Civita di Bagnoregio: “la città che muoVe”

Civita di Bagnoregio: “la città che muoVe”

A dire il vero la chiamano “la città che muore” ma questo soprannome,  pur geologicamente appropriato, sminuisce tutta la potente presenza scenica di Civita di Bagnoregio.
Ne parlo come fosse un’attrice su un palco perchè una volta arrivati al Belvedere di Bagnoregio ci si sente sul palchetto d’onore, catapultati ad assistere ad uno spettacolo surreale e magnetico. L’antica città di Civita, costruita in epoca etrusca la bellezza di 2500 anni fa (quindi senza apecar e senza acqua frizzante!), se ne sta aggrovigliata in cima ad un abbozzo di tufo, galleggiante sulla soffice bruma mattutina.

Se ne esce così, quindi, nel mezzo di una vallata arsa dalle frane ma addolcita dai vulcani ere geologiche or sono, bel bella col suo look da villaggio medievale. Ed é così hipster che comunica con la “terra ferma” solo attraverso una ponte di 300 metri, largo giusto quanto basta per trasportare viveri via minimotocarro e far sognare turisti a piedi (ma non contemporaneamente, ché non ci si passa altrimenti). Un’isola a sè stante in perenne lotta contro l’erosione, Civita sembra aver scoperto anche il segreto di fermare il Tempo, o almeno il pregio di gestirlo a modo suo. civita-di-bagnoregio dal basso

Lo si nota nell’attenzione ai dettagli quando, salita la passerella con la bocca aperta e lo sguardo all’insù, si oltrepassa la porta di accesso al borgo. Se avete la fortuna (che la forza sia con voi) di andarci alle prime luci dell’alba – o almeno prima che arrivino i pullman di Americani- potrete sorprendere qualcuno dei venti abitanti intento a spazzare i vicoli, a dar da mangiare ai gatti o a bagnare i fiori che decorano tutto il paese, alla faccia della città che muore. Nella quiete mattutina, l’impressione di essere in un’altra epoca e di vivere ad un altro ritmo è ancora più palpabile. La chiesa romanica di San Donato scandisce i quarti d’ora, sui balconi fioriti i cucchiaini picchiettano nelle tazzine di caffé, i bambini fanno domande e i grandi aspettano la consegna merci quotidiana. I ristoranti, le botteghe artigiane e il museo etrusco 3D sono ancora chiusi, regna una pace preziosa, che –forse– si dissiperà col passare delle ore, come la bruma sciolta dal sole.

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Le pietre chiare conservano timide la frescura, piazza del Vescovado si apre generosa dopo squarci di archi, gradini e frammenti di paesaggio rubati tra un muro e l’altro, in un susseguirsi di dolci saliscendi su sanpietrini. Dalle apertura sul panorama la vista sui calanchi è molto suggestiva, con i loro contrasti di luci e ombre: sono il monito alla fragilità di questo terreno, una specie di “chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza. Dunque si vive un po’ alla giornata, si vive di bellezza, di bruschette, di piccoli piaceri, di stralci di Storia, immaginando passati gloriosi e impreziosendo il presente.

S Donato
E poi si ritorna dall’altra parte della passerella, dove i turisti cominciano a fare la coda per comprare il biglietto di accesso al ponte (1,50 €, ma solo dalle 8 alle 20) e le navette fanno la spola dal parcheggio al belvedere e dal centro di Bagnoregio all’ingresso. E’ il momento di fare una piccola fuga verso il lago di Bolsena, poco lontano, e la sua graziosa cittadina.

Al Belvedere però dovete tornarci la sera per farvi conquistare dalla Civita illuminata, di nuovo sospesa nello spazio e nel tempo, immobile eppur “morente”. Il percorso da seguire é lo stesso, ma l’atmosfera è ben diversa: sopravvissuta un giorno di più, la cittadina si leva orgogliosa e si prende gioco delle paure sul suo avvenire. E brilla, e muove. Ci sta un brindisi.

 

Elisa Cugnaschi

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