Attack on Titan e la terrificante impotenza
Appassionati di manga e film di animazione giapponesi o no, ormai abbiamo tutti, chi più e chi meno, un’idea, seppur approssimativa e stereotipata, di questo ampio settore dell’intrattenimento pop del Paese del sol levante. Uno dei dettagli che accomunava tutti gli anime, manga, e film animati giapponesi che incontravo (o con cui mi scontravo) durante la mia adolescenza, era la loro strana, spesso inaspettata, passione per il disgustoso. Anche nel più sognante dei film dello studio Ghibli, anche tra le pagine del manga d’azione più lineare e sempliciotto, arrivava ad un certo punto, di sorpresa, qualche immagine o situazione stranamente ripugnante, o almeno disturbante – l’orrendo corpo deformato del Senzavolto della Città incantata che svomitazza inseguendo la piccola protagonista del film; o i genitori di lei che, come punizione per la loro ingordigia, vengono tramutati in maiali grotteschi e ripugnanti, sono le scene che ricordo mi sconvolsero di più quando, dodicenne, guardai per la prima volta questo capolavoro dello Studio Ghibli al cinema.
Da allora, ogni manga “maschile”[1] che ho avuto la fortuna o sfortuna di leggere, in particolare quelli riconducibili, anche alla lontana, al genere fantasy, mi ha a un certo punto sbattuto in faccia una buona dose di sgradevolezza – incuriosendomi assai e spingendomi ad interrogarmi sul perché. Ora, che ciò sia dovuto alla pacatezza esteriore di un popolo troppo squadrato e ligio alle regole che, soffocato da una vita talmente regolare e precisa e suddivisa in tappe quasi obbligate da renderla alienante, ha bisogno di un medium che gli permetta di fantasticare su “perversioni” represse, o invece sia una metafora di tale perversione, del marciume, nascosti in ognuno di noi, che cerca così di alleggerire un po’ il fardello di un’esistenza che dev’essere impeccabile pena l’ostracismo sociale, non sta a noi definirlo qui.
Quello su cui penso valga la pena soffermarsi adesso, invece, è il naturale ma ciononostante complesso passaggio da questo senso di disgusto e disagio, a quello di terrificante impotenza che assume significati metafisici. Attack on Titan, meravigliosamente intricato lavoro del mangaka Hajime Isayama poi adattato per il piccolo schermo, si concentra proprio su questo tipo di terrore paralizzante che ricorda gli abissi dell’orrore evocati dalla penna di Lovecraft, o dai migliori scrittori gotici del XIX secolo.
La serie si apre su un setting caro al genere post-apocalittico; l’umanità vive racchiusa tra tre cinte murarie concentriche dai nomi femminili, che sono state in grado di dare al mondo degli umani un secolo di pace. Tali altissime mura proteggono i pochi superstiti di una civilizzazione si presuppone fiorente e sviluppata come la nostra, dal loro unici nemici naturali – dei giganti gourmet di sembianze umanoidi che si nutrono di persone non per sopravvivere ma, a quanto pare, per puro gusto. Il protagonista della storia è un bambino di circa nove anni dagli occhioni verdi, Eren, difensore dei deboli e degli oppressi come il suo amichetto del cuore, il gracile e sognatore Armin, che viene costantemente preso di mira dai bulletti del villaggio. Eren vive con una bella mamma, un papà assente e misterioso che viene mostrato allo spettatore solo tramite flashback e che si rivelerà essere, molto molto avanti, un personaggio chiave della storia, e l’amica/sorella adottiva Mikasa, taciturna e invincibile, terrore dei suddetti bulletti. Il terzetto è curiosamente consapevole della minaccia esterna e della libertà monca che caratterizza le vite di tutti; il sogno di Eren è di unirsi un giorno agli Scout, il gruppo militare designato alle perlustrazioni all’esterno delle mura e all’attacco preventivo, mentre Armin, come un Alexander von Humboldt in erba, sogna di esplorare la vastità sconosciuta fuori dalle cinte murarie, e di vedere, un giorno, il mare. La cupa e affascinante Mikasa non ha sogni a noi noti, se non quello di essere sempre e per sempre al fianco di Eren per proteggerlo da qualunque pericolo (una missione ben dura, visto il carattere focoso del giovanotto).
