#Ascoltiamoci

#Ascoltiamoci

Nell’accingermi a scrivere questo articolo ho avuto la tentazione di postare su Facebook una foto della mia colazione dove qualche primo appunto lasciato sullo schermo dell’iPad lasciava intuire un momento di produzione in corso. Appena dopo, invece, stavo per lanciare un Tweet contenente una citazione proveniente da uno degli articoli di questo numero. Quando è stato il momento di scrivere davvero, però, ho provato la strana esigenza di dover stare da solo.

Eppure in casa non c’era nessuno.

Chi, come me, si è appassionato (e non arreso, attenzione) alla logica dei “nuovi media”, sa che oggi la capacità di sintesi è un dono; che le esperienze più belle a volte possono o devono rientrare in 140 caratteri; che quel tramonto fotografato alla bell’e meglio può tranquillamente essere salvato da un filtro di Instagram. Dondolandovi sulla comodità di questa passione, però, non vi è mai capitato di chiedervi fino a che punto siete disposti a sacrificare la realtà? Una volta della gioventù restava il diario, oggi il termine è stato prestato alla timeline.

Su Facebook o su Twitter puoi davvero stare a guardare la gente. In un social network puoi scegliere se vivere, se convivere o osservare gli altri vivere. Puoi studiare la gente non più dalla finestra ma nella finestra: quella dello schermo. Meglio non dimenticarsi, però, che quello che stiamo a guardare non è altro che un mondo virtuale: una rappresentazione filtrata (ecco, appunto) della realtà. Una città invisibile, a dirla tutta, proprio come nell’intuizione letteraria di Italo Calvino che, da antesignano delle città globali che vivono nei social network, ci lascia un insegnamento più prezioso per i nostri anni che per i suoi.

Nelle città invisibili vive una proiezione di sé, una consapevolezza, un’estensione. Nelle città invisibili si proietta la vita, propria e altrui, in una spiccata necessità di sentirsi sempre superiori a qualcosa. Come nel fenomeno della social TV. Non esiste programma che non abbia un hashtag apposito per il commento su Twitter e una fanpage per il live blogging. Il talk show è l’evoluzione degli elitari dibattiti che ora fortunatamente entrano nelle case dei cittadini. Così puoi commentare con l’ospite stando tranquillamente in pigiama. Anche qui, attenzione: tutti possono finalmente dire la propria ma a volte sarebbe bene capire che chi grida di più, chi usa i toni più accesi o chi pecca di volgarità non aumenta le proprie speranze di essere ascoltato, anzi. L’educazione deve viaggiare anche in rete. Già, perché il punto è proprio lì. Tutti diciamo la nostra, ma mai in risposta. Oggi mi viene da proporre il compito a casa dell’ascolto. E no, qui non è l’Europa che ce lo chiede ma la coscienza, la buona educazione, la discesa dai troni che ci costruiamo a colpi di “mi piace”.

Insomma, “mezzo” è la via della comunicazione così come “mezzo” è l’aggettivo per la moderazione. In medio stat virtus. Senza abusare, infatti, la rivoluzione è un vantaggio per tutti e per tutto. Alcuni esempi? Negli articoli di questo numero, oltre alla già citata esperienza letteraria calviniana, vi racconteremo l’esperienza del found footage nel cinema sviluppatasi grazie (?) all’esplosione dei video amatoriali su Youtube. Lo faremo recensendo Chronicle, di Josh Trank. Vi parleremo della musica che cambia col mondo mentre le case discografiche si arroccano nei loro obsoleti castelli: lo faremo, in questo caso, raccontandovi la storia e le avanguardie di Amanda Palmer. Vi riporteremo, infine, la storia del blog “iMerica – cronache sugli USA”, un progetto che nasce dal web, quindi figlio della generazione 2.0, che ora sta (ri)sbarcando in rete con una nuova avventura: un ebook.

Nei e dai social network, dunque, torna l’uomo. L’importante, nello stare a guardare, è non smettere di cercare di capirlo, non smettere di stare ad ascoltarlo, non smettere di raccontarsi senza tradire, però, la realtà. Quel tramonto fotografato alla bell’e meglio, infatti, forse in quel momento non interessava a nessuno se non a te che, impegnato nel cercare il telefono, ti sei perso la vera bellezza e chissà…magari una mano timida che cercava la tua.

#Ascoltiamoci. #Nofilters.

Gabriele Zagni

 

 

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