Emisferi Musicali
Altri mondi possibili
Questo numero sulla disabilità, nato dal desiderio di raccontarne le diverse abilità nel senso più sincero e concreto possibile (a dispetto di abusate terminologie politicamente corrette), non vedrà recensito nella sezione Sound alcun disco. Invece che della musica come prodotto, artistico e culturale prima ancora che commerciale, ovvero come risultato conclusivo di un processo di creazione, produzione e divulgazione, parleremo di musica come strumento o mezzo, soffermandoci proprio su quel momento, anteriore quello che la maggior parte di noi considera in un certo modo catartico – l’ascolto – che è l’esecuzione musicale stessa. Che la musica spesso faccia da panacea un po’ lo pensiamo tutti, diciamoci la verità: ma c’è chi ne ha fatto oggetto di studio e ricerca scientifica, dando forma al concetto di musicoterapia. Abbiamo intervistato alcune operatrici di una delle Associazioni (ormai numerose e in crescita) che di essa hanno fatto la propria missione.
Cos’è Emisferi Musicali?
Emisferi Musicali è un’Associazione di Promozione Sociale, ente non commerciale senza fini di lucro – racconta Chiara Stoppani, musicista esperta MTO [MusicoTerapiaOrchestrale®, ndr] e responsabile didattica dell’Associazione.
Nasce nel dicembre del 2012 in coordinamento con gli Enti Locali (Provincia, Comune, Consorzi per i Servizi Sociali), le Associazioni genitori e i volontari del territorio [del Piemonte orientale, ndr], con l’obiettivo di prendere in carico persone disabili e coinvolgerle in attività musicali educative e terapeutiche di gruppo che si concretizzano nella nascita di Orchestre Sinfoniche. Emisferi Musicali è un centro satellite [uno dei dieci presenti nel nord Italia, ndr]Esagramma – il primo centro di formazione e terapia per il disagio psichico e mentale a fondare la propria attività sulla musica e le nuove tecnologie – del quale utilizza le metodologie e da cui è supervisionato. L’Associazione si adopera affinché i gruppi MTO possano partecipare alla pari nelle manifestazioni musicali e culturali, festival e stagioni concertistiche del territorio, volendo rappresentare uno spazio dove il confronto e la sperimentazione del sé siano aperti e sempre accessibili, con unico vincolo: che sia il musicale il ricetrasmettitore del proprio e dell’altrui.
Cosa vi ha spinto a dare vita all’Associazione – o, per dirla alla Oskar Schell, qual è la sua raison d’être?
Il senso profondo della scelta di associarsi per realizzare sul territorio un progetto che ricreasse il modello Esagramma nasce – continua Chiara – dalla consapevolezza della mancanza di spazi dove fosse possibile interagire mettendo a disposizione le proprie risorse e potenzialità senza limitazioni di classe sociale, di formazione professionale, di appartenenza razziale e culturale, di compromissioni fisiche o mentali. La scelta del modello musicale come mezzo di interpretazione e sviluppo del sé è legata alla particolarità della struttura musicale stessa: ricetrasmettitore di un non-linguaggio sensibile ad ogni variazione emozionale, costantemente in rielaborazione e rimodulabile sulle proprie capacità e sulle proprie potenzialità.
Su cosa si basa il modello Esagramma?
Il metodo di MusicoTerapiaOrchestrale® – esordisce Tiziana Motta, Psicologa ed esperta di MTO – nasce trent’anni fa a Milano dall’incontro di alcuni professionisti, Pierangelo Sequeri e Licia Sbattella [fondatori di Esagramma, ndr] che condividevano due percorsi destinati ad intrecciarsi: la passione per la musica e l’attenzione per l’umano ferito. Nasce così l’idea di sviluppare una metodologia che consenta l’integrazione e lo sviluppo di tutte le componenti psichiche e mentali dell’esperienza musicale, allora trascurate dagli standard dell’educazione a vantaggio degli aspetti emotivi, tecnici, spettacolari, estetico-formali.
