carnevali”, testo composto da Kayle Boyle su istruzione dello stesso Carnevali e pubblicato postumo.
Non solo: spesso i testi tradotti in italiano mancavano di alcuni paragrafi rispetto alla loro versione inglese.
In questo senso, l’anastilosi che abbiamo operato è consistita nel ricucire i frammenti fra loro, al fine di dare a ogni racconto una propria integrità ed organicità.
Puoi farmi un esempio?
Il racconto “Danzando come un’opera d’arte” fu pubblicato per la prima volta, in forma parziale, sulla rivista “The Little Review”, nel 1919. Il racconto aveva una sua forma autoconclusiva, eppure sembrava interrotto, come non fosse concluso. Immagina la nostra sorpresa di ritrovare lo stesso racconto incastonato nel flusso di “The autobiography of Emanuel Carnevali” con una chiusa diversa, e diversi frammenti emergenti dal corpo del racconto.
Ecco, l’idea di anastilosi, per riprendere la risposta alla domanda precedente, è proprio quella di cercare di rispettare la volontà dell’autore.
Della raccolta, qual è il racconto che preferisci o con il quale hai sviluppato un legame particolare?
Forse, il racconto che più di ogni altro mi ha toccato è stato “Lasciatemi trovare il mio cuore”, in cui un ormai adulto Carnevali ricorda un suo amore giovanile, Giovannino, o Giooamin, come lo soprannominò lui. Amore che gli costò tutto, perché fu proprio la scoperta della sua bisessualità a costargli un tetto sulla testa. Il ricordo è dolcissimo, e il rimpianto di una vita sottratta è davvero struggente.
In conclusione, perché il lettore contemporaneo dovrebbe leggere Carnevali e riscoprirne l’opera?
Potrei elencare diversi motivi, ma mi limiterò a questo: la scrittura di Carnevali è un fatto di pura bellezza. Lasciarsi trasportare dalle sue parole è un’esperienza estetica potentissima e raffinata. Siamo felici di aver sottratto all’oblio molto di questo materiale.