Anima | Wajdi Mouawad
La guerra – qualsiasi cosa essa sia – incombe su tutto, macchia ogni anima, digrigna le zanne.
Anima e’ un coagulo di violenza.
E’ un viaggio scomposto nella tenebra dell’agire umano, lungo l’orrore delle vite strappate e i confini degli Stati confederati. Prende d’esempio una manciata di morti ammazzati per raccontare l’agonizzare proprio di tutte le guerre: un urlo di dolore fra righe elegantissime. Le voci, le moltitudini di coscienza che cantano queste stragi in sprazzi di poesia – sono quelle delle bestie.
Un uomo torna a casa, per trovare l’amore della sua vita massacrata davanti al camino: rotta e violata secondo una logica ancestrale e disumana. Si mette alla ricerca dell’omicida, del macellaio, per guardarlo in faccia e assicurarsi di non contemplare il riflesso di uno specchio. Il gatto osserva, il gatto racconta – il gatto si augura che l’uomo torni a carezzargli la schiena. Per ogni capitolo, un animale traccia in prosa una lirica emotiva e spietata, secondo i propri metri di percezione: vi saranno raggruppate le bestiae verae, le bestiae fabulosae, il canis lupus lupus che nelle sue pagine tesse un inno ferreo all’amicizia – e infine, l’homo sapiens sapiens, perche’ “il cielo non ha visto niente di piu’ brutale dell’uomo”.
Alla prima morte seguiranno altre: non saranno che una scusa per indagare un microcosmo pseudoamericano di non leggi, non luoghi, non vite. Wajdi Mouawad, drammaturgo amatissimo nei paesi francofoni, spinge il suo testo fino alle mafie degli amerindi, fino alle reinterpretazioni della battaglia di Gettysburg, fino a storici del Libano che si prestano a divellere orrori indicibili, ben piu’ incastrati nelle pieghe omertose della storia. Fino al punto in cui il protagonista mai narratore, l’uomo che “un tempo, in un modo che nessuno conosceva, aveva legato il suo destino a quello delle bestie” non indovina che il carnefice, l’orco, era sempre stato dietro l’angolo, a un autentico tiro di schioppo. L’umano e’ un corridoio e ogni umano piange il suo cielo scomparso. Riaffiora la storia maledetta di Sabra e Chatila, di Valzer con Bashir, di quelle settantadue ore in cui le notti furono un unico, lunghissimo giorno sotto il deflagrare dei razzi israeliani. La guerra – qualsiasi cosa essa sia – incombe su tutto, macchia ogni anima, digrigna le zanne.
Ho scelto questo libro, in mezzo agli altri sullo scaffale, perché m’illudevo d’avere sottomano una perla ecologista, uno spunto sensibile, un romanzo lirico e forse, in qualche modo, e’ cosi’: Anima pare un testo mitologico, arcano, spogliato di quei dettagli in grado di limitarne gli estremi dell’intreccio. Che mancano i perché, mancano i raccordi di logica, i confini lucidi di ciò che si pensa e si fa. Ma ci sono percezioni densissime, pietà umana e animale e pena profonda per i destini di ogni creatura – dirà Tomahawk, la scimmia: “gli umani sono soli. Malgrado la pioggia, malgrado gli animali, malgrado i fiumi e gli alberi e il cielo e malgrado il fuoco. Gli umani sono sempre sulla soglia. Sperano nella venuta delle divinità, ma non vedono gli occhi degli animali che li guardano. Non sentono il nostro silenzio che li ascolta. La maggior parte di loro non fa mai il grande passo dell’irragionevolezza, e quando le loro mani sono vuote, se le portano al viso e piangono. Sono fatti cosi’”.
La natura e’ scardinata dalla propria personificazione salvifica – c’e’ la tragicita’ delle vite brevi, ma c’e’ anche, un po’ nascosto, lo splendore delle parole belle che abbiamo partorito: e fioriscono nei discorsi delle bestie citazioni dantesche, poesie di Dylan Thomas against the dying of the light, Cyrano e i ditirambi e Albert Camus, e ancora Davreu e il teatro di Sofocle. I pipistrelli citano Céline: “i suoi sogni sono affiorati nella notte. Noi li abbiamo protetti. Abbiamo divorato i suoi incubi” – viaggio al termine della notte, per loro che vedono solo al buio.
La prosa e’ cosi’ bella che fa male: c’e’ un capitolo timido, una pagina e mezzo, al confine delle Bestiae Fabulosae, che fa crollare il cuore. Le lucciole, ignare delle sorti piccole dell’uomo, sono “le polveri antiche di innocenze dimenticate. Esistiamo ancora. Ci saranno sempre delle tenebre dove poter tracciare le nostre linee evanescenti, e questo durera’ finche’ dureranno le notti oscure. Se scompariranno, scompariremo anche noi. Sara’ la fine dei tempi primitivi.” Ti sfido, in questo parole, a non vedere davanti ai tuoi occhi le luci di tutte le metropoli accecare la notte, e disegnarti brividi lungo la schiena.
Non so se dovresti leggere Anima. E’ un libro cattivo, che calca la mano, che non fa sconti alla speranza. Che pratica il pulp per impedirti di girare la testa, d’imporre a te stesso un’ignoranza beata. Che denuncia, fra le righe, che stiamo gettando la natura in pasto ai nostri demoni e alle nostre granate. Eppure il suo incipit, fra tutta questa violenza ferina, cedeva ad un’intravista illusione di tenerezza: avevano giocato tante volte a morire l’uno nelle braccia dell’altra.
autore | Wajdi Mouawad
titolo | Anima
editore | Fazi
anno | 2015
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