La musica costituisce il medium estetico e simbolico della logica pensabile dei sentimenti e delle emozioni; offre la libertà di sospendere il tempo vissuto e di sostare nella rielaborazione del simbolico della relazione stessa, generando eventi virtuali, ma non estranei alla propria realtà. La strutture musicali assomigliano sul piano logico a certe modulazioni dell’esperienza umana: alcuni processi interiori, emotivi e intellettuali, mostrano sviluppi che si possono descrivere con terminologia musicale – crescendo, diminuendo, accelerando – e tali termini risultano utili alla descrizione del comportamento manifesto, riflesso, della vita interiore, negli atteggiamenti e nella gestualità. L’educazione musicalepresenta caratteristiche idonee all’introduzione di una dimensione qualitativa dell’esistenza e della integrazione personale, anche nell’ambito di uno stato di handicap psichico e mentale assai pronunciato.
Il lavoro con la musica è certo un gioco emozionante, ma anche un percorso di iniziazione della gestione delle forze assai serio: inestricabilmente ludico e cognitivo, estetico e costruttivo, attiva energie di trasformazione, non semplici apprendimenti tecnici e abilità artistiche. Ci incoraggia e ci abitua a dedicare una parte della nostra vita (per ciascuno diversa e adatta a lui) alla raccolta di questi residui altrimenti dispersi. Residui che sfuggono alla griglia della riflessione – pur necessaria – che passa attraverso il registro della parola, scritta e parlata, ma anche a quello della rappresentazione visiva, della moviola delle immagini e degli stati d’animo che hanno la forma della riproduzione e della revisione di eventi puntuali e di incontri connotati. Ci sono residui degli eventi, quelli che ri-compongono e ri-modulano il continuum del nostro di sentire, che solo gettando la rete della musica è possibile pescare, trattenere, amplificare.
Di quali figure professionali si avvale questo modello?
Nella forma della MusicoTerapiaOrchestrale® musicisti, psicologi ed educatori possono trovare validi motivi di specifico investimento e integrazione della loro competenza di base. L’alto profilo delle modalità di investimento richieste dall’applicazione in équipe di tali competenze, nell’ambito di una specifica elaborazione come quella prevista dal metodo, esalta la qualità della formazione musicale o psicopedagogica di ciascun educatore – continua Tiziana – ma all’interno delle équipe anche persone non competenti sul versante musicale o psicopedagogico possono trovare un luogo di socializzazione e aggregazione accattivante e coinvolgente. La musica con la sua immediatezza costruisce un terreno di esperienza comune che sfrutta la nostra capacità di agire come soggetti, non solo individuali, ma anche sociali; dalla concretizzazione di una relazione musicale si crea un interesse comune tra sé e l’altro, entrando nella stessa lunghezza d’onda, si innestano processi di identificazione sociale e di appartenenza, così come di empatia e imitazione, legami dotati di senso con gli altri.
Qual è, invece, il ruolo specifico della componente musicale nella terapia e come si concilia un’attività apparentemente così complessa come quella orchestrale-sinfonica con le diverse problematiche e disabilità di ciascun musicista?
La potenza della musica sta nel creare un nuovo linguaggio – spiega Tiziana – ma anche nella capacità di attirare l’attenzione laddove è molto difficile. L’apprendimento progressivo delle strutture musicali permette di accedere a configurazioni mentali, linguistiche, sociali e relazionali diverse dalle proprie. Per ogni persona, per quanto sia compromessa dalla malattia nella propria autonoma dotazione di competenze e risorse, gli strumenti musicali sanno essere ottimi e inaspettati alleati. La musica accoglie in un lavoro che non è semplice esecuzione passiva, ma invita costantemente ad adattare il proprio esser-cinel discorso musicale con suoni ricchi di intenzionalità ed espressività affettiva. La scoperta di dimensioni personali nuove permette la costruzione di un’immagine di sé più articolata e una maggiore flessibilità nel repertorio di emozioni e modi d’essere. Lavorare in orchestra (all’inizio in una piccola orchestra da camera e, poi, nella grande Orchestra Sinfonica) è pedagogico: incoraggia l’imitazione, l’emulazione e al contempo la diversificazione dei ruoli, la conquista di nuove flessibilità e impensate modulazioni. Il gruppo orchestra sa accogliere, custodire, creare spazio e motivare al superamento di enormi paure, inoltre racchiude in sé la funzione fondamentale del rispecchiamento, data proprio dalla presenza dell’altro, che interroga, sfida le premesse, rimanda immagini non controllabili e dà a ciascuno l’opportunità di scoprire le proprie possibilità e i propri limiti personali. Fondamentale nel percorsi di MusicoTerapiaOrchestrale® è poi il principio dell’improvvisazione strutturata, uno spazio di libertà di esplorazione del contesto e della musica che ogni singolo musicista è invitato a occupare all’interno di una struttura definita dalla musica stessa che diventa via via più complessa grazie al dialogo polifonico e all’articolazione nel tempo. Con questa prassi è possibile immergersi subito in una modalità di interazione musicale in cui le singole individualità sono accolte e rese significative per un risultato collettivo. La pratica artistica non è un semplice corredo, ma rappresenta in realtà l’essenza stessa del percorso e ci consente di raggiungere un duplice obiettivo: assumere ruoli di responsabilità e costruire eventi artistici adulti e prestigiosi – anche in presenza di importanti difficoltà intellettive e relazionali quali l’autismo o il ritardo – e diventare sin-fonici, capaci cioè di sviluppare le nostre possibilità di pensiero, di esposizione, di ascolto e di dialogo polifonico in forme musicali via via più complesse, con la complicità di strumenti e partiture orchestrali.