Un giorno all’apparenza come tanti, l’enorme testa di un titano di dimensioni inconcepibili, fa capolino, avvolta di vapori ed esalazioni varie, da sopra la muraglia. Ed ecco che il senso generale di oppressione si tramuta, di colpa, in quell’orrore di cui sopra; il sangue si gela nelle nostre vene come in quelle di Eren e di tutti gli abitanti del villaggio, le cui vite stanno per cambiare drammaticamente. L’enormità di questo titano Colossale lascia senza fiato e paralizza le membra. Come davanti alla geometria non euclidea della città di R’lyeh inventata da Lovecraft, le cui proporzioni “troppo grandi per appartenere a questo pianeta” risultano più terrificanti della vista di Chtulu stesso, è la grandezza impossibile del titano a farci correre un brivido freddo lungo la spina dorsale. Abbattendo il muro come fosse fatto di mattoncini lego, il titano apre un varco ai titani normali, che si riversano nelle vie di un villaggio ormai in preda al panico, e si mangiano allegramente buona parte dei suoi poveri abitanti, tra cui la mamma di Eren. La fisionomia umanoide e grottesca dei titani e i loro volti dallo sguardo vacuo e spesso tirato in un crudele sorriso, così come la loro imprevedibile e sgraziata andatura, li rendono insostenibilmente orrendi – eccolo l’orrore più puro, quello che appunto paralizza i sensi e congela ogni facoltà intellettuale: la paura di un qualcosa così simile a noi, ma inequivocabilmente Altro.
Isayama è, quindi, prima un maestro dell’orrore che del fantasy distopico. Naturalmente la complessità della trama rende Attack on Titan un piccolo capolavoro del genere fantasy, con apprezzabili sfumature di commento e denuncia sociale; ma quello che più colpisce in questo primo, favoloso episodio, è questa capacità di paralizzare, anche solo per un attimo, i sensi del più avvezzo all’horror tra noi. Le animazioni, che ancora non immaginano neanche i livelli raggiunti nella terza stagione, sono piuttosto mediocri, e diversi momenti di azione frenetica che incorniciano una scena principale e contribuiscono a crearne l’atmosfera, sono spesso semplici disegni di una folla in fuga, ad esempio, mossi e/o accompagnati da linee di movimento, e completati da un gran vociare o scalpitar di zoccoli. Ciononostante, noi spettatori siamo talmente coinvolti – a bocca aperta dallo stupore o appunto terrorizzati – che quasi non facciamo caso agli espedienti tipici di una produzione a basso costo. Anzi, vi dirò di più; mi sono mancati un sacco, quando sono stati poi, ben più avanti, rimpiazzati da complesse e impeccabili, spettacolarissime scene dinamiche.
Ad Attack on Titan si perdonano tante cose: dalle caratterizzazioni e le relazioni tra personaggi piuttosto stereotipate e semplicistiche, alla suddivisione della trama, che, specialmente nella seconda stagione, è abbastanza grossolana (alcuni episodi in cui si svelano le storie e il passato di molti personaggi, certamente importanti, rivelatori, e piuttosto ben fatti, sono spesso tirati per le lunghe in maniera quasi ridicola, quando nel fumetto avranno sicuramente riempito una manciata di pagine molto più scorrevoli), e a dialoghi e situazioni che sono di frequente decisamente scontati. Gli si perdona tutto senza problemi, semplicemente perché il piacere che ci regala è puro e completo – con le sue belle scene d’azione e di combattimento, la sua trama intrigante, ricca di godibilissimi colpi di scena, e ben scritta, e la sua dolce crudeltà nei confronti dello spettatore, è insomma un prodotto di intrattenimento di altissima qualità. Guardare per credere!
[1] I fumetti giapponesi sono rivolti tradizionalmente ad un pubblico ben definito per età e sesso. Quelli per adolescenti, ad esempio, sono divisi tra Shonen per i ragazzi (esempi più noti al pubblico occidentale sono Dragonball, Naruto, Fullmetal Alchemist, ma anche Ranma ½) e Shojo per le ragazze (Candy Candy, Cortili del cuore). Crescendo, la divisione di genere rimane ma si fa meno netta, mi sembra – ma non sono un’esperta, chiedete all’Internet di chiarirvi eventuali dubbi!