Sono poche le volte in cui non ho associato una canzone ad un ricordo, pochissime. Mi è sempre venuto abbastanza naturale, da quando ne ho memoria. La prima volta è successo con Lemon Tree dei Fools Garden: sono in un bar di Como, ho 5 anni, mi avvicino al jukebox e me la ballo da sola, cantando nell’inglese più inventato che ci sia. I miei ridono, io sono sempre più convinta di sembrare una gran figa (dopo questa performance, Lemon Tree diventerà la prima canzone in inglese che imparerò). Le 500 lire meglio spese della mia vita.
Continua ad andare così da allora, ma credo sia abitudine comune quella di legare a strofe in musica pezzetti di cuore rubati da persone o da posti vecchi e nuovi, serve a non perderli del tutto. È più forte di noi, cerchiamo sempre di non dimenticare niente, anche quando ce ne sarebbe terribilmente bisogno. Io, per esempio, ho un superpotere che renderebbe questa pratica pressoché inutile: ho una memoria elefantiaca, ricordo tutto, ogni particolare. Ovviamente come tutti i superpoteri anche il mio ha lati positivi e negativi; ho provato a sostituirlo con un altro chiamando l’assistenza, chiedendo la capacità di diventare alta durante i concerti, oppure quella di sparire ai pranzi con i parenti che ti ficcano gli artigli nel collo e “e il fidanzato?”, ma mi hanno detto che no, non funziona in questa maniera, ci sono un sacco di moduli da compilare, poi lo vogliono fare tutti e non è possibile. Quindi la musica rende questo fardello meno ingombrante e più piacevole da portare sulle spalle.
Questa volta è successa una cosa strana, di quelle cose che capitano poche volte, che a sentirle raccontare sembrano un po’ forzate. È un periodo in cui il mio cervello non si prende un attimo di pausa e pensa troppo, rimugina, analizza, studia, insomma fa un po’ quello che cazzo gli pare su cose che dovrebbero essere seppellite da un po’. Ma niente, lui non demorde, non molla, e torna sulla scena del crimine, come a sperare di essersi perso qualche segno, indizio, una prova che gli dia ragione. E allora io lo faccio fare, tanto è bravo anche da solo. Nel frattempo lavoro, faccio qualcosa di costruttivo, no? – e metto come sottofondo il nuovo album dei Kings Of Leon, ché si prevede una lunga nottata.
Out here looking for the good life
Tongue in my cheek and your back in my knife
I keep pushing through, my eyes right on you
Everyone says you should get away, fast as you can
But I know you’ll stay, you never fall behind
It’s always on your mind
Parte Eyes On You, e io non capisco più niente. Era nella mia testa ancor prima di uscire dalle cuffie. Una canzone immacolata, vergine, non aveva l’odore di una giacca, di uno shampoo, eppure aveva già tutto dentro. Per una volta è la canzone ad avvicinarsi a me e dirmi che forse è da lì che bisogna (ri)partire, non ci sono solo ricordi da cancellare, forse c’è qualcosa da recuperare per poter (ri)costruire, forse il tuo cervello fa bene a non demordere, forse devi un po’ rischiare (but I know you’ll stay, you never fall behind, it’s always on your mind). Perché se la prima volta è andata male, magari c’è spazio per una seconda, magari no. A patto che tu butti giù quei muri.
Ecco cos’è Walls, una prova di coraggio: se vuoi qualcosa, la devi prendere, inutile pensarci troppo. È lecito prendersi del tempo per vederlo scivolare, take the time to waste a moment, buttare giù i confortevoli muri protettivi e vedere se ne vale la pena.
Prendersi del tempo per tornare sui propri passi, a livello di contenuti e di forma, stilisticamente molto lontani dai primi figli, ma sospesi tra le atmosfere di Only By The Night e il penultimo lavoro, Mechanical Bull, che non ha entusiasmato – e forse per questo mette Walls sotto i riflettori, mettendogli addosso troppa pressione, troppe aspettative, quando sarebbe essenziale capire che va bene non avere nelle orecchie il miglior album della carriera del gruppo, l’album della svolta, perché Walls ha una funzione più importante, diversa. È l’album della metabolizzazione, della riappropriazione del tempo e dello spazio, di porte lasciate aperte nel tempo e da cui rientrare, con intenzioni diverse. Cambiare approccio, farsi trovare scoperti, nudi, disposti a rischiare.
Gira tutto intorno a questi fottuti muri: i testi, le melodie, le parole che ti rimbombano nella testa, e i ricordi. C’è qualcosa che non hai vissuto come avresti dovuto, perché non era il suo tempo?