The Witch e Stranger Things: cosa cercare nel bosco di Lovecraft

The Witch e Stranger Things: cosa cercare nel bosco di Lovecraft

Il Santo Natale della citazione furba è finalmente giunto! Gioite!

C’è qualcosa nel bosco, qualcosa di orribile e pericoloso. Si nasconde alla vista, striscia nell’ombra e ghermisce gli indifesi. Proprio dove la vegetazione è più fitta, c’è la sua dimora; possiamo avvertirne, però, la presenza anche sul limitare del bosco, ancora al sicuro. È lì. C’è sempre stato, anche se forse non lo ricordavamo, ma ora è tornato a far parlare di sé.

Il bosco è ciò che ci abita è sempre stato un topos letterario e cinematografico prolifico quanto caro al cinema di genere (horror, soprattutto, ma anche thriller e d’avventura). Da qualche anno, però, era scomparso dalla scena per fare posto ad edifici infestati, videocassette infestate, zombie e vampiri di varia fattura. Al massimo qualche casolare nel bosco, soprattutto per famosi remake (La Casa e seguiti). In questo ultimo anno, invece, è tornato alla ribalta cinematografica grazie a due prodotti tanto diversi fra loro quanto interessanti: The Witch, splendido film storico (in ritardo di quasi due anni in Italia) di Robert Eggers, e la serie televisiva di Netflix Stranger Things.

Il primo è un esempio di virtuosismo cinematografico, che ricrea alla perfezione l’ambiente morale, oltre che sociale, dell’America nel diciassettesimo secolo, ai tempi dei padri pellegrini. Eggers lavora con la minuzia di uno storico, in un lavoro di ricostruzione maniacale. Su questo impianta una storia dalle tinte horror, girata con un ottima regia, un ancor migliore fotografia e dei colori lividi che spaziano sulla scala del grigio e poco più. Bravissimi gli attori, a partire dagli infernali bambini e dalla protagonista Anya Taylor-Joy (ne risentiremo parlare); menzione speciale al caprone Black Phillips, rimarrà nella nostra memoria a lungo. Tra un richiamo cristologico ed unno all’arte pagana, c’è il bosco, che osserva tutto, maestoso ed impenetrabile. E la paura, che questo elemento suscita.

Non accettate caramelle da streghe nei boschi.
Non accettate caramelle da streghe nei boschi.

Stranger Things è, al contrario, qualcosa di molto diverso. Si tratta di una serie televisiva sorniona, ma ben realizzata, creata ad arte per piacere a tutti, strizzando l’occhio a chiunque. Amata da chi ama il citazionismo facile (possiamo coniare il termine “blinking citation”? Segnate: trademark mio), da chi ha vissuto negli anni ’80, da chi ha visto i film degli anni ’80, ma non per questo mal realizzata. Anzi, i Duffer Brothers riescono ad amalgamare tutto con ottima capacità registica, dirigendo un cast davvero buono (i bambini soprattutto; Millie Bobby Brown-Eleven sopra ogni altro), ma non emerge nulla di nuovo, se non una sconcertante furbizia (di Netflix). Snocciolare tutte le citazioni sarebbe troppo lungo (contest: se ne individuate più di 50 vincete un articolo bonus su un argomento a vostra scelta), ma tanto per citarne qualcuno: uno Stephen King a caso, i Goonies, E.T., Stand By Me, Alien, Predator, La Casa, Nightmare on Elm Street… Devo continuare? Ecco, magari no. Anche qui, però, torna l’elemento narrativo del bosco, come luogo in cui si cela il male senza nome e dove spariscono i bambini.

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La paura per il bosco è qualcosa di molto umano e molto americano. Si tratta del primo modello di paura per l’Ignoto (civile, morale, soprannaturale, interstellare). Da questo Ignoto nascono tutte le nostre più grandi paure ed a lui tutte possono essere ricondotte. Probabilmente per una ragione storica, un sentimento molto umano è diventato quasi pervasivo in una cultura come quella americana. I padri pellegrini che arrivavano dall’Inghilterra si trovarono di fronte foreste vergini, in cui si nascondeva ogni tipo di insidia umana, animale e morale (è bene ricordare che i padri dell’America vennero cacciati dall’Inghilterra perché troppo bacchettoni, tanto per porre in un giusto contesto la terra dalla libertà). Questo ideale pervasivo di divisione fra la nota cultura dell’orticello e tutto ciò che oltre lo steccato o il limitare del bosco rappresenta l’ignoto è ben presente ancora oggi (sostituisci “limitare del bosco” con “muro col Messico”) e da sempre è stato usato dalla letteratura e dal cinema, soprattutto quello di genere.

Capra! Capra! Capra! Capra!
Capra! Capra! Capra! Capra!

Padre della categorizzazione di questa paura è H. P. Lovecraft. Il Solitario di Providence ha infarcito i boschi del Maine e del New England delle peggiori creature, espandendo questo senso di terrore per l’ignoto a livelli cosmici ed esistenziali, fino a trascendere il bosco nello spazio siderale. Fui lui forse il primo a capire come questa esperienza terribile fosse intrinsecamente americana, ed umana. E ne fece (ma troppo celebrati) capolavori di genere. A lui dobbiamo, dopo vari passaggi, non solo il bosco, ma anche il mostro di Stranger Things (dove le Montagne della Follia incubano Alien) e quella cultura della stregoneria e dei riti che pervade The Witch. A lui dobbiamo anche i colori del film di Eggers (così come di molti altri film), che vengono direttamente “from Outer Space” (The Colour from Outer Space, appunto), a ricordarci che non è il nero il colore della paura, ma un colore terribile e pervasivo, che tutto avvolge ed uniforma (un “filtro” lo chiamerebbero le nuove generazioni). Con questi lasciti ci guida nel suo bosco di terrore, dove si celano cose mostruose mai del tutto svelate, ma percepite, comprese e finanche accettate, senza l’aiuto della ragione “descrittiva” che sarebbe stata condotta alla pazzia (così come adulti e bambini di Stranger Things accettano l’Upside down senza grosse rimostranze logiche, ma solo con una spiegazione con una matita che buca un foglio: altra citazione da Punto di non ritorno, che ritroviamo anche qui – e niente, il foglio bucato piace da morire).

Nel bosco della paura, infatti, poco conta il raziocinio, ma solo le regole imposte dal bosco stesso. E nessuno si sconvolge se un buco in un albero contiene la porta per un altro mondo o la tana di una strega che cucina infanti per creare sieri di bellezza. La paura segue gli stessi dettami della meraviglia, sta solo a noi (alla nostra cultura) capire se preferiamo meravigliarci o terrorizzarci, e cosa questo possa comportare nei nostri muri futuri. La critica si abbandona alla paura e anche noi sul limitare del bosco deponiamo le nostre armi, per lasciarci solo meravigliare.

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