La Vegetariana | Han Kang
“I have an old story called ‘The Fruit of My Woman’, from ten years ago, about a woman who actually, physically becomes a plant and her husband puts her in a flowerpot and waters her and takes care of her. I always wanted to write a follow-up to that story, so that was my first motivation, and secondly I have always been curious about human violence, I wanted to explore if human innocence was possible, what someone would have to overcome to lead a completely blameless life.”
(Han Kang, intervista per Korean Literature Now)
In un movimentato saggio critico a proposito dell’adattamento dei Coen di No Country for Old Men, l’autrice afferma di avere ancora, a distanza di tempo, un vivido ricordo: 3 secondi, i 3 ultimi secondi di buio che separano l’ultima inquadratura della faccia di Tommy Lee Jones dai titoli di coda. Da quei 3 secondi ancora le risuona in testa l’esclamazione unisona di alcuni dei suoi vicini di posto che riecheggia veloce nel breve silenzio della sala: “That’s it?“, “What Happened?“.
La narrazione è corsa vertiginosamente, forse abbiamo perso qualche pezzo: possiamo considerare quei 3 secondi un ragionevole intervallo di tempo concessoci per dare voce al nostro più imbarazzante spaesamento prima di alzarci dalle poltroncine rosse e tirare le somme, mentre lentamente ci incamminiamo verso il parcheggio per recuperare la macchina e tornare a casa (i titoli di coda ci fermiamo a guardarli la prossima volta, promesso).
Anche finita la lettura dell’opera vincitrice del Man Booker International Prize 2016 è lecito prendersi 3 WTF secondi. Forse anche qualcuno in più, senza esagerare.
“Ho fatto un sogno“, Yeong-hye risponde ripetutamente così, a mo’ di mantra catatonico, a chiunque le chieda motivazioni della sua scelta di diventare vegetariana. Risposta quantomeno oracolare: come si spiega, giustifica o condivide un sogno?
La scelta è improvvisa, una delle prime scene che ci viene presentata in questa breve (meno di 200 pagine) tragedia in prosa composta da 3 atti è impossibile non figurarsela davanti agli occhi, come un tagliente, doloroso e solitario fotogramma: Yeong-hye , nel cuore della notte, seduta al centro della sua cucina immersa in numerose buste di plastica da freezer nelle quali ha sigillato tutti i pezzi di carne presenti nel suo frigorifero, ora finalmente svuotato. Yeong-hye la carne non la vuole più cucinare, mangiare, vedere, odorare.
Si parte da qui, da una negazione che permetta di affermare la propria nuova esistenza, sotto una nuova forma, senza la certezza di poterla raggiungere. Un salto nel vuoto.
“Una dieta equilibrata va a braccetto con una mente equilibrata, non trovate?”
La protagonista non parla mai in prima persona, ci viene descritta da degli increduli e inermi osservatori della sua metamorfosi: il marito, il cognato, la sorella. La protagonista si fa descrivere, si fa osservare mentre si ostina a mostrare il suo corpo nudo ai raggi del sole, azzardando una fotosintesi ancora troppo distante dalla sua natura, e forse destinata ad esserlo per sempre.
“Che avesse una natura umana, animale o vegetale, non la si poteva definire una ‘persona’, ma non era nemmeno esattamente una creatura selvaggia – più un essere misterioso che possedeva le qualità di entrambe.”
Il romanzo è feroce, la componente patologica che disintegra letteralmente la protagonista la convince di potersi lentamente trasformare in un vegetale, un albero, eliminando da se stessa la violenza della quale il consumo e anche la sola vista di carne morta, sanguigna, rappresenta per lei l’emblema. L’unico elemento che allo stremo delle sue forze Yeong-hye chiede alla sorella è acqua. Appoggiata a testa in giù ad un muro dell’ultimo ospedale psichiatrico in cui è ricoverata: gli alberi vivono con le braccia sottoterra e con le gambe all’aria.
Il rifiuto del contatto con la carne viene, nel caso di Yeong-hye, connesso al rifiuto dell’accettazione della violenza universale che, a sua volta, è connesso al rifiuto di un passato fatto di vessazioni da parte del padre e di un presente di sofferta indifferenza, da parte del marito.
“Prima che mia moglie diventasse vegetariana l’avevo sempre considerata del tutto insignificante.”
L’innocenza che Yeong-hye ricerca non riusce a raggiungerla, forse perché si tratta di una purezza non umana, l’impossibilità al suo raggiungimento è fisiologica. Nella vana ricerca di questa purezza, a susseguirsi sono momenti di ordinaria disperazione che si esprimono in disperati comportamenti surreali.
Questo libro è un lungo e sofferto singolo grido, un “no” disperato e senza voce, bisognoso di luce e acqua.
“Si tratta del tuo corpo, puoi trattarlo come ti pare. L’unico territorio in cui sei libera di fare come preferisci. Ma anche questo non va come volevi.”
Titolo | La vegetariana
Autrice | Han Kang
Editore | Adelphi
Anno | 2016
Pagine | 177
Quando ho amato, e amo, questo libro!