“Buona vita a tutti” di J.K Rowling | Purché sia buona davvero.
Che cosa conta di più: che una vita sia buona o che sia lunga?
A questa domanda ha brillantemente saputo rispondere J.K. Rowling con un piccolo pamphlet per i nostri tempi. Buona Vita a Tutti, pubblicato qui da noi da Salani Editore, è un invito incoraggiante ed emozionante rivolto ai giovani di tutte le età, affinché non esitino a sfruttare la magia che hanno dentro per rendere il mondo un posto migliore.
Buona Vita a Tutti è il titolo del secondo capolavoro della Rowling dopo Harry Potter. Presuntuoso, direte voi, eppure ce l’ha fatta anche stavolta. A dispetto di tutte le polemiche nate su di lei quest’estate – polemiche che si eviterà di riaccendere in questo contesto -Joanne K. (K per chi non lo sapesse era l’iniziale del nome di sua nonna) non sbaglia un colpo dal ‘97.
Questo libro l’ho trovato esposto alla cassa della nuova libreria Mondadori, qui a Perugia, in Corso Cavour. Fiducia zero ai libri esposti alla cassa, ma mi serviva con una certa urgenza un regalo per Claudia, un’amica. Qualcosa di frizzante e leggero che si leggesse in poche ore. Così ho ceduto e l’ho comprato. L’ho comprato per Claudia, non per me.
Sul mio comodino, invece, Buona Vita a Tutti c’è arrivato due anni dopo, più o meno un mese fa. Ho ceduto di nuovo, ma stavolta non era per la fretta – e il libro non era nemmeno alla cassa, stava in quel reparto seminascosto che ibrida spirituale e motivazionale, un luogo dove s’incontrano Papa Francesco e il Dalai Lama ma pure i The Show, Michelle Obama e Paolo Crepet.
Ad attirarmi è stato il sottotitolo: I benefici del fallimento e l’importanza dell’immaginazione.
In questo testo che riporta il suo discorso del 2008 agli studenti laureati di Harvard, la scrittrice scozzese esplora due aspetti cruciali che lei stessa ritiene fondamentali per il raggiungimento di una buona vita.
Sorprendentemente, il primo è il FALLIMENTO!
Chi di noi ha un buon rapporto con il fallimento? Chi di noi lo preferisce al successo? Chi di noi lo reputa a priori essenziale per poter campare bene? Chi?
Probabilmente nessuno. Appunto.
La Rowling, dopo un breve cappello introduttivo in cui, rivolgendosi ai professori, agli alunni e ai genitori degli alunni (che lei stessa definisce “orgogliosi”), descrive senza esitazioni l’ansia e l’imbarazzo che hanno preceduto per lei quel momento solenne. Prosegue nel racconto di alcune esperienze salienti della propria vita che seppure nella loro negatività le hanno permesso di diventare la persona che è oggi.
«Ero convinta che l’unica cosa che avrei voluto fare nella vita fosse scrivere romanzi. Tuttavia i miei genitori, che avevano entrambi alle spalle un passato di povertà e ristrettezze e non erano andati all’università, consideravano la mia fervida immaginazione come una simpatica stravaganza, che non mi avrebbe permesso di pagare un mutuo ed assicurarmi una pensione. Insomma speravano che prendessi un diploma professionale, mentre io volevo studiare Lettere».
Così trovarono un apparente compromesso, Lettere Moderne. Ma di nascosto la Rowling s’iscrisse a Lettere Classiche, cosa che i suoi scoprirono solo il giorno della laurea.
«… rinunciai alla scalata del successo per andare in cerca dell’antica saggezza».
Di rientro dal Portogallo, a soli 7 anni dal conseguimento di quel titolo, con una figlia piccola ed un matrimonio fallito alle spalle, Joanne si ritrova ad Edimburgo senza un soldo in mano. Senza un lavoro e a stento un tetto sopra la testa.
«Quello che avevano temuto i miei genitori, così come quello che temevo io stessa, si era avverato e, secondo tutti i canoni comuni, non conoscevo nessuno più fallito di me».
La Rowling dice di aver toccato il fondo in quel periodo. Ma quel fondo le permise di eliminare tutto ciò che era superfluo, di guardare in faccia la realtà come non era riuscita a fare prima e di incanalare le sue energie nel portare a termine l’unico lavoro che le stava davvero a cuore: la scrittura.
Personalmente, non avevo mai visto il fallimento in quest’ottica. Non avevo mai pensato che fallire potesse rappresentare la chiave per far funzionare le cose, per toccare il fondo e risalire la china. Che dal fondo si potesse ricostruire la propria esistenza, avendo l’umiltà di ripartire dall’inizio.
«Fallire mi ha dato una sicurezza interiore» – afferma l’autrice – «che superando gli esami non avevo mai provato. Fallendo ho imparato cose su di me che non avrei potuto apprendere in nessun altro modo. Ho scoperto di possedere una grande forza di volontà e più disciplina di quanto sospettassi. Ho scoperto anche di avere degli amici il cui valore è di gran lunga superiore alle perle!».
Il fallimento viene dipinto come una sorta di conquista: «ciò che conquistiamo interiormente», attraverso di esso, «modificherà la realtà esterna».
C’è un legame, sostiene la Rowling, tra la vita di ognuno di noi e il mondo là fuori. Il nostro semplice far parte di questa Terra influisce inevitabilmente sull’esistenza di altre persone, sull’esistenza dell’ALTRO.
È l’IMMAGINAZIONE, infine, il secondo punto che affronta la scrittrice nel suo discorso. Immaginazione si traduce per lei non soltanto nel fantasticare su chi saremo, cosa faremo o chi sposeremo un domani, ma in quella forza trasformatrice e rivelatrice che si enuclea nel provare empatia per esseri umani, di cui magari non sappiamo nulla e con cui non abbiamo mai condiviso esperienze.
Empatizzare ci consente in qualche modo di metterci nei loro panni: quelli di chi non arriva alla fine del mese, quelli di chi vive in un perenne disagio sociale, di chi muore di fame o – ancora – di chi muore giovane perché non ha la possibilità di curarsi.
Empatizzare ci rende consapevoli di noi stessi e di chi abbiamo davanti, di quanto possiamo, alle volte, ritenerci privilegiati
È agli studenti di Harvard che parla Joanne, mica bruscolini. Ed è agli studenti di Harvard che parla, non a caso, in questi termini, affinché essi, nel mirare ad un carriera brillante, degna degli studi conseguiti, possano usare il proprio prestigio, le proprie risorse e le proprie potenzialità nell’interesse degli ultimi. Nell’interesse di chi non ha voce.
Ho pianto, alla fine di questo libricino, lo ammetto. Sono una manciata di pagine, l’avrete capito, ma così intense da far tremare un’Enciclopedia Treccani. Ho pianto (non è difficile per una sensibilona del Cancro come me), ho pianto non solo per la citazione finale di Seneca ma per l’augurio che l’autrice fa a questi giovani incoraggiandoli a tenersi stretti i propri cari e i propri affetti perché sono loro davvero l’unica cosa che conta e che conterà sempre, in futuro.
Riflettendoci è per questo motivo che sono tornata da Bruxelles qualche anno fa.
È per questo motivo che ho deciso di “fallire” anche io: per essere felice
«Non occorre la magia per trasformare il mondo. Dentro di noi abbiamo già tutto il potere che ci serve: il potere di immaginarlo migliore».
Maria Irene Phellas