“Basilicata coast to coast”, frittata’n blues
Non avremo la Route 66, ma abbiamo la Basilicata. Dalla costa verde di Maratea, al bianco ancestrale dei sassi di Matera e dei calanchi fantasmi di Craco, la varietà di vedute supera quasi quella a stelle e strisce “east to west”. Basta aggiungere una combriccola scartellata di amici, l’occasione di un piccolo festival estivo, una storia d’amore sui generis, qualche siparietto comico di gusto e voilà, il road movie nostrano (di successo) è fatto. Ah, ovviamente, con colazione a sacco.
Basilicata coast to coast esce nelle sale nel 2010, un anno dopo il successo dell’omonima versione di teatro-canzone. E in effetti, a ben vedere, non si tratta solo di una storia picaresca a dorso di mulo, né di un giro turistico romanzato in commedia, no. Basilicata coast to coast è a pieno titolo un road movie musicale.
Nicola Palmieri (Rocco Papaleo) insegna matematica al liceo e, oltre a una moglie che un tempo lo amava e ora lo critica, ha un progetto: raggiungere Scansano Jonico a piedi, seguendo i vecchi sentieri dei pastori invece che la statale 653, arrivando in tempo per esibirsi nella serata finale del festival nazionale della canzone. Con lui, la band composta dal timido Salvatore (Paolo Briguglia) alla chitarra, suo cugino Rocco (Alessandro Gassmann), personaggio del sottobosco televisivo e quindi vip locale che però non ha di meglio da fare che strimpellare qualche strumento, e Franco (Max Gazzè) contrabassista ermetico, muto come un pesce di quelli che gli piace pescare e ributtare in acqua. A seguirli nell’impresa, suo malgrado, c’è anche la giornalista Tropea Limongi (Giovanna Mezzogiorno), figlia di un onorevole eppure relegata alla cronaca locale per un “giornaletto di preti”. Tra una tappa e un’altra, incontri con briganti di moderna tamarraggine e momenti in stile “nu poc rock star”, il ritmo è scanzonato e la narrazione mai banale.
Ma soprattutto, c’è la musica, che (s)muove i personaggi e le loro storie e finisce per fare da nastro adesivo che tiene insieme tutto. I veri protagonisti, infatti, sono i brani originali (in tutti i sensi) scritti dallo stesso Papaleo: d’una spontaneità e una leggerezza solo apparenti, sono piccole chicche di purissimo blues. Dietro tutte le cose semplici, si sa, ci dev’essere un’identità forte da raccontare perché diventino grandiose. E allora, cosa può esserci di più jazz del pane e frittata? Esiste forse una merenda più rithm’n blues? Perché è proprio di questo che si parla (anzi, canta). Nel far west italiano, nella Basilicata aspra e povera che oggi si tra tramutando in set da spaghetti movie, l’arte del fare molto con poco sta all’origine della tradizione gastronomica esattamente come, in altre asprezze e in altre povertà, stava all’origine della musicalità nera. Mani, terra, piedi, voce. Pane, sole, uova, olio. Jazz o frittata che sia, gli ingredienti sono essenziali. La vera cifra di stile, l’anima, sta nelle persone che li fanno.
“Pane e frittata di mia madre non si batte!
Perché non è che bastano due fette di pane e la frittata
per fare il pane e frittata che fa mia madre.
Se al pane e frittata che fa mia madre gli levi mia madre,
rimane un panino con la frittata,
generico, semplice, banale, ordinario.
Se invece al pane e frittata che fa mia madre gli levi il panino con la frittata,
rimane mia madre.
Che può sempre farmene un altro
che magari le viene meglio,
o peggio.
Lì uno può sempre fare dei paragoni e
oltre al gusto del pane con la frittata c’hai il gusto della sorpresa,
dell’imprevisto,
che è il sale della vita
e anche di quel pane e frittata.
Il pane e frittata senza mia madre è orfano,
è un panino senza back ground, senza memoria, senza cultura
è un panino che li per li ti sfama pure,
però non ti appassiona,
non ti fa crescere.
Il pane e frittata senza mia madre è un panino ripieno di un vuoto
e alla fine lo senti,
quel retrogusto
di un gusto
che non è il tuo.”
Frittata’n blues
“A me me piac’o blues” diceva Pino Daniele. Beh, a me pure. Ma soprattutto, mi piace il panino con la frittata, bello sponzato (cioè spugnato, senza distinzione più tra la fetta di pane e la frittata). Ancora più buono diventa dopo ore nello zaino, magari camminando sotto il sole in compagnia. Infatti non va mangiato mai, e dico mai, da soli. E mai, mai, mai se non si sta morendo di fame: insomma, è il top per le gite fuori porta. E allora, rock’n roll e godetevelo.
(dosi per 2 persone):
4 fette di pane casereccio
6 uova medie
gambi di carciofi o pomodori molto maturi o basilico o cipolla
olio evo
sale
Elementare, davvero. Per prima cosa scegliete l’ingrediente che preferite per riempire la frittata. Il grande intramontabile classico è la cipolla, che va prima tagliata a julienne e messa a bagno in acqua per qualche ora e poi saltata in padella con un filo d’olio e un pizzico di zucchero. Per rimanere in tema di cucina non povera, poverissima, in alternativa alla cipolla si possono scegliere il basilico o i pomodori troppo maturi, che vanno pelati e tagliati a dadini, poi saltati al volo in padella con un pizzico di sale. Si può osare anche la combo: cipolla e pomodoro, cipolla e basilico o pomodoro e basilico. Dulcis in fondo, opzione suprema, i gambi scartati dai carciofi. Vanno ovviamente pelati, lavati e scottati, poi tagliati a dadini e saltati in padella sempre con un filo d’olio. Una volta scelto l’ingrediente, il procedimento è quello di una banalissima frittata (ma ricordatevi che senza cuore verrà un panino con la frittata orfano e ordinario). Sbattete le uova in una ciotola, salate e aggiungete il ripieno. Olio caldissimo e via! Va imprigionata calda nelle due fette di pane e chiusa nella carta argentata in modo che si sponzi.
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