Bon Iver | 22, a Million

Bon Iver | 22, a Million

Nebbia
Bon Iver mi ricorda la nebbia
Le cime dei pini coperte di brina.

Si tratta di un risveglio autunnale e vagamete intirizzito, quello cullato da 22, a Million, il terzo riuscitissimo incastro di Bon Iver in un album boreale in cui folk ed elettronica (ed è quasi Bjork e Imogen Heap) si intrecciano al richiamo di purezza corale.

Di Erica. Di brughiera.

Il tasto premuto ha la frequenza di un battito cardiaco -8(circle)- e di una vibrazione intima al limite della commozione, che sonda i profondi silenzi del primo mattino, in cui si rassetta il disordine della propria anima e l’entropia del sonno.

Ci si ritrova a ristrutturare con piccole, familiari accortezze, l’impalcatura della propria serenità –__45__– con la vista che spazia su una grande finestra fredda e luminosa (e io me la immagino – la serenità- come I Sette Palazzi Permanenti di Anselm Kiefer all’Hangar Bicocca, Milano e come Le Città Invisibili di Italo Calvino, come tutti i luoghi bianchi e puliti dove sono stata improvvisamente felice. Sotto questa costruzione ideale, al limite del mistico e dello spazio enorme, ordinato e platonico, potrei sentire rimbombare il pianoforte tiepido di -33 “GOD”)

psalms 33

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22, a Million è un album sereno come un ascetico percorso di visioni, sciamanesimo e astenia e rimanendo in tema di misticismo, Bon Iver è una guida estatica e concisa come un’epifania Joyciana. Soulfood, a place to eat e il richiamo della foresta, perché nella mia lingua posso solo scrivere e pensare, il dialogo è ridotto a un segreto a tu per tu con la mia anima.

-21 MOON WATER- Certi passaggi, certi abbordaggi, certe avventure sono momenti da affrontare soli, passo dopo passo nella distesa gigantesca che precede la scelta di una fra mille possibilità e l’intrecciarsi di sentieri e identità che il nostro sfarfallare avrebbe potuto accidentalmente imboccare, distratto da questo inguaribile senso d’inadeguatezza, di necessità di isolamento e spazio, tanto spazio -10dEAThbREasT-

I samples vocali di Bon Iver richiamano un panorama freddo e vergine, un eremitaggio -29 #Strafford APTS- in sconfinate distese brinate in cui lo scandagliamento del proprio sé ritorna un processo ancestrale.
I desideri, le necessità, gli slanci del proprio “io” sono gli interlocutori di 10 brani intimisti, in cui l’interiorità si schiude a un approccio corale, di fiati e sinth, oltre la dimensione urbana, lo scorrere inafferrabile del tempo e il dilatarsi senza senso e senza sosta dello spazio, del desiderio.

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