Questo è il terzo pomeriggio che spreco con Stravinskij: dopo pranzo, dopo il caffè, mi sdraio per terra e – come un automa, senza volontà – ascolto in loop Petruška. Non ho nemmeno un tappeto à la Big Lebowski, solo il gelido nudo pavimento. E Petruška. Petruška è ovunque, mi chiedo quante volte io possa ripetere “petruška” prima che mi si addormenti la lingua.
Questa è la quinta notte consecutiva che Anna Achmatova mi rimprovera in sogno, non ho ancora capito per quale ragione, forse è per questo che insiste, forse è per la mia ottusità: non è che mi rimproveri manifestamente, no, non sarebbe nel suo stile. Si limita a fissarmi – muta, ostinatamente -, e questo è sufficiente per sapere, con impietosa certezza, che mi disapprova.
Questa è l’ottava mattina che, seduta al mio tavolino col mio cornetto alla crema al pistacchio, osservo Sergej Esenin servire a Nabokov un tè bollente con quattro biscottini. Non mi sarei mai immaginata Nabokov con dei biscottini al burro. Né Tarkovskij e Dostoevskij a litigarsi l’ultima zeppola napoletana. Turgenev col cappuccino, sì, invece: lui sì.
Da quando ho conosciuto Jan Brokken questa città è diventata strana: e, soprattutto, non so che città sia questa. Se sia Torino, o San Pietroburgo. E se io sia io, o un personaggio di Gogol’.
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Jan Brokken, scrittore e viaggiatore olandese, torna ai suoi vent’anni, a quel suo primo viaggio a San Pietroburgo – correva l’anno 1975, e correva lunga la barba à la Solženicyn – e dichiara amore alla città: esattamente quarant’anni dopo, nel 2015, i suoi piedi tornano ad abitare San Pietroburgo – come il naso di Gogol’, come l’accetta di Dostoevskij – e così il suo amore.
Di tutto questo scrive un resoconto – un po’ diario, un po’ racconto di viaggio, un po’ saggio artistico e letterario – che dedica alla memoria della madre (di origini russe), che gli leggeva Anna Karenina, Pasternak e Čechov quando era costretto a letto, malato: scrive Bagliori a San Pietroburgo.
Una guida emotiva che scivola per le strade della San Pietroburgo letteraria, artistica, sonora: un tentativo di dare un nome (più nomi), un volto (più volti) – di dare consistenza – a quel sentimento di nostalgia e di meraviglia che proviamo alle soglie, sognate o reali, di questa città. Un tentativo di raccontarne il fascino seguendo una via testarda: la via della Letteratura, dell’Arte, della Musica.
“Se San Pietroburgo non fosse esistita, avrei inventato io questa città che sonnecchia sul fiume, come uno stato d’animo che mi corrisponde per sempre.”
Romanzieri, poeti, compositori e pittori. Jan Brokken li racconta uno ad uno, senza attardarsi: i suoi brevi capitoli si rincorrono spediti e incalzanti, sono pennellate narrative – accompagnate da molte fotografie – che suggeriscono un tratto caratteriale oppure un tratto biografico, e sono feline nel suscitare voglie, pulsioni, e nuove malinconie. Un libro da leggere, un film, un quadro.
Da Malevič – e il suo movimento artistico rivoluzionario, il “Suprematismo” – ad Anna Achmatova, la poetessa austera arrogante e sofisticata, di cui è inevitabile innamorarsi:
“Come praticamente chiunque – uomo, donna, giovane, vecchio – ero innamorato di Anna. Ero innamorato della sua raffinatezza. Della sua immagine, del suo mito e della forza con cui con poche parole sapeva aprire le porte della testa come del cuore. Nella descrizione di Iosif Brodskij era di un’eleganza incredibile e aveva gli occhi di un leopardo delle nevi, di un grigoiverde pallido – tremo al solo pensiero di occhi del genere che mi guardano. Si considerava pari a Lord Byron, Shakespeare e naturalmente Puškin, e si comportava in modo più aristocratico della nobiltà del secolo precedente. Citava poesie ad ogni cucchiaino di zucchero che metteva nel tè. Niente era comune in lei: riceveva ospiti e ammiratori come se concedesse udienza.”
