On the road piacentino con Ernest Hemingway
Di scrittori bulli americani che si innamorano della Val Trebbia
Il viaggio di oggi inizia con un signore incontrato in un paesino sui colli piacentini che abbiamo chiamato Pino perché un po’ ce l’aveva la faccia da Pino. Stavamo girando un po’ a casaccio come succede quando una mattina ti svegli e prendi l’auto per andare in là ma non sai bene dove. A Pino volevamo chiedere dove si poteva mangiare un boccone alle due del pomeriggio e lui giustamente ci ha guardato sorridendo perché eravamo in uno di quei paesini di collina sperduti dove alle due del pomeriggio si è già fortunati a trovare in piazza una buon’anima che per un assurdo motivo non ha deciso di farsi un sonnellino pomeridiano. Insomma, guardiamo Pino e lui ci sorride, si sistema l’occhiale da sole dalle lenti rotonde e ci risponde: “Qui non c’è nulla ma se siete arrivati fin qui fatevi ancora quaranta chilometri e arriverete a Bobbio. Lì troverete il Trebbia, uno dei fiumi più belli d’Italia e mica sto scherzando, l’ha detto pure Hemingway”. E lanciando questa bomba il signor Pino se ne va. Aveva esagerato? Non direi proprio. Siamo risaliti in macchina e abbiamo aggiunto quaranta chilometri ai cento già percorsi perché non è che ci abbiamo riflettuto molto sulla possibilità di essere stati fregati da Pino e perché a volte è bello fidarsi e scoprire che Ernest Hemingway si era davvero innamorato della Val Trebbia.
Perché, se vogliamo essere pignoli, le parole utilizzate da uno dei più bulli della letteratura sono state «Oggi ho attraversato la valle più bella del mondo» ma noi, partiti per caso da Milano, mica lo potevamo sapere che saremmo finiti in un posto come quello che stavamo per vedere. Ci siamo ritrovati, così, in un sabato che poteva essere lo stesso del 1945, quando Hemingway si ritrovò ad attraversare la val Trebbia con l’esercito americano e noi, decenni dopo, ce lo siamo davvero immaginati il suo stupore quando, arrivando da Milano, dalla statale 412, ci siamo ritrovati a farci cullare dai dolci pendii dei colli piacentini, dove salendo e scendendo si percorrono chilometri nel verde colorato, per l’occasione, dall’arancio dell’autunno.
La cosa che amo di più del paesaggio collinare è che mentre stai viaggiando non puoi mica vedere dove stai realmente andando. Le curve si susseguono, le salite pure, sembra quasi di non arrivare mai ma poi ancora una curva e ci si ritrova il blu del cielo davanti, l’arancio degli alberi tutt’attorno e le piccole valli che si dividono ai tuoi piedi che tanto vale spegnere il motore, scendere dall’auto e fermarsi a guardare quello che si sta andando a vedere perché, a guardar bene, da quei colli già la cominci a vedere Bobbio e forse, ora che ci penso, anche il Trebbia ma io sono miope quindi davanti a me vedevo solo tetti lontani che sbucavano qua e là circondati dai boschi e dal cielo azzurro.
E Bobbio è piccola, ci vuole veramente poco per gironzolare nel suo centro storico ma la meraviglia è quando da una piccola viuzza ti ritrovi lì, davanti a Ponte Vecchio, conosciuto anche come Ponte Gobbo per il suo profilo irregolare e gli archi diseguali che si susseguono sopra il fiume Trebbia, quello che Pino ama molto ed Hemingway pure, a modo suo. E la vista dal ponte è magnifica, si è completamente circondati dalle colline, l’acqua scorre lontana sotto proprio i piedi e la valle pare immensa forse perché all’acqua si è lasciato più spazio del dovuto, come se Bobbio avesse deciso di starsene in un angolino sotto la collina per lasciare spazio alla natura e a tutto quello che ha da dire.
Hemingway ci aveva visto giusto, insomma. Perché uno non è che non si fida più nemmeno della letteratura, anzi, ma vai a sapere cosa ti può capitare. È che la vera bellezza, infatti, è quando i giga per utilizzare le mappe online sono finiti, quando non sai precisamente che strada devi prendere ma non è davvero un problema, che prima o poi da qualche parte si arriva, c’è sempre una meta, basta solo avere voglia di non fermarsi, fidarsi delle indicazioni e dei passanti che ti raccontano la storia.
E fidarsi di chi guida, ovvio, ma questa può diventare un’altra (bellissima) storia.
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