Aspettando i Naufraghi | Orso Tosco
“Non è forse questo il posto più bello di tutti?”
Non parlo mai male di nessuno. Neanche dei Santi.
Soprattutto non parlo mai male dei miei Santi preferiti.
Soprattutto non parlo mai male del mio Santo preferito: San Giuda.
La prima volta che ne sono venuta a conoscenza, non era durante l’ora di religione. Dell’ora di religione ricordo grosso modo solo il monologo in Will Hunting dove Sean Maguire (l’ho chiamato papà spirituale per diversi anni e tendo a non avere una buona considerazione di chi non abbia fatto lo stesso) parla dell’odore che c’è nella cappella Sistina, o qualcosa di simile – “o qualcosa di simile” è l’idea che avevo di tutto il film, all’epoca: l’insegnante aveva tagliato tutte le scene nelle quali compariva e apriva bocca Chuckie Sullivan (il perché lo potete benissimo immaginare), trasformando un lineare dramma di formazione di Van Sant in un jump-cut sperimentale al di là delle capacità sinaptiche di una dodicenne con poche certezze. Questo è stato per me un grosso problema, fino a che ho preso la licenza media, poi è rimasto un problema solo dell’insegnante di religione.
“Ti invoco nei casi disperati e nelle situazioni senza rimedio” è una delle cose che più mi ripeto nella testa quando ho tre secondi di tempo liberi. Tre secondi interamente dedicati a San Giuda, patrono delle cause perse (l’invocazione l’ho letta la prima volta su un’immaginetta che qualcuno mi ha lasciato sul vassoio della cena durante un ricovero in ospedale – non ricordo assolutamente chi sia stato, un po’ per colpa del cloruro di sodio e un po’ per colpa di quell’ingratitudine inconsapevole che mi contraddistingue sempre ma giuro-che-non-è-mia-intenzione).
Marcia insieme ad altre persone indaffarate a compiere azioni e a smentirle con altre azioni.
Una città che sta per essere invasa è una città pericolosamente calma, elettrica. Sembrano rendersene conto gli ospiti dell’Hospice San Giuda (proprio lui) ricovero per malati terminali – malati, ma ancora molto lontani da qualsiasi cenno di rassegnazione – situato non si sa bene dove/non si sa bene quando (credo che luogo e tempo non abbiano particolare importanza, in questi casi: l’indefinito non è rassicurante, ma è equo). Giusto per mettere le cose in chiaro: gli ospiti sono quelli buoni, quelli che oppongono resistenza cercando di ritardare la violenta inondazione finale.
Massimo dorme e sogna di essere a bordo di una macchina diretta verso un luogo che crea grandi aspettative, ed è consapevole di quanto gli convenga godersi le aspettative.
Aspettando i Naufraghi – se vogliamo continuare questo gioco, loro sono i cattivi – è la rappresentazione dello spazio, del territorio e dei suoi limiti valicabili: L’Hospice San Giuda è la sbiadita linea di confine (quella che si trova subito prima dell’ovest inesplorato al quale tutti si dirigono inevitabilmente, ad un certo punto, per semplice spirito di sopravvivenza e insaziabile curiosità) tra le città, simili a quelle che viviamo e conosciamo, e la caotica rivoluzione che i ribelli, invasori, violenti – i Naufraghi – hanno deciso di azionare nell’imminente per ribaltare qualsiasi ordine esistente. Non accettano dialogo, non accettano trattative.
Giochiamo per una volta agli indiani e ai cowboys: mentre scegli da che parte stare, comincia a correre.
Le città iniziarono a cadere vittime di ciò che la società ancora ritenuta tale chiamava caos, e che i Naufraghi invece non chiamavano affatto, perché interamente impegnati nell’esecuzione stessa.
La rivoluzione silenziosa dei Naufraghi – gruppo indefinito di persone che non tollera l’apocalisse e che quindi decide di diventarne la principale causa – è diversa da tutte le rivoluzioni delle quali avete sentito parlare: la loro rivoluzione è composta da un inarrestabile flusso di atti violenti, sì, ma in completa assenza di linguaggio. I Naufraghi non fanno altro che eseguire, agire. L’unico mezzo di comunicazione sono i gesti, gli atti che si succedono l’uno dopo l’altro. Una rivoluzione muta e violenta: la depressione verbale come unica risposta al sovraccarico di comunicazione, di informazione e alla dittatura della cronaca istantanea. Qualcuno, a questo punto, dovrebbe dire: Non voglio sapere niente. Voglio solo provare a scappare, anche se so di avere poco tempo.
Ad un iniziale suicidio di massa si succedono una corsa contro il tempo – per i superstiti – e un’inondazione pianificata e apparentemente letale. I protagonisti – buoni e cattivi – sono destinati a essere spazzati via, anche chi si illude di poter anticipare e ingannare l’avversario.
Chi sta annegando ha un’unica preoccupazione, quella di mettere la testa fuori dall’acqua. La sua vita è racchiusa in quel gesto, chiaro e necessario. Tutti i nostri gesti devono essere necessari e chiari. Perché la vita non è altro che una lunga distesa di azioni o di mancate azioni.
Azioni disperate, situazioni senza rimedio.
C’è però – come nelle più belle tradizioni – chi decide di opporre resistenza e non cedere all’orda barbarica 2.0, simile a un’affamata orda zombie che assorbe e ingloba chiunque si trovi lungo il suo cammino; c’è chi non vuole farsi travolgere, né gettarsi consapevolmente nell’oblio. L’umanità di questa speranza è anch’essa tenace, violenta e silenziosa, proprio come la sua contro parte.
Titolo | Aspettando i Naufraghi
Autore | Orso Tosco
Anno | 2018
Editore | Minimum Fax
Pagine | 218