Appunti da un mondo migliore. Any Other e altre donne in musica

Appunti da un mondo migliore. Any Other e altre donne in musica

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Girls To The Front. Any Other e altre donne in musica

“Il patriarcato è come la mafia: buona parte della sua mission, per così dire, è farci credere che non esista. Se pensi di vivere nel migliore dei mondi possibili, non ti viene in mente di cambiarlo, o comunque nemmeno sospetti l’esistenza di un sistema architettato nei minimi dettagli per stritolare i suoi elementi deboli e assicurare il successo solo a quelli che per nascita o abilità mimetica riescono a giocare secondo le regole.
Il patriarcato italiano è bianco, maschio, borghese: ti racconta che puoi avere tutto quello che vuoi, se lo vuoi, ma ti racconta anche quello che devi volere, a seconda che tu sia maschio, femmina, etero, gay, cisgender o transgender, bianco o no.
Ogni paese ha il suo patriarcato, ma il nostro è così: ha quella faccia lì, da signore di mezza età in giacca e cravatta che ti assicura, serissimo, che la sua azienda non fa distinzioni di genere nelle assunzioni e nelle promozioni, e lo fa essendo circondato interamente da maschi”
(Manuale per ragazze rivoluzionarie, Giulia Blasi, Rizzoli)

È passato quasi un anno dalla seconda edizione del Mosaico Festival, che nel settembre scorso aveva portato ai Giardini di Piazza Roma di Cremona alcune delle band più interessanti in Italia in fatto di suoni altri. Mamuthones, Stearica, Julie’s Haircut: che meraviglia.

Poi il mosaico si è scomposto in tanti pezzi, sparsi nel corso di mesi e spazi ed eventi in città e raccolti sotto al nome MosaicOff. Prima al Porte Aperte Festival, con l’esibizione dei Winstons (bel disco retromaniaco, il loro); poi all’Arci Festa, con il live dell’amata Any Other, preceduto dalla discussione “Che genere di talento?”. Sottitolo, efficacissimo: “Dalla formazione alla rappresentazione: lo sviluppo dell’immagine della donna come musicista professionista”.

C’era una buona cinquantina di persone radunata intorno alle nove davanti al piccolo palco dell’area-dibattiti. A menare le danze, le organizzatrici del Mosaico Monica Colella e Gaianè Kevorkian; a portare le proprie esperienze di vita in musica, invece, Laura Agnusdei (che l’anno scorso avevamo visto con i Julie’s Haircut e che quest’anno ho avuto la fortuna di ammirare anche a Trento e in solitaria, in apertura a un gigantesco Colin Stetson), Rita Lilith Oberti (che ancora suona con i leggendari Not Moving, forse il miglior garage/dark/punk uscito dall’Italia anni Ottanta: in questo momento Crawling assorda allegramente il vicinato) e Adele Nigro (cioè Any Other appena prima di salire sul palco).

Personalità diversissime a confronto, e non solo per mere ragioni anagrafiche o di stile musicale. Un’ora di dibattito rigenerante e non “a tesi” (uno degli obiettivi, mi ha confidato Monica alla fine: raggiunto, direi) che avrebbe potuto continuare per tutta la serata. Ma quantomeno si è grattata la superficie di un tema che arriva a coinvolgere le dinamiche stesse del tardo capitalismo: difficile fare di più in così poco tempo.

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Girls To The Front. Una serata con Adele Nigro e altre donne in musica all'Arci Festa di Cremona

Lilith lo sa, di essere una miracolata. Di fronte alla domanda di Monica su quanto avessero inciso gli stereotipi di genere all’inizio della carriera musicale, la cantante ha ammesso di non averne incontrati: cresciuta in una famiglia di stampo fortemente matriarcale, tutte le figure di riferimento per lei sono state femminili; e poi, a sedici anni, è arrivata la folgorazione del punk. Un ambito, aggiungo io, probabilmente più inclusivo della media sin dagli albori e quindi con un effetto-bolla più marcato.

Laura, invece, suona il sax da quando aveva 12 anni. Certo: la madre le aveva detto “ma quella è una cosa da maschi”, ma non le aveva messo i bastoni fra le ruote, e del resto studentesse che approcciassero lo stesso strumento non mancavano; però mancavano le insegnanti, modelli femminili cui fare riferimento.

Nel suo girovagare fra l’Italia e l’Olanda, Laura ha notato una sostanziale differenza proprio su questo punto: anche all’estero si trovano ancora poche insegnanti, ma il dibattito è molto più forte e i docenti devono rispondere di certi temi – un’abitudine a mettere in discussione l’autorità che qui da noi non esiste.

Adele, infine, è autodidatta. Ora sta a Milano, la sua piccola isola felice, ma è originaria di Verona, e sappiamo tutti cosa significhi questa città in termini di neo-fascismo, omofobia e misoginia: un posto dove tutti ti ricordano sempre qual è la tua identità, qual è il ruolo che devi rispettare. E il patriarcato lì è ancora più violento e condiscendente: “puoi permetterti di non essere brava, sei una ragazza” è una cosa che Adele si è sentita ripetere spesso all’inizio.

A quel punto è stato importante riuscire a costruirsi un cerchio magico e virtuoso di persone che la pensassero come lei, degli specchi in cui riflettersi e che le ricordassero che il problema non era lei, ma quell’agghiacciante mondo intorno. Un mondo a cui ricordare con ogni accordo, ogni nota composta, suonata e cantata: “sono una musicista. Non sono un uomo. E vi spacco il culo.”