Quali sono i maggiori benefici di un percorso MTO rispetto alle terapie convenzionali? Qual è il valore aggiunto, in questo senso, della musica?
La MusicoTerapiaOrchestrale® racchiude in sé diverse tipologie di terapia – risponde Alessia Antonini, Psicologa e Psicoterapeuta – ricreando le dinamiche tipiche dei gruppi che portano al confronto e all’aiuto sinergico, mentre il lavoro dell’équipe fatto sul singolo, come nella terapia individuale, pone l’attenzione su ogni partecipante in modo che possa usufruire al meglio dell’ambiente musicale. Infine, è riconosciuto un ruolo importante alla famiglia e all’ambiente circostante. La musica consente di comunicare dotando tutti, disabili e normodotati, dello stesso canale comunicativo, permette l’espressione di emozioni e di stati d’animo inesprimibili a volte con le parole. Nodo fondamentale di questo lavoro terapeutico è la relazione: con il suono, con gli affiancatori, con i compagni di musica, con il conduttore del gruppo. Tutti in queste relazioni si è alla pari e si condivide un piano collaborativo e cooperativo che raramente i partecipanti ai gruppi sperimentano e che qui, invece, possono giocare e scoprire. La parità è data dal fatto che al gruppo può partecipare anche chi non è musicista o operatore del settore psicologico, e quindi si inizia tutti un percorso dallo stesso punto di partenza e con lo stesso macro obiettivo di crescita musicale ed emotiva. Inoltre, questo metodo implica che i ragazzi durante l’ora di lezione siano attivi su molteplici fronti: attenzione al lavoro richiesto, attenzione al compagno che suona con te, sguardo al conduttore che dirige l’orchestra e tutto ciò avviene nonostante le difficoltà di ognuno.
Portare avanti un’attività così innovativa rappresenta una grande sfida, stimolante ma al contempo estremamente delicata: quali sono le difficoltà maggiori incontrate, e quali le più grandi gratificazioni?
La reazione davanti ad un carico emotivo così elevato, alla sensazione di non farcela e di sentirsi a mani nude davanti alla sofferenza della disabilità mentale e alla condizione immutabile della disabilità fisica, si può trasformare in atteggiamenti deleteri di difesa che portano alla fuga, alla rigidità o, al suo opposto, all’invischiamento fino a sfociare nel burn-out.
Diventano quindi indispensabili in questi contesti i momenti di condivisione che spostino l’attenzione dal quadro fenomenico al risvolto emotivo, e diano possibilità di un riconoscimento, una legittimazione e una giusta valorizzazione ai vissuti e alle emozioni stesse, come risorse che aiutano chi chiede aiuto, ma anche chi lo presta. Non bisogna limitarsi a sentire e vedere solo quanto ci si aspetta, ma al contrario accettare la possibilità di vedersi smentiti, spiazzati, perché – conclude la dott.ssa Motta – solo così si potrà godere dell’esperienza di esplorare altri mondi possibili, altri modi di vedere e sentire quella stessa realtà.
Chiara Marchisotti