Vivere senza un tetto a Silverwood Lake
Del graphic novel di Simona Binni e la voglia di capirsi.
Silverwood Lake, California. Un padre se ne va, di sua spontanea volontà, lascia un biglietto e chiude una porta. Il figlio rimane lì, ad aspettare non sa nemmeno bene cosa, cercando di capire motivi e cause di una partenza senza ritorno, di un desiderio rimasto nascosto nel profondo dell’animo per troppo tempo fino al momento in cui è esploso, senza dare spiegazioni, perché le parole non avrebbero mai potuto raccontare quella spinta, quel gesto all’apparenza così terribilmente egoista eppure coraggioso, difficile da comprendere ma emotivamente impavido. La storia che Simona Binni racconta nel suo graphic novel è tutto ciò. È l’ennesima guerra fra il voler completamente sparire dalla società senza riuscire a farlo davvero, è un continuo confronto, quando il destino ti mette alla prova ed è solo affrontando il prossimo che ti viene meglio capire il passato e, di conseguenza, il presente.
Il tempo è un anestetico potente, se hai la pazienza di saperlo aspettare.
Silverwwod Lake, California, dicevamo. Diego non vede il padre da diciassette anni. Quando gli comunicano che l’hanno ritrovato probabilmente non sa davvero cosa aspettarsi. Per un figlio non c’è niente di più assurdo che accettare le scelte dei genitori che hanno come conseguenza l’esclusione della prole dalla propria vita, quelle azioni che nessuno si aspetterebbe e che in Silverwood Lake sono invece protagoniste insieme a un modo di vivere che è una delle decisioni più difficili da comprendere: non avere una casa.
Quando penso alla parola casa la mia mente corre alle prime parole che ho imparato a dire in lingua inglese: home e house. Inizialmente mi era veramente difficile comprendere cosa ci fosse di tanto diverso fra questi due termini, mi dicevo che casa è pur sempre casa, no? E invece non c’era niente di più sbagliato in quei pensieri. E capisco solo ora cosa è davvero incomprensibile per me, e per Diego, in tutta questa storia raccontata da Simona Binni: come si può accettare di stare lontani dalla propria home? Un tetto ce lo si inventa ma una home (e mi spiace, la dolcezza dentro questa parola proprio non riesco a tradurvela) come la si può dimenticare? Diego, per scoprirlo, insegue le orme del padre e si ritira sulle sponde del Silverwood Lake, in California, dove Ted ospita gratuitamente persone ai margini della società o senza fissa dimora in un vecchio camping abbandonato e rimesso in funzione.
Si può vivere esiliati anche in una vita normalissima.
Quello che imparerà Diego, in questo viaggio interiore con vista su piccole onde, è che ogni vuoto è solo un pieno perso che non faceva per noi, che la vera forza sta nel trovare il coraggio e la forza per riempirlo, di nuovo, cercando di colmare quell’assenza forzata in nuova energia, per dare spazio a se stessi e riscoprire le meraviglie che possono ancora nascere come quella home, così diversa da house, che può riscoprire anche dove meno te l’aspetti, anche senza un tetto sopra la testa, anche dove il silenzio è la forma di comunicazione più forte.
La capacità che hanno di separare gli attimi dal resto delle loro assurde vite.
Le tavole di Simona Binni raccontano tutto questo giocando con le sfumature calde della California, alternando bui a tonalità che scaldano l’animo perché è questa la sensazione che Silverwook Lake lascia nel lettore, è quella voglia di riscoprire la vita e realtà nuove per non aver più paura di affrontare se stessi.
Titolo | Silverwood Lake
Autore | Simona Binni
Casa Editrice | Tunué
Anno | 2016
Pagine | 166
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