Non so se sei vivo o sei perduto per sempre | Anna...

Non so se sei vivo o sei perduto per sempre | Anna Achmatova

Un ritratto di Anna Achmatova

Non so se sei vivo
o sei perduto per sempre,
se posso ancora cercarti nel mondo
o ti debbo piangere mestamente
come morto nei pensieri della sera.

Ti ho dato tutto: la quotidiana preghiera
e la struggente febbre dell’insonnia,
lo stormo bianco dei miei versi
e l’azzurro incendio degli occhi.

Nessuno mi è stato più intimo di te,
nessuno mi ha reso più triste,
nemmeno chi mi ha tradita fino al tormento,
nemmeno chi mi ha lusingata e poi dimenticata.”

(Slepnevo, estate 1915)

Anna Achmatova, da Lo stormo bianco, 1917

Nessuna vita meglio di quella di Anna Andreevna Gorenko, più conosciuta con lo pseudonimo di Anna Achmatova, racchiude in sé le cicatrici lasciate sul popolo russo, e poi sovietico, e sulla sua intelligencija dalla rivoluzione bolscevica prima e dallo stalinismo poi. Speranze, contraddizioni, paura e compromessi sono alla base dello straordinario talento poetico che Anna rivelò in più di cinquanta anni della sua produzione, seppur con lunghe interruzioni. Una vita spesa nell’amore contrastato per una patria che, a differenza di molti altri intellettuali e artisti, non abbandonò mai e che la ripagò amaramente condannandola a lunghi periodi di isolamento e impose l’oblio a molte delle sue raccolte.

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Questa lirica è tratta dalle sue opere giovanili e scritta nel luogo ove la poetessa visse sino all’adolescenza. Rivela delicatezza, gusto del minimo e sensualità apollinea quali primizie della sua poetica, quella che, maturando e ammantandosi di strazio, conquisterà, ispirerà e diverrà la voce addolorata delle donne di tutta la Russia. Con un’efficace metafora, il critico russo Ŝklovskij paragona la poesia giovanile  dell’Achmatova ad un raggio di sole penetrato in una stanza buia: una lama di luce che illumina vividamente uno spazio esiguo. Il rilievo si riferisce ad una poetica vista come circoscritta al massimo, limitata quasi esclusivamente alla sentimentalità.  Negli scritti della poetessa russa, tuttavia, l’equazione “amore=sofferenza” non ha bisogno di motivazioni esterne quali abbandoni, tradimenti, gelosie: si pone, sovente, in quanto tale. Analogamente, non vi è mai nei suoi versi un processo di sublimazione dei propri sentimenti: ciò che li caratterizza è una lucida coscienza, una visione razionale dell’eros, vissuto per questo, poiché privo di illusioni, ancora più dolorosamente.

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Ci appare difficile comprendere, in un’epoca di perpetua connessione, ove è pressoché impossibile scomparire senza lasciare traccia, il significato dell’assenza, dell’abbandono. Ci sembra complesso immaginare lo stato d’animo di chi si trova nella posizione di non sapere nulla del destino di una persona che, seppur nolente, ama.

L’Achmatova ce lo dona, in tutta la sua cruda nudità.

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