A caccia di unicorni | Station F, Parigi
Il 13e arrondissement non è un posto dove accadono le cose. Non ci sono Panthéon, Tour Eiffel, Boulevard Saint Germain, Sacre-Coeur. Ci sono i boulevard hausmanniani, sì, e una Biblioteca Nazionale di Francia che dice molto più Berlino che Parigi. C’è Place d’Italie – ovvero Chinatown. Ci sono dei graffitti enormi, coloratissimi ed elaborati, che si arrampicano per metri e metri sulle facciate di enormi palazzoni squadrati che hanno ben poco del classico romanticismo della ville lumière. Insomma, nel 13e ci vieni se ci vivi, se è domenica e tutte le altre biblioteche sono chiuse…oppure se sei abbastanza fortunato da lavorare a Station F.
Ideata dalla mente innovativa di Xavier Niel, enfant sauvage dell’imprenditoria Made in France – e miliardario nel tempo libero – Station F è stata inaugurata quest’estate nel torpore del 13e, a due passi dalla Senna, e non è niente di speciale, tutto sommato. Giusto l’incubatrice di start-up più grande del mondo. Poca roba. Appena appena 34,000 metri quadrati.
Sotto al tetto curvo di vetro e cemento della Halle Freyssinet – antico deposito ferroviario degli anni ’20 che fino a pochi anni fa era in rovina, colonizzato da street artist alle prime armi pronti a coprirlo di brutti tag – migliaia di giovani e dinamici imprenditori internazionali condividono idee, sogni e tavoli da biliardo. Ad addentrarsi oltre le porte scorrevoli che separano il mondo esterno da questo microcosmo, però, non si direbbe.
Ci ho speso parecchio tempo, seduta sui divanetti morbidi dell’area “SHARE” – l’enorme anticamera impersonale, dall’aria vagamente industriale, che accoglie gli estranei a Station F. A suggerire che non ci si trovi in un capannone come uno dei tanti che punteggiano la Pianura Padana ci pensano i dettagli: lo scheletro verde acido di un triceratopo di cartone che saluta i visitatori ai piedi dell’auditorium da centinaia di posti; adesivi appiccicati ovunque con il galletto fucsia simbolo del programma French Tech, fortemente voluto da Macron ancora prima della sua presidenza; un gigantesco ammasso di pongo multicolore che immagino voglia essere un’opera di arte contemporanea. Su due corridoi sopraelevati che sfilano ai lati del grande, vuoto piazzale centrale, degli ex contenitori sono stati convertiti in sale riunioni.
Eppure, per capire davvero cosa fa di questa enorme stazione degli anni ’20 il cuore pulsante dell’imprenditoria francese – se non, come il governo vorrebbe, la nuova Silicon Valley francese post-Brexit – bisogna trovare il modo di sorpassare le strettissime misure di sicurezza e varcare le porte di vetro che separano “SHARE” da “CREATE”. Qui, in un gigantesco open space comunitario diviso idealmente in 24 “villaggi” l’imprenditore messicano che sogna di educare i rifugiati di Francia all’imprenditoria con il proprio programma universitario accessibile a tutti e la giovane che si impegna per un turismo ecosostenibile lavorano gomito a gomito tra angoli Skype, piantine che scendono elegantemente dal soffitto, partite a calcetto e pause nell’enorme, nuovo ristorante che occupa l’ultimo terzo di Station F. Il tasso di impegno volto al sociale, oltre che al guadagno personale, è altissimo. Quello di instagrammabilità, ancora di più.
Il risultato è uno spazio che ricorda più un campus universitario che un ufficio, dove menti geniali supportate da giganti quali Facebook e Microsoft si impegnano per portare alla luce tanti piccoli unicorni – start-up rivoluzionarie che stravolgeranno, prima o poi, le nostre esistenze.
Nel frattempo, l’incubatrice più grande del mondo ha risvegliato il 13e ed è diventata il nuovo centro creativo e culturale della rive gauche, in un’esplosione di eventi e talks volte all’uguaglianza di genere, all’inclusione degli strati più emarginati della società europea, alla tecnologia e, chiaramente, al tirare fuori il genio che si nasconde in un angolo di ognuno.
Perchè, per citare un imprenditore qualsiasi – un certo Mark Zuckemberg, ignoto – “The biggest risk is not taking any risk.” E con Station F, la Francia si sta assumendo tutti i rischi che vengono con un’idea che cambia tutto.