Amore tra Rosso e Rivoluzione
“Stai per iniziare un nuovo romanzo. Rilassati. Raccogliti”. È questo lo spirito con sui spesso ci si accinge a sprofondare in una nuova lettura, magari un libro appena comprato. Comodi, probabilmente sulla poltrona o sul divano di casa ci si immerge in una storia. Non stavolta. Ferzan Ozpetek e il suo esordio letterario non lo permettono. Appena aperto Rosso Istanbul ti risucchia, ti porta in un’altra dimensione ed è lì che vieni bombardato dalla vita. Non resta altro che lo stupore per la ricchezza delle innumerevoli storie che ci si aprono davanti.
Edito da Mondadori, le sue 111 pagine si fanno impalpabili al tatto. La carica di emozioni, storie, colori, sapori, vita insomma è tale che si fa fatica a definirlo persino un romanzo. Assomiglia più a un canovaccio teatrale, ma un canovaccio non di una qualsiasi rappresentazione quanto piuttosto dell’opera omnia del regista turco.
Due storie parallele corrono simmetriche lungo le ali della narrazione. Ne sono protagonisti il regista stesso ed una donna, Anna. Le ali volano verso Istanbul: la città per riscoprirsi. La terra di mezzo che ti accoglie con un sentimento malinconico: hüzün sensazione a metà tra tristezza e nostalgia. È così che parte, parte un viaggio, un tuffo tra colori e profumi che si shakerano con emozioni, paure, desideri in un turbinio di immagini che si srotolano a ritroso lungo una pellicola che inizia a scorrere incessante nella mente, narrandodi un percorso denso e intricato che guarda al passato per proiettare un futuro.
Con maestria e leggerezza Ozpetek si racconta e ci immerge nell’intima riscoperta del suo vissuto, della sua più prima identità e allo stesso tempo conduce per mano Anna in una catarsi che li vedrà entrambi mettere a nudo le proprie forze e fragilità. Mentre Anna viene sconvolta da pochi secondi che le cambiano la vita e la costringeranno a rimettere tutto in gioco, il lettore viene rapito dalla città che diviene emblema e sintesi della ricerca di sé. Non solo di odori e colori (blu e rosso su tutti tonalità trionfanti nei tramonti sul Bosforo) è che il romanzo vive. Vive di sapori e suoni, di poesia da Hikmet a Majakovskij, di dolci squisiti che quasi si possono vedere mentre nesi immagina il sapore. Vive di storie, storie raccontate da un nonno o da una zia, vere o in parte inventate, ma che racchiudono e schiudono al lettore migliaia di mondi oltre la stessa trama. Ogni singola virgola di questo libro è infatti un input per chi legge.
È il libro in sé, per come scorre, per la sua struttura, a mimare la vita dei protagonisti e le vite di ognuno di noi. Miliardi di ramificazioni nella nostra vita, un’evoluzione continua e noi sempre a un bivio forse nemmeno consci che stiamo prendendo una strada che ci porterà ad essere quello che siamo. Da qui la necessità dell’Ozpetek protagonista di guardarsi alle spalle, in questo tumulto evolutivo di memoria bergsoniana per costruire e ricordare chi è, anche in funzione di tutto ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. Al contrario è Anna a lanciarsi nel percorso inverso. Anna si lascia andare, si tuffa in avanti in un impetuoso percorrere strade fino ad allora frenate da uno schema troppo rigido e metodicamente programmato di donna in carriera.
Quale sia la fonte ed il fine, il primo motore di questa impetuosa ricerca è sorprendentemente chiaro sin dalla copertina. Ferzan, come sua madre, come zia Betul non ha dubbi: “Niente è più importante dell’amore”. L’amore nello specchio di un’Istanbul che richiama Fedora (una delle città invisibili di Calvino “che è quello che è, ma anche tutto quello che sarebbe potuta diventare”) è il fil rouge della narrazione ed entrambi i protagonisti lo devono ricercare e affrontare, nel passato o nel futuro.
Essenza più pura della vita è qualcosa che non ha una forma e che non può fare differenze, l’amore per una deliziosa vivanda, per un posto in cui sentirsi tranquilli, per una madre, per le persone della propria vita.
Scopriamo così che l’amore non è una voce univoca, può essere bugiardo, per una persona inesistente, può essere impossibile perché rivolto appena adolescente ad un ragazzino dello stesso sesso e perciò brutalmente spezzato dalla figura paterna oppure dalla morte che ne rompe il legame. Può essere leggero, fresco, spensierato come lo proverà Anna o maturo e pieno come il rapporto dell’autore col suo attuale compagno. Quello che è certo è che l’amore esiste, arriva e non guarda l’età o il sesso, ma soprattutto l’ amore non va via. Resta tassello di una strada che è stata, che sarebbe potuta essere o semplicemente è.
Le due storie fluiscono naturalmente tra le rivolte della primavera turca, spaccato pregnante e attuale che vede protagonisti giovani e anziani, tra piazza Taksim e Gezi Park. È la rivoluzione dentro e fuori, forte e a tratti violenta alla ricerca si sé e del sentimento più puro. Una rivoluzione che di colpo si arresta, perché domande e risposte, l’amore e l’altrove sono dove sono sempre state, dove già siamo. È la rivoluzione immobile all’interno dell’io, accettare la realtà, accettarsi, cambiare. Basta solo affrontarsi.
“When was the last time you did something for the first time?”
Emanuele Dicarlo
titolo | Rosso Istanbul
anno | 2013
autore | FerzanOzpetek
editore | Mondadori
collana | StradeBluSaggi
[…] al nostro essere. Ed è proprio questo tipo di naturalezza che ritroviamo a fare da fil rouge ne Rosso Istanbul, il primo libro di Ozpetek, meglio conosciuto per la magistrale regia de Le fate ignoranti e di Mine Vaganti, solo per citare […]
[…] e che (nonostante questo) il suo discorso non si è affatto esaurito. Ancora nel suo ultimo film (Rosso Istanbul) si ride, si piange, si ama, si muore, si desidera, e tutto ad un livello piuttosto elevato […]