Aspettando l’alba con Chet Baker

Aspettando l’alba con Chet Baker

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Per far bene certe cose ci vuole la notte e l’insonnia, come per fare bene l’amore o per ascoltare Chet Baker. Uso la disgiuntiva, perché ascoltarlo è un piacere privato, contemplativo e un po’ malinconico.

Era bello. I tratti accarezzati da una mascolinità gentile, i capelli tirati indietro con la brillantina o il ciuffo leggermente spettinato, maglietta bianca da “Rebel without a cause”, il James Dean del “cool jazz”.

La bellezza dei primi anni, immortalata da Will Claxton, velata dall’inquietudine celava la menzogna.

Il volto del ragazzo con la tromba d’oro si sarebbe trasformato per l’abuso di droga. Gli zigomi si sarebbero fatti sporgenti, le guance scavate e sarebbe stato costretto a portare una dentiera.

– “Descrizione non molto lusinghiera, non ti pare?”

– “Quando sei arrivato?”

– “Volevi aspettare l’alba con me. Che bella Torino da quassù, me la ricordo quando frequentavo lo Swing Club, ma prego continua.”

In questa carriera benedetta da un dono, ma stretta dalla fragilità delle sue qualità umane, spicca Chet Baker live in Tokyo, registrato 11 mesi prima di precipitare dalla finestra del Prins Hendrik Hotel di Amsterdam nel 1988.

–  “La mia lunga notte”

– “Eri impeccabile. La tua voce di velluto, avvolgente come l’oscurità”

– “Flirting with this disaster became me

– “ Io starò flirtando, ma tu sei scorretto citando Almost blue

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È la traccia della notte. La città è addormentata, le strade vuote, le finestre delle case riflettono  il passaggio veloce di qualche anima che rientra. Quelle illuminate, rare, attutiscono il senso di solitudine, siamo “Alone together”, ma senza Bill Evans al piano.

Su “Almost blue” di Elvis Costello, Baker ne cattura l’intensità, tenendo stretta la melodia, voce delicata, quasi androgina. Viene distillato quello che Charlie Parker, suo mentore, disse di lui: “quel piccolo gatto bianco” che ha soffiato “dolce, gentile, ma diretto e onesto”.

Fu il primo a capire che avrebbe dato del filo da torcere a Miles Davis e Dizzy Gillespie.

Il lirismo era una dote innata, dove gli altri si sarebbero dovuti applicare con ore di esercizio, a lui sgorgava in maniera spietatamente sincera.

Galleggiava nel veleno della tristezza “to be blue”, sorseggiandola come cognac, ma con grazia e toccandone la bellezza con morbida purezza.

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L’immagine più vivida di Baker sono i suoi occhi nel docu-film: “ Let’s get lost” di Bruce Weber. Chet amava circordarsi di ragazzi, in cui sperava forse di ritrovare la gioventù e i suoi occhi volano quasi indifesi come ucellini, in un volto martoriato dalle rughe ed emaciato, gabbia di filo spinato, sempre più simile a Pasolini.

There’s a part of me that’s always true…always.

Sta albeggiando, guarda, il cielo è solo più Almost blue, bambina. Ora sono stanco, voglio dormire (*) .”

“ Grazie, Chet. ”

“ Ricorda Not all good things come to an end.

 

Raccoglie la tromba come una bottiglia vuota di liquore abbandonata in un angolo e allontanandosi nella notte che sta volgendo al termine, intona Arrivederci di Umberto Bindi.

 

(*) (cit. da Urlatori alla Sbarra –  musicarello italiano, dove ritroviamo anche Mina, Celentano e Bindi stesso.)

 

Lorenza Sobrero

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