Il Teatro di Sabbath, Philip Roth indecente

Il Teatro di Sabbath, Philip Roth indecente

Se lui non era completamente soddisfatto, era solo perché, qualunque ruolo interpretasse, lei era anche Nikki, sempre. Questo “anche” degli attori alla fine lo indusse a tornare ai burattini, che non dovevano mai fingere, che non recitavano mai. Il fatto che fosse lui a creare i loro movimenti e a dare a ciascuno di loro la voce non metteva a repentaglio il loro essere reali, mentre Nikki, così fresca e attenta e così dotata, non lo convinceva mai fino in fondo proprio perché era una persona vera. Con i burattini non devi mai estromettere l’attore dal personaggio. I burattini non hanno niente di falso, di artificiale, non sono “metafore” degli esseri umani. Erano quello che erano, e non bisognava mai preoccuparsi che uno di loro sparisse dalla faccia della terra, proprio come aveva fatto Nikki.

Coraggio, per quando possa suonare ridondante e ai limiti della becera parodia, meglio ripeterlo ancora una volta: uniamoci per dare una collettiva meritatissima pacca morale sulla spalla + strizzatina d’occhio a Philip Roth (che in realtà non sappiamo se davvero rosichi o se la rida di gusto per via di quella faccenda svedese che tutti sapete, così a pelle e a rischio di peccare di facile snobismo direi molto più probabilmente la seconda, ma poco importa).

Mi batto ancora contro Pastorale americana, ma quando finalmente riuscii a leggere Il teatro di Sabbath, l’intrepidezza e la ferocia di quel libro mi furono d’ispirazione.” Parole queste di un altro celebre romanziere americano, Jonathan Franzen, non il solo a classificare Il Teatro di Sabbath come l’opera maggiore di Philip Roth, ancora più importante e ampia del celebre Lamento di Portnoy (primo grande successo di critica e pubblico) e del citato Pastorale americana (di cui, se vi fosse sfuggito, è proprio in questi giorni nelle sale il consigliato adattamento cinematografico diretto e interpretato da Ewan McGregor).

Per cominciare a familiarizzare col romanzo capolavoro di Roth, troviamo una forse apparente ma sicuramente emblematica affinità di territorio, in almeno due elementi, tra lo scrittore e il personaggio di Sabbath, protagonista del romanzo, in un’intervista piuttosto recente dello scrittore:

“Non so come andrà a finire la mia vita, ma non credo più che sia importante, perché comunque non posso fermarmi e in ogni caso si sa che con la morte tutto perde di senso. Quindi non vale la pena di pensarci troppo. Preferisco dedicarmi alle cose fondamentali, cercando di farle nel migliore dei modi. Tutto il resto, l’opinione della critica sulla mia opera, gli insulti e i complimenti, gli articoli da quattro soldi, sono soltanto teatro.”

 

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Teatro e morte, questo è ciò che ci rimanda a Mickey Sabbath. Protagonista del romanzo è infatti un burattinaio ebreo sessantenne dallo spirito smodatamente cinico e con un appetito sessuale perenne, incontrollabile, spesso inopportuno. Tra ex mogli attrici malinconiche, scomparse e freudianamente interessanti, amanti in coma etilico, amanti defunte, ricatti sessuali da parte di giovani studentesse (Le tue amiche hanno un nastro su cui la mia voce rende reali tutte le peggiori cose che vogliono far sapere al mondo riguardo agli uomini.), molestie perseveranti di varia natura, Sabbath è sicuramente la scottante incarnazione del vizio che dopo tanto vorticare a vuoto su se stesso, è sul punto di perdere l’equilibrio. I fili delle marionette del Teatrino degli Indecenti di Sabbath stanno definitivamente per spezzarsi nell’ennesimo definitivo crollo emotivo.

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Mickey Sabbath vorrebbe tanto essere il Marchese de Sade, ma non lo è. Alla tua voce manca la nota della degradazione.

Sabbath, definito re ne regno dei disillusi, imperatore delle aspettative infrante, uomo-dio del doppio gioco perennemente umiliato, moderno Falsfaff nel suo essere vecchio e scandaloso, prova in tutti i modi a ferirsi e a distruggere la sua sfera privata, rinchiudendosi in una dannosa bolla di solitudine forzata, tabula rasa, sicuramente propedeutica alla sua condotta amorale e sfrenata (mai comunque descritta da Roth in modo morboso, anche nei momenti più esageratamente paradossali, bizzarri e umanamente imbarazzanti) accompagnata dai riecheggiamenti della mancanza di una figura materna scomparsa (scomparsa? Eppure: Quanto sei esattamente presente? Sei soltanto qui o sei dappertutto?) e di un fratello morto in età prematura, vittima di guerra. L’epifania che porta all’estrema autoriflessione ragionata scatta nel momento della morte dell’amante più grossolana e più cara al protagonista, la morte predispone qui ad imminenti esami di coscienza che fanno alternare le continue perversioni animalesche del protagonista a dialoghi dai toni esistenzialmente mistici. Quei dialoghi davvero memorabili che, se non siete puristi della pagina di libro immacolata, munitevi di Stabilo Pen 68/29 e cominciate a sottolineare selvaggiamente.

Se non fossero esistiti la guerra, la follia, la perversione, la morbosità, l’imbecillità, il suicidio e la morte, era probabile che lui sarebbe stato molto più in forma.

Il satiresco anti-eroe Mickey Sabbath (annesso proprio di barba caprina, nomen omen) ha sicuramente dei tratti simili ad altri protagonisti maschili descritti da Roth nei suoi romanzi, leggendoli in successione si ha infatti spesso la vertiginosa sensazione che molti personaggi siano in realtà la stessa persona calata in contesti diversi ma con numerosi tratti analoghi (non mi riferisco solo all’erotomania, anche se quello rimane sicuramente il carattere più lampante e in superficie, o comunque, la sessualità così pervasiva e onnipresente non è mai lontana dal logorio interiore e dalla morte, fisica e morale: corrono sullo stesso macabro filo di lana). Come molti altri, anche Sabbath è una via di mezzo tra un porco e un professionista, con una specie di patina animale sotto l’eleganza. Patina decisamente ingombrante, affascinante, logorante.

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Una lettura intensa, compulsiva.

E poi il giovane rabbino. Trovate la bellezza anche nella tragedia. Mezz’ora per spiegarci come si fa. Lincoln non è veramente morto, l’amore per lui vive nei nostri cuori. Vero, vero. Eppure, quando mi sono avvicinato alla bara aperta e gli ho chiesto: – Linc, cosa vuoi mangiare stasera per cena? – non mi ha risposto. Anche questo vorrà dire qualcosa.

Titolo | Il Teatro di Sabbath

Autore | Philip Roth

Editore | Einaudi

Pagine | 479

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