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Girls To The Front. Una serata con Any Other all'ArciFesta di Cremona

“Il femminismo che vi stanno vendendo in questi anni è un femminismo pop, allegrotto, basato su generici proclami sulla forza delle ragazze. Essere felici nel femminismo è utile, se non proprio fondamentale – se fare il femminismo ti rende infelice, è probabile che tu lo stia facendo nel modo sbagliato; o forse la lotta non è per te – ma il femminismo è qualcosa di più che stare su un palco con la scritta FEMINIST a caratteri cubitali dietro le spalle. Quell’atteggiamento da regina del mondo non vale niente, se non lo metti a servizio di un cambiamento reale nelle regole del gioco. Gli slogan aspirazionali, i video di Freeda, le magliette con le scritte sono tutte cose carine e che mettono di buonumore, ma non bastano, se poi sei discriminata sul lavoro, molestata dal tuo professore, ridotta a un pezzo di carne nei media, costretta a digiunare dai consigli delle riviste femminili, uccisa dal tuo compagno perché l’hai lasciato” (ibidem)

Bisogna parlare di questi temi, problematizzarli: non si può non parlarne, perché il pop è un affare sociale (ottima killer line, Laura). E bisogna creare modelli positivi.

Nel mondo reale è ancora necessario, dice Adele, e infatti le lineup dei festival europei cambiano. Qui su SALT si è parlato ampiamente del New Normal al Primavera Sound, uno straordinario cartellone diviso equamente tra uomini e donne. Eppure ancora non basta, mi viene da dire: e se poi quella cosa l’avessero decisa venti maschi bianchi eterosessuali in una stanza? Allora sarebbe solo uno spot, un hashtag, e cui prodest? Vanno fatte saltare proprio le categorie produttive di riferimento. Se così non fosse, tre anni fa Monica non si sarebbe sentita dire da un musicista “voglio parlare con chi gestisce la programmazione artistica” (e ovviamente la responsabile era lei).

Servono azioni di gruppo per riappropriarsi di spazi e crearne di alternativi per abbattere gli steccati. Considerate una questione apparentemente da poco: nelle classifiche Billboard, il 60% del pop è donna, ma solo il 15% dell’hip-hop e il 10% dell’elettronica; per Laura questo è un altro simbolo da prendere a sassate, perché l’elettronica porta con sé un’aura di tecnicismo che per forza di cose dev’essere appannaggio degli uomini.

Servono azioni concrete dei singoli: Adele, dice, cerca anche ragazze con cui suonare, fa più attenzione a prestare orecchio alle musiciste donne. Perché il sistema ti costringe in una visione a tunnel in cui – se non apri bene le orecchie – quello che ti troverai di fronte sarà un panorama di musicisti uomini. Del resto, chiosa Lilith, non è la musica a essere storta, ma proprio l’Italia: guardate la politica, dice lei; ma guardate in ogni settore in cui vi muovete ogni giorno, dico io (potrei raccontarvi delle biblioteche, dove la gran parte delle bibliotecarie è donna, ma le donne dirigenti di sistemi bibliotecari si contano sulle dita di due mani).

Serve parlarne e ragionarci e problematizzare. Almeno fino a quando il sistema continuerà a definire e limitare le donne in quanto donne.

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Any Other live a Cremona

Sicuramente Adele non se ne ricorderà, ma una volta ho provato a dirle cosa pensassi dei suoi live: “i tuoi concerti creano comunità”, ho balbettato all’Ostello Bello di Milano. E non avrei altro da aggiungere nemmeno dopo il bellissimo spettacolo di ieri sera, in quartetto con il consueto Marco Giudici alle tastiere, Clara Romita alla batteria (tocco davvero personale: poca cassa, molto gusto, moltissimo jazz) e l’ottima new entry Jeanne Hadley al basso.

Una scaletta più ricca di quella abituale nell’ultimo tour, che solitamente prevedeva tutta una sezione dedicata allo splendido Two, Geography e poi un bis con due brani dall’esordio; qui, invece, oltre alle consuete Something (un piccolo inno alternative, in un mondo parallelo e migliore di questo) e Sonnet #4 (catarsi acustica dall’intensità rabbrividente, per noi che stiamo sotto al palco ma soprattutto per lei che si sta sopra, scossa e commossa), sono saltate fuori da quel lavoro di luccicante indie-rock almeno anche Gladly Farewell, 5.47 PM e To The Kino, Again (se questo pezzo l’avessero avuto gli ultimi Sonic Youth, Rather Ripped sarebbe stato un disco infinitamente meno palloso).

Nemmeno qualche piccolo problema tecnico al piano è riuscito a togliere magia a un’esibizione al solito emozionante ed emozionata che, a parte la già citata Sonnet #4, ha toccato vertici di pura bellezza in Walkthrough (la voce che sostituisce il sax dell’originale è un gioco che dimostra quanta gioia ci sia in Any Other nel semplice fare musica con quello che c’è), Mother Goose (l’altra esecuzione in solitaria della serata, nervi e cuore scoperti che ammutoliscono il pubblico e gli ricordano che non tutta la musica può essere usata come un sottofondo) e il calmo tsunami di Geography.

La sua canzone più bella, alla fine, per il modo in cui ci avvolge di corde e tasti e tamburi per ricordarci il vero motivo per cui siamo stati qui stasera: la visione di un mondo migliore.

if you can’t see the world
but through the lens of cynicism
what’s the point of even living?
there’s no point of trying it all

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Any Other live a Cremona

Si ringrazia Arci Festa per le (notevoli) fotografie: l’album completo sta qui. Altro promemoria: per i prossimi appuntamenti MosaicOff tenete d’occhio la pagina ufficiale del festival.

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