Ballate per uomini e bestie: tornare indietro per poter andare avanti
“Ma più d’ogni altra cosa a lasciare un segno in me furono le incisioni rupestri, Lascaux, la nascita dell’arte, del gioco, il primo momento in cui l’uomo si solleva dalla sanguinosa lotta di sopravvivenza e compie qualcosa di inutile.”
Così diceva Vinicio Capossela in un’intervista ad Artribune. Proprio l’ultima parola, “inutile”, si ricollega ad un’altra sua famosa frase, urlata dall’alto di una trebbiatrice volante ne Il paese dei Coppoloni: “Al Padreterno le cose inutili gli sono sempre venute bene!”
Il messaggio è chiaro: l’animale, troppo impegnato a dover sopravvivere, non può permettersi di contemplare l’inutile. Viceversa l’uomo, come Dio, può concedersi il lusso del superfluo che diventa l’essenza stessa della nostra umanità. Abbandonare l’inutile rappresenterebbe quindi una regressione evolutiva, sociale e politica in grado di far precipitare l’uomo in un nuovo medioevo (nel senso storicamente sbagliato del termine ma oramai linguisticamente accettato).
Ballate per uomini e bestie, ultimo album dell’autore teuto-irpino, racconta esattamente di questo.
Ballate per uomini e bestie non è un album particolarmente intimo e romantico ma è anzi il più politicizzato e attuale della discografia di Vinicio, con alcune canzoni che sembrano quasi uscite da un album di Caparezza – sia nel tono che nel messaggio (scusate, sono sicuro esistano accostamenti più calzanti ma le mie conoscenze musicali sono limitate a 4 o 5 nomi che mi devono bastare per orientarmi in tutto il panorama discografico).
E i veri protagonisti sono gli animali che, come nelle favole e nei bestiari pliniani, diventano portatori di virtù e peccati puramente umani. Essi sono l’analogia grazie alla quale possiamo guardarci allo specchio senza confrontarci direttamente col nostro riflesso.
In questo senso, l’uro della prima canzone rappresenta il totem grazie al quale siamo diventati uomini nelle caverne di Lascaux perseguendo l’inutile. Ma come l’uro si è estinto – o meglio, si è trasformato in mucca, chinando il capo cornuto alla legge della produttività antropocentrica – così l’uomo è cresciuto, dimenticando ciò che era e, troppo impegnato a inseguire l’utile, è precipitato in una voragine di prevaricazione. Innocenza e bontà, valori tanto semplici quanto inutili, hanno abbandonato la terra e persino Cristo si è rassegnato a tornare sulla croce.
Si entra quindi nel vivo dell’album con canzoni come La peste, Danza macabra e Nuove tentazioni di Sant’Antonio che sono i brani più infuocati del disco, quelli che urlano il loro messaggio con la foga di quegli esorcismi tanto cari all’autore. Grazie all’uso di rime incalzanti e di musicalità aggressive, seppur sempre sulle note di strumenti improbabili (come il cromorno), Vinicio ci canta del presente partendo dal passato che viene letteralmente aggiornato per poter raccontare la “peste odierna” di cui siamo tutti vittime. Si parla quindi di elezioni e di istinti bestiali, si parla di internet, di selfie, di Tiziana Cantone, di addomesticamento della natura e di banalizzazione della meraviglia, di vagabondi, di immigrati e di esodati.
Nella seconda metà dell’album invece, secondo uno schema consolidato nella sua discografia, si concentrano le canzoni dai toni e ritmi più pacati che vanno a riprendere molti dei temi trattati nella prima parte, ribaltandoli.
I musicanti di Brema ad esempio – vera e propria ode a tutti coloro che sono superflui, agli scarti e agli scartati – sembra voler essere una versione alternativa de Il testamento del porco: laddove il maiale trova quasi rivalsa nella morte che dà scopo alla sua vita, la compagnia scalcagnata di musicanti improvvisati si rifiuta invece di sottostare alle leggi che la vorrebbero sacrificata in nome dell’esubero e fugge, fiera della propria inutilità. Similmente, Ballata del carcere di Reading e La giraffa di Imola sono quasi testi speculari che cantano della libertà (o meglio dell’assenza di essa) e di come la morte possa sia essere sollievo per un carcerato che amara interruzione per la libertà appena conquistata dall’evaso.
Vinicio Capossela ha sempre preferito gli umili agli utili, e l’attenzione verso i disgraziati è da tempo uno dei cardini del suo pensiero (andatevi a risentire Dalla parte di Spessotto). Questo disco – composto da 14 ballate di lunghezza non comune (nessun brano dura meno di 4 minuti) – ne rappresenta forse la massima celebrazione. Prendetevi tempo per ascoltarlo, celebrate la lentezza…come La lumaca, protagonista dell’ultimo testo e probabile chiave risolutiva per la peste che ci affligge.
Siate lenti.
Titolo | Ballate per Uomini e Bestie
Artista | Vinicio Capossela
Durata | 76’
Etichetta | La Cupa