Al violinista sul tetto che continua a suonare, l’chaim!
Da domani sarò triste – da domani in poi!
Ma oggi sarò felice.
A cosa serve la tristezza? Ditemelo.
Perché questi venti cattivi iniziano a soffiare?
Perché dovrei dolermi del domani – oggi?
Domani potrebbe essere così bello, luminoso,
Domani il sole potrebbe brillare di nuovo per noi;
Non ci serve più essere tristi.
Da domani sarò triste – da domani in poi,
Non oggi, no! Oggi sarò felice.
E ogni giorno, non importa quanto amaro, dirò:
Da domani sarò triste, oggi no!
| Poesia tratta dalla Gazeta Żydowska del ghetto di Varsavia
«Là dove si affacciano le case stanche, là dove sale la via del cimitero, là dove scorre libero il fiume, là ho sognato la mia vita» | Marc Chagall, la mia vita.
– PREMESSA – Amo molto “Il violinista sul tetto” in quanto film che contiene praticamente tutto: amore, fede, famiglia, amicizia, umorismo, violenza, odio, pregiudizi, rivoluzioni, vulnerabilità, gioie, dolori, senso di appartenenza, esclusione… vite intere. Il film è senza dubbio un tributo allo spirito ebraico, ma non bisogna certo essere ebrei o religiosi per apprezzarlo: è così ricco che tutti possono ritrovare qualcosa di sé e imparare qualcosa sugli altri, ridurlo ad un semplice “film tematico” ne limiterebbe soltanto il respiro.
“Il violinista sul tetto”, infatti, racconta l’esperienza umana: chiunque abbia provato almeno una volta il dolore del cambiamento si potrà immedesimare, non importa se abitate in un paesino sperduto nel lontano 1905 o in qualche città odierna alle soglie del 2020. Chiunque si sia sentito precario come un “violinista sul tetto” di fronte allo sforzo di ritrovare l’equilibrio ad ogni colpo della vita, non potrà fare altro che amarlo.
Il titolo è ispirato ad un soggetto ricorrente nei quadri del pittore Marc Chagall, il violinista che suona sopra i tetti dei villaggi.
«Fin dalla prima gioventù» trascorsa in Russia, nel villaggio natale di Vitebsk, «mi è sempre sembrato e mi sembra tuttora che la Bibbia sia la principale fonte di poesia di tutti i tempi. Da allora, ho sempre cercato questo riflesso nella vita e nell’arte. È come una risonanza della natura e quel segreto è ciò che ho cercato di trasmettere» | Chagall by Chagall, 1982, Harry N Abrams, NY.
Chagall, in particolare, ebbe sempre a cuore i temi legati alle sue radici chassidiche. La tradizione chassidica nata in Polonia nel XVIII secolo – soprattutto dopo le persecuzioni della rivolta di Chmielnicki – pose la gioia come prerequisito all’elevazione spirituale e aprì le porte della mistica anche alla gente comune, al folklore popolare e ai non eruditi.
Tutti gli aspetti della vita quotidiana furono inclusi e valorizzati poiché, secondo tale corrente, la presenza e la volontà del divino si rivelano anche in questi: “leit Atar panuy mi-néya” in aramaico, “nessun luogo ne è privo“. Così i protagonisti dei quadri spirituali di Chagall, non per caso, furono spesso persone comuni e ordinarie.
Come ordinario è Reb Tevye (interpretato dall’attore israeliano Chaim Topol), l’adorabile lattaio senza soldi dello shetl di Anatevka che durante tutto il film confida cantando sia a D-o che a noi spettatori i suoi pensieri sulle tradizioni, i suoi sogni di ricchezza – you decred I should be what I am, would it spoil some vast eternal plan If I were a wealthy man? Ce lo domandiamo tutti a volte, no? – la paura del diverso, l’ansia per i cambiamenti, i dubbi sulle decisioni familiari e il grande amore che lo lega alle sue 5 figlie.
Il musical diretto da Norman Jewison e musicato da Jerry Bock e John Williams, tratto dall’omonima commedia musicale di Broadway – a sua volta basata sul libro di Sholem Aleichem – andata in scena per la prima volta nel 1964, per me resta un inno, imperfetto, umano e a tratti caotico ma comunque sempre bello da ascoltare.
Un inno dedicato agli indomiti ottimisti, a tutti gli appassionati, a chi cerca il segreto di rinnovarsi per Amore, ai coraggiosi, a chi ascolta i ritmi del mondo e a tutti gli equilibristi che continuano a suonare la loro melodia gioiosa nonostante le avversità.
L’chaim, alla vita, nonostante tutto.
Devo conservare questi giorni (non ho soldi da conservare)
Devo conservare salute e forza,
Abbastanza da potermi durare per un bel po’,
Devo conservare i miei nervi,
E i miei pensieri, la mia mente e il fuoco della mia anima,
Devo conservare le lacrime che scorrono –
mi serviranno per un bel po’,
Devo conservare la resistenza in questi giorni tempestosi,
C’è così tanto che mi serve nella vita:
Il calore dei sentimenti e un cuore gentile –
Queste cose mi mancano, queste devo conservare!
Tutte queste, i regali di D-o, desidero mantenere.
Come sarò triste se dovessi perderli velocemente.
| Poesia tratta dalla Gazeta Żydowska del ghetto di Varsavia
Titolo originale | Fiddler on the Roof
Regia | Norman Jewison
Anno | 1971
Durata | 179 min