Al Mondo | Andrea Zanzotto

Al Mondo | Andrea Zanzotto

Andrea Zanzotto al mondo

In questo uggioso inizio di settembre ho selezionato una poesia tratta dalla raccolta La Beltà, pubblicata nel 1968 da Andrea Zanzotto, uno dei massimi esponenti della poesia del secondo dopoguerra.

Come molti altri poeti del Novecento, anche per Zanzotto la riflessione e la ricerca sul linguaggio costituiscono un momento di decisiva importanza: da un lato la lingua è nella società di massa, luogo di alienazione ed inautenticità, soprattutto a causa dell’usura operata dai mass-media; dall’altro è il deposito di usi, significati passati, custode della vastità dell’esperienza umana.

La Beltà è, in questo contesto, il momento più alto di questa ricerca, dove il linguaggio viene paragonato alla stratificazione biologica del bosco: qui la civiltà e la natura si incontrano ed i segni della civiltà si trasformano in elementi naturali.

In uno stile allo stesso tempo sublime e quotidiano Zanzotto si interroga su uno dei massimi problemi metafisici ed ironizza sui limiti umani nella comprensione delle cose. Il poeta si rivolge al mondo e lo esorta a manifestarsi e a parlargli come realtà autonoma, non dipendente dal soggetto che lo interroga.

Tuttavia, ciò è impossibile: il mondo esiste in sé, ma per noi non può che esistere nel nostro linguaggio (cioè, nel momento in cui lo conosciamo e ne parliamo).




Sperare che il mondo si manifesti in sé stesso, senza l’intervento dell’uomo che gli dia un senso, è come sperare che si produca il paradosso del barone di Münchhausen il quale “si liberò da una palude tirandosi per i capelli”.

Troviamo dunque la contrapposizione tra oggettività, intesa come qualcosa di concreto e silente, soggettività che tende all’oggetto ma rischia di prevaricarlo, cosa – che ha in sé il senso stesso dell’esistere- e parola – unico mezzo in grado di rivelarne i l senso-.

E’, insomma, un accorato e ironico invito a cogliere il potere più profondo della parola, che mai come oggi pare umiliata dall’abuso, costretta nella bocca di oratori che così poco hanno riflettuto sul suo significante e significato.

*

Mondo, sii, e buono;
esisti buonamente,
fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto,
ed ecco che io ribaltavo eludevo
e ogni inclusione era fattiva
non meno che ogni esclusione;
su bravo, esisti,
non accartocciarti in te stesso in me stesso.

Io pensavo che il mondo così concepito
con questo super-cadere super-morire

il mondo così fatturato
fosse soltanto un io male sbozzolato
fossi io indigesto male fantasticante
male fantasticato mal pagato
e non tu, bello, non tu «santo» e «santificato»
un po’ più in là, da lato, da lato.

Fa’ di (ex-de-ob etc.)-sistere
e oltre tutte le preposizioni note e ignote,
abbi qualche chance,
fa’ buonamente un po’;
il congegno abbia gioco.
Su, bello, su.

        Su, Münchhausen.

 

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