Black Hole. Quanto può essere profondo un buco nero?
Le cicatrici sono affascinanti.
Piccoli o grandi promemoria che marchiano in modo indelebile il nostro corpo e la nostra anima. Non frutto della naturale evoluzione del nostro corpo durante la crescita, quanto più di traumi ed errori: un piccolo incidente domestico, una curva male interpretata in bicicletta, qualche neo non troppo amichevole.
Le “cicatrici”, se così vogliamo semplicisticamente chiamarle, presenti in Black hole di Charles Burns, sono invece ben più visibili, vive e ributtanti.
Roba che difficilmente passa inosservata.
Anni ’70, sobborgo non meglio definito negli States.
Le radio passano quelli che poi diventeranno classici del rock, i giovani adolescenti scoprono le droghe ed il sesso, iniziando a muoversi al di sotto della superficiale patina perfezionista del sogno americano.
Keith Pearson è uno sfigato studente di liceo con una cotta per la sua compagna di corso di biologia Chris Rhodes, ma è del tutto incapace di farsi notare da lei, se non per il suo cuor non certo di leone mostrato durante la vivisezione di una rana a scuola. Lei, d’altro canto, ha occhi solo per Rob Facincani, tipo decisamente più cool.
Se il preludio narrativo può far pensare ad una banale teen comedy americana, c’è un piccolo dettaglio in grado di cambiare le tinte della storia. Proprio tra gli adolescenti, infatti, serpeggia il timore di un virus trasmesso sessualmente, in grado di modificare il corpo di chi ne è infetto anche in modo atroce. Se ne parla in giro, ma quasi con vergogna e con la consapevolezza di quanto sia sbagliato essere malati, col risultato che gli infetti, una volta individuati, vengono rapidamente messi ai margini della società. Basta addentrarsi nei boschi circostanti il sobborgo per trovare accampamenti di ragazzi malati, ormai troppo alterati nel loro aspetto per continuare la loro vita o semplicemente incapaci di gestire un segreto più grande di loro.
È un attimo: Chris si rende conto troppo tardi della bocca aliena di Rob, l’infezione è trasmessa e lo squarcio sulla sua pelle lungo la schiena lo urla chiaramente. Il resto viene da sé: l’allontanamento dalla famiglia ignara, l’abbandono della scuola, l’alcol e le droghe. E Pearson, “good guy” ingenuotto non potrà che scontrarsi con questa spirale di decadenza, come ogni buon crocerossino che si rispetti (figura mitologica e dannata della nostra società). Perché c’è sempre l’amore. Come può mancare l’amore tra i ragazzi? Ma in questa storia il lieto fine non è scontato. E quandanche ci dovesse essere, non sarà mai privo di sofferenza, sacrifici e perdite.
E le cicatrici, quelle cicatrici, saranno sempre lì a ricordarlo.
Da un punto di vista di linea narrativa, l’abbondante utilizzo di flashback e visioni oniriche non facilitano nel seguire una storia non troppo lineare e che in alcuni momenti tende un po’ troppo ad arenarsi. Ma sono proprio quelle visioni a caratterizzare nel modo migliore il distacco dalla realtà e la discesa nel buco nero, oltre che le paure e le fragilità dei protagonisti della storia, per cui meritano quella concentrazione in più necessaria per non perdere la bussola. Il loro carattere orrorifico e premonitore le rende tutt’altro che espedienti puramente estetici ed il contenuto lisergico richiama molto bene quelle atmosfere allucinatorie anni ’60-’70, pur se con toni nettamente più cupi.
Il tratto di Burns in Black hole, invece, riprende molto il fumetto americano degli anni ’70, con una anatomia un po’ spigolosa ed essenziale, che riduce l’espressività dei personaggi: il risultato è che questi non sono sempre graficamente così ben definibili e distinguibili. Personalmente, infatti, all’inizio della prima lettura – forse un po’ superficiale – ho avuto qualche difficoltà a distinguere personaggi come Pearson e Rob, se non nelle loro deformità.
Questo è, d’altro canto, interessante: difficile pensare sia caratteristica stilistica dell’autore più che ad una precisa scelta di caratterizzazione, nel momento in cui le deformità, nonostante non abbiano apparenti legami con i tratti caratteriali dei personaggi, siano molto più determinanti della fisionomia nel permettere il riconoscimento degli stessi. È molto più facile parlare del tipo con la bocca extra sul collo, della ragazza con la coda o di quello che è diventato il protagonista di Elephant man, per intenderci.
Un elemento in grado di dare carattere da un punto di vista grafico è anche l’utilizzo abbondante di china, a creare un marcato gioco di contrasto, in grado di sottolineare i toni cupi del fumetto. Sebbene la scelta rischi di risultare pesante ed indigesta, soprattutto ad un primo impatto, si adatta bene allo stile narrativo, risultando alla fine decisamente funzionale.
Black hole quindi non è un’opera perfetta, ma ha un fascino innegabile. Sia per l’aspetto narrativo che per quello grafico, ci sono delle evidenti debolezze, ma che in qualche modo contribuiscono a definire il forte carattere di questo lavoro.
Per non parlare del chiaro aspetto allegorico. Il parallelismo con la diffusione dell’epidemia di AIDS, iniziata silenziosamente negli anni ’70 e poi esplosa nel decennio successivo, viene immediatamente in mente. Questo non solo per le modalità di contagio, ma per la catastrofe sociale conseguente, in cui i malati emarginati, socialmente giudicati e senza possibilità di cura o redenzione, cadevano come foglie dagli alberi.
Volendo andare più a fondo, Black hole potrebbe essere una allegoria sul passaggio dall’adolescenza all’età adulta, con la definitiva perdita di innocenza e la presa di consapevolezza delle storture di una società, quella americana del tempo, apparentemente dorata ma destinata inevitabilmente a scoprire le sue deformità e l’alienazione di chi ne fa parte. Del resto, questa graphic novel è stata scritta tra il 1995 ed il 2005, per cui gli ingannevoli colori e lustrini degli anni ’80 avevano già lasciato il passo alla natura essenziale, ruvida e grunge degli anni ’90, in cui la solitudine ed il disagio sociale non sarebbero più stati tenuti nascosti, ma sarebbero diventati un sofferente urlo generazionale.
E, a distanza di altri lustri, quell’urlo non sembra esaurito, anzi.
Ed il buco nero sembra essere ancora aperto e più accogliente che mai.
Titolo: Black Hole
Autore: Charles Burns
Casa editrice: Coconino
Anno di pubblicazione: 2007