Da Mandel’štam – la cui moglie Nadežda, per evitare che l’opera del marito andasse perduta, imparò tutte sue le poesie a memoria e continuò a recitarle regolarmente per non dimenticarne nemmeno una parola – a Tarkovskij, il grande regista. Da Rachmaninov e Šostakovič agli immortali Gogol’, Dostoevskij, Nabokov.
E, naturalmente, il giovane Esenin – “il Rimbaud russo” – che “perse tutto, ma non la poesia”. Qui interpretato da Carmelo Bene:
Per noi europei è forse naturale amare San Pietroburgo, e la sua luce e i suoi bagliori: è una città “culturalmente” europea, europea per attitudine – lo è sicuramente più di Mosca – e ci sembra di poterla leggere senza traduzioni, senza alcun intermediario.
Gogol’ scriveva nel 1836: “E che differenza fra loro due! Lei, Mosca, è restata fino ad oggi una vecchia barba russa, lui, Pietroburgo, è già un accorto europeo. Come s’è abbandonata, come s’è allargata la vecchia Mosca! Come invece si sa tener dritto quel moscardino di Pietroburgo! Mosca è una vecchia massaia che cuoce gallette, guarda le cose da lontano e presta orecchio senza levarsi dalla sua poltrona al racconto di ciò che capita nel mondo. Pietroburgo è un giovinotto discolo, che non sta mai a casa, è sempre vestito per uscire e, facendo il bello al cospetto dell’Europa, scambia saluti colla gente d’oltremare.” (da “Pietroburgo 1836”, Appendice ai “Racconti di Pietroburgo”, Nicolaj Gogol’, ed. Einaudi)
Se è facile amarla d’istinto, è però impossibile catturarla con la ragione, comprenderla spiegarla e raccontarla a parole: San Pietroburgo è inafferrabile. Come tutte le città-Personaggio, le città-Persona: come Amsterdam, Istanbul, Parigi, Budapest. Leggete questo articolo su Lisbona, e capirete cosa intendo.
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“Noi ci incontreremo a San Pietroburgo,
quasi avessimo lì sepolto il sole,
e per la prima volta la parola
sul labbro ci verrà, beata, assurda”
Osip Mandel’štam
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Da quando ho conosciuto Jan Brokken questa città è diventata strana: e, soprattutto, non so che città sia questa. Se sia Torino, o San Pietroburgo.
So che sono altrove, e che sto cercando una città.
In tutto questo universo-caos, fatto della prosa più elegante, di nasi volanti, soffitte asfittiche e di ciliegi selvatici, in mezzo a tutta questa meraviglia, raccolgo bellezza, ma non ancora il segreto.
Quello che mi rimane da fare è quello che fa Jan Brokken: raccogliere le foglie sparse dal vento di questa enigmatica città-Sibilla: raccogliere i suoi poeti scrittori pittori e compositori, che ne sono i narratori e i vaticini, che spesso l’han dovuta odiare e rinnegare, odiati e rinnegati a loro volta. Che spesso sono stati umiliati, zittiti, esiliati dalla critica, o dal regime: e che da lontano, dall’esilio, e dal luogo del dolore, l’hanno raccontata, e amata con quella tenacia morta e invincibile con cui si amano le madri-matrigne, le cose del tempo che fu, e quelle perdute.
Raccoglierli, e leggerli insieme: come tasselli di un unico enorme mosaico. Per vedere se dall’insieme così riunito compaia il disegno. E si sveli il mistero.
Titolo | Bagliori a San Pietroburgo
Autore | Jan Brokken
Anno | 2017
Casa editrice | Iperborea
Pagine | 220
Come ulteriori consigli di lettura a latere:
✎ La corsa del tempo. Liriche e poemi, Anna Achmatova, Einaudi
✎ Dove non si parla d’amore e altri racconti, Nina Berberova, Adelphi
✎ Confessione di un teppista. Poesie e poemetti, Sergej Esenin, Passigli
✎ Parla, ricordo, Vladimir Nabokov, Adelphi