Completamente Kitsch e Sold Out | Thegiornalisti

Completamente Kitsch e Sold Out | Thegiornalisti

E’ probabile che tra non più tardi di un paio d’anni ascolteremo il nuovo album dei Thegiornalisti e proveremo un sincero imbarazzo, come di fronte a certi capi d’abbigliamento indossati dai nostri genitori e che fatichiamo a capire come possano essere andati di moda un tempo – la cravatta con le conchiglie di mio padre, il tailleur floreale di mamma e le sue enormi spalline, cose che ancora gridano vendetta sull’altare del buon gusto. Allo stesso modo, in quel momento ci sembrerà chiaro quello che adesso non riusciamo a vedere, disturbati come siamo dalla cortina di fumo dell’hype: che Completamente sold out (Carosello, 2016) contiene tutto ciò che nel 2016 un artista non dovrebbe mettere in un suo disco, a patto che non voglia presentarlo come un lavoro eccessivo e pacchiano.

Sarò realista, e quindi cinico: con i guadagni raccolti da ogni blockbuster che ingrossa le file davanti ai botteghini si ricavano i fondi per la prossima produzione dello stesso regista e s’alzano pure due spicci per quella pellicola che non tutti capiranno. Per ogni Completamente sold out sbracato e ruffiano, i nostri avranno il prossimo disco già finanziato e l’etichetta potrà permettersi di guardare a quel duo che suona surf-rock psichedelico in qualche scantinato senza avere alle calcagna lo spettro di una voce in perdita nel bilancio di fine anno. E’ l’economia, bellezza, e allora avanti con i Thegiornalisti se questi fanno tutti contenti.

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Tutti tranne i critici, o forse in fondo anche loro. Perché l’ultimo di Tommaso Paradisco & Co. è il tipico lavoro che ci piace stroncare, il corpo da sezionare e analizzare per trarre qualche conclusione su cosa è il pop qui e adesso e su cosa piace al pubblico. E allora diremo che gli ascoltatori adorano, in ordine: i synth pettinati e troppo puliti, da discoteca quasi; i testi tagliati su misura per il target da raggiungere (e forse solo per esso, tanto che se si cade nel tranello dell’auto-fiction si ha la tentazione di credere che la vita interiore e la visione del mondo dell’autore sia quella di un adolescente in piena tempesta ormonale, a fronte dei trent’anni e rotti registrati all’anagrafe) ma così larghi da permettere, in un moto nostalgico di empatia, anche ad un’ipotetica madre di una fan che ascolta gli idoli della figlia di quando alla sua età andava pazza per Baglioni – un quadretto molto garbato e lontanissimo dal significato meno innocuo della parola ‘’alternativo’’; un certo modo di cantare che ci tiene a far riconoscere i modelli a cui s’ispira (su tutti Vasco, Curreri, Carboni e Venditti); un immaginario fatto di sigarette ad orari impossibili, vitalismo giovanile da Roma Nord e romanticismo take away da consumarsi preferibilmente entro e non oltre il; le strizzate d’occhio a certe cose moderne come le note vocali della messaggistica inserite dentro le canzoni (ne avevamo davvero bisogno? Voglio dire, anche la ruota è stata una grande invenzione che ha migliorato la vita di tutti, ma non per questo è venuto in mente a qualcuno di metterla tipo nell’insalata) e i corpi femminili pallidissimi e in odore di anoressia sulle copertine dei dischi – perché fa tanto hipster, ma bisogna dirlo a grafici e fotografi: è evidente che quella ragazza non sta bene, datele un panino enorme con la mortazza e portatela al mare a prendere un po’ di sole; l’ingenuità, che vuole essere spontanea e risulta invece studiata e compiaciuta, del leader del gruppo, la stessa con cui condisce con sapienza le sua uscite social rendendo felice ogni osservatore ironico della cronaca musicale del panorama indipendente e i creatori di meme e pagine fake; la scena romana, questa via che porta giovani artisti capitolini dalle esibizioni in sottoscala sporchi o in locali medio-piccoli all’heavy rotation giornaliera sulle più importanti radio commerciali e al successo, accendendo in questa già disastrata città la gara a chi per primo riconosce le stimmate del talento all’ennesimo illustre sconosciuto. E quindi, in definitiva, una pellicola di plastica che avvolge un cofanetto di plastica con linguette che tengono unito al packaging un libretto di carta su cui sono riportati testi di plastica da una parte e un compact disc di plastica con sovraincisi brani di plastica dall’altra: una discreta vittoria del polietilene sugli altri materiali riciclabili e non.Tra la strada e le stelle

Va bene, basta così. Date al pubblico quello che il pubblico vuole, ma a me lasciate qualche domanda: non si poteva azionare il pilota automatico e realizzare un Fuoricampo parte seconda – uno di quegli album magari non di rottura, ma semplicemente piacevoli da ascoltare senza il bisogno di gridare folgorati al genio né indignati all’idiozia – malgrado il confine tra le due cose si faccia di giorno in giorno più sfumato? E soprattutto: perché la musica italiana non riesce, per dirla con Agnelli, a uscire viva dagli anni Ottanta?

Francesco Corbisiero

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NDR: Ok, ok, ce la siamo tirata con le paroline auliche e le nostre critiche costruttive. Ma sotto sotto a Tommy Paradais e relative note vocali non sappiamo proprio resistere – e infatti, giovedi’ scorso, il sold out di Completemente Sold Out all’Alcatraz era un anche po’ colpa nostra, guarda qua.

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