Prendete un Dalì e tuffatevici dentro

Prendete un Dalì e tuffatevici dentro

La strada che porta a Cadaqués disegna linee curve su pendii a tuttotondo, un po’ verdi, un po’ brulli, un po’ mare. Si arriva dall’alto e si ha l’impressione di calarsi  in una baia nascosta e remota, quel posto preciso dove andate per non essere disturbati e per far quello che vi pare in santissima pace.

All’epoca doveva essere qualcosa così, mi dico mentre infilo le monete nel parchimetro del parcheggio a pagamento ai piedi del paesino di pescatori, tutto scale e colori pastello. Oggi Cadaqués, apice estremo della Costa Brava (quello che sbiascica un occhio sbilenco verso la Francia), mantiene il suo fascino pittoresco benché il suo centro storico manchi un po’ di autenticità. Si incrociano sguardi benevoli, asimettricamente posizionati sotto delle rughe incise dal vento e salate dal mare. Al di là dei caffé e dei negozietti un pò banali e pretenziosi, c’é un passato che continua a imporsi silenzioso, da assaporare lungo la costa, fuori dal flusso di turisti. Percorrere il perimetro frastagliato della baia é una buona via di fuga che solo i meglio equipaggiati possono permettersi, ma –anche per loro- il vero interesse é più a nord, superato Portlligat.

casa dali port lligat
Uovo gigante sul mare di Port Ligat

Mica a caso é proprio qui che un certo Salvador Dalì ha dato vita alle sue opere più conosciute, servendosi del panorama come scenografia per i suoi viaggi onirici e surrealisti. Dalle finestre dell’antica casa di pescatori che l’artista ha eletto a sua residenza stabile, infatti, si riconoscono per esempio i non-luoghi del Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio, quelli di Reminescenza archeologica dell’Angelus di Millet, le falesie de Persistenza della memoria o ancora i toni sullo sfondo del Farmacista di Figueras alla ricerca del nulla assoluto. La casa in cui Gala e Dalì hanno vissuto per quasi cinquant’anni é oggi un museo che ne rivela gli aspetti più intimi e simpaticamente grotteschi. Tocca prenotare in anticipo (specie d’estate), ma vale la pena mettere piede nell’atelier dell’artista, fosse anche solo per vedere dal vivo il suo famosissimo divano a forma di bocca o il meno pratico telefono-aragosta.

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Per un panorama più completo su tutta la sua creazione, invece, il museo di Figueras é tappa obbligata ed é facilmente raggiungibile dalla costa. Superfluo precisare l’esuberanza della visita, dato che il museo stesso é stato concepito da Dalì in persona (lo si capisce da lontano un miglio, vedendo le uova giganti sul tetto e il pane catalano geometricamente distribuito su tutte le facciate).
All’interno, superata la Cadillac con scultura e lucine annesse, é un trionfo di colori, idee, accozzaglie di pensieri assurdi e non. Concetti pennellati con cura su sfondi che richiamano incredibilmente gli spigoli che rompono la linea retta dell’orizzonte quando da Port Lligat si alza lo sguardo verso la Punta de S. Alqueria.

cap de creus parco naturaleAl di qua del surrealismo la Natura concede in effetti uno spettacolo meraviglioso anche a occhio nudo, e posa selvaggia senza bisogno di farsi immortalare su tela. Le passeggiate che collegano la casa museo e Cap d’en Roig (verso nord) sono ben curate e proiettano il passante verso scorci davvero suggestivi tra le rocce rossastre, il blu del mare e il verde odoroso della vegetazione. Il vento spettina i pensieri lungo il cammino, la polvere rossa vi resta nelle tasche e gli occhi dall’alto si gettano nel fondo delle calette deserte e irraggiungibili.

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Percorrere i sentieri polverosi del Parco Naturale di Cap de Creus é lasciarsi invadere dalla Creazione, vedere sfilare bellezza e collegare sinapsi in modo inedito, drogati di salsedine e libertà. Prendetevi combar del farounque un buon paio di scarpe da ginnastica, ché c’é pure un pochettino di azione fisica, oltre al proliferare metafisico e al misticismo nucleare del bizzarramente baffuto di cui sopra.
Una cosa sola, anche a costo di tornare in città via autostop: arrivate fino al faro.   Uno perché ha tutto il suo romanticismo avere per meta un faro, due perché c’é una vista fenomenale e tre perché c’è un bar che ne vale la pena. E poi perché nei tratti in cui la vegetazione si fa più rada si ha l’impressione di essere altrove, di camminare sulla luna o su Marte, o che ne so io, di essere finiti in un quadro di Dalì.

 

Elisa Cugnaschi

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