Di stelle, comete e lune. Il nuovo album di Any Other
“Il disco precedente era stato letto – in parte anche a ragione – come quello di una ragazzina che ha fatto un lavoro onesto, diretto, grezzo – non voglio dire povero, perché dal punto di vista musicale non penso lo sia – ma elementare; d’altronde era il primo disco e non suonavo nemmeno da troppo tempo, quindi andava bene così. Con questo volevo scrollarmi di dosso tutto ciò, la mia aspirazione è quella di fare la musicista, quindi ho studiato e studio per migliorare. Mi sono detta: “ok faccio tutto io, ce la posso fare”. Non che ci sia niente di male nello stare in una band, anzi. Ti confesso, però, che mi è successo più di una volta che – sempre per il disco vecchio – i meriti venissero dati ad altre persone, ad esempio a Marco, perché se c’è un uomo che suona allora è bravo, invece se ci sono delle donne non sanno suonare, e io ho mi son detta: “Basta, adesso faccio vedere che in realtà sono una brava musicista, sono molto capace e quindi provo a fare da sola il più possibile”. Ed è stato proprio bello.” (Da un’intervista di SentireAscoltare, questa)
L’ho vista per la prima volta di persona solo qualche settimana fa, Adele Nigro, e perdipiù non era nemmeno un concerto tutto suo: se ne stava alla destra di Colapesce, a colorare e insaporire ancor di più il suono già denso della banda del cantautore siciliano, alternandosi tra chitarre e sassofono e avvicinandosi al microfono di tanto in tanto per lasciar sfogare quella voce già così sicura, matura nonostante la carta d’identità dica millenovecentonovantaquattro; un gran bell’incontro di talenti, quel palco. E però noi appassionati Adele l’aspettavamo al varco per il suo secondo album a nome Any Other, Two, Geography, atteso per questo settembre a seguire di tre anni l’esordio Silently. Quietly. Going Away. La prima, succosissima anticipazione era arrivata alle porte dell’estate: si chiamava Walkthrough e aveva tutti i crismi della folgorazione certa.
Un pezzo dal fascino straordinario, costruito su un crescendo che non esplode mai in un ritornello cantato – come ci si aspetterebbe da una canzone che giusto per comodità o pigrizia potremmo inquadrare in coordinate indie/folk/rock – ma trova invece i ganci migliori e più efficaci in piccoli segnaposto che fanno capolino e poi ritornano lungo i cinque minuti della composizione; come se il borbottio dei fiati o lo zampillare del piano volessero dirci “siete già passati per di qui, solo una con una luce diversa”. Walkthrough, che arriva quasi subito – appena dopo l’onda anomala di A Grade, posta in apertura – mette in chiaro i tanti riferimenti sonici dell’album: è ancora forte l’influenza di un indie dalle tinte nineties, con melodie svagate su cui la voce dondola divertita (niente slackerismi però, qui), ma ad esso va ad aggiungersi un’attitudine quasi bandistica che, tra archi, fiati e disturbi vari, mette insieme jazz e i soliti Built To Spill, Jim O’Rourke e Jeff Mangum, la leggerezza pop di Leslie Feist (che però un disco così se lo sogna, detto fra noi), la spigliatezza perfettamente spettinata della Nina Nastasia di Dogs e degli strani Wilco passati subito da Summerteeth a Sky Blue Sky.
Sono davvero pochi i momenti in cui Adele si ritrova sola con la propria chitarra, in Two, Geography: uno è la dolcissima Mother Goose, che somiglia tanto allo svegliarsi la mattina presto con gli occhi umidi, senza sapere bene perché; l’altro è la chiusa di A Place, che impiega appena due minuti a dire quello che ha da dire e decisamente meno per farsi ricordare. Il resto è un vero torrente di pura gioia sonica: Breastbone, per dire, comincia con un veloce arpeggio d’acustica e gli archi a far da controcanto; quando la voce attacca, una batteria spazzolata prende a stantuffare in lontananza e man mano s’avvicina, preludio di un chissà cosa che non arriverà mai. Centocinquanta secondi perfetti, che dicono di come la Nostra ami giocare con le aspettative dell’ascoltatore in fatto di composizione e crei con questo Two, Geography un canone tutto suo, immediatamente riconoscibile.
Perkins e Capricorn No sono le canzoni più tradizionali di un album che piazza dolcetti e scherzetti a ogni angolo, divertendosi un mondo: la prima comincia che è solo voce e chitarra e poi si apre a un finale classicamente rock, incorporando elettriche strapazzate con classe e batteria; la seconda affascina con un piano elettrico luminoso e perfettamente incastonato in una ritmica piena di stacchi e ripartenze, mentre la voce s’inserisce nel tessuto strumentale con una facilità di canto impressionante – l’identica sensazione che si prova ascoltando Julien Baker o Sidney Gish, giusto per fare due nomi contemporanei.
A fine programma, poi, s’inciampa nell’altro grande gioiello del disco. Geography ha un minuto introduttivo di pura ambient, in cui la voce definisce da sola l’assetto melodico del brano; poi arrivano elettriche liquide e sparsi colpi di batteria, qualche soffio di sassofono e un motivo incalzante di più voci sovrapposte. My mind can’t resist when you’re gone, dicono le tante Adele, ed è una malinconia dolorosa e soverchiante, sebbene si tenti di celarla sotto un mare di accordi ariosi; ma alla fine tutto si svuota e si rimane soli con lei, a sentirla ricordare mentre le luci attorno si abbassano. Un momento di musica nuda e bellissima, in cui la vita vera viene tradotta in puro suono con una delicatezza che fa di Adele Nigro, qui e ora, una delle voci più singolari e significative che si abbia la fortuna di ascoltare e veder crescere.
Titolo | Two, Geography
Artista | Any Other
Durata | 34’
Etichetta | 42 Records