Dizionario della nostra stupidità
Mi sono perso in un luogo comune.
ECCELLENZA: Sempre italiana. Vedi EATALY
Allora io al Visconti avevo un professore di letteratura che era davvero over the top, un Google dell’opera dantesca, un da Vinci delle figure retoriche, un Jay-Z ciceroniano: di tutta la roba che c’ha spiegato – Cecco Angiolieri, colonna infame, de brevitate vitae e altre amenita’ – ovviamente non ricordo un tubo.
Ricordo invece due cose che ci disse a buffo una mattina che alle 9 c’era assemblea, e che non mi sono più uscite di testa: la prima, e’ che se vuoi aprire bocca e non hai di che argomentare, meglio che fai un favore a tutti e te stai zitto.
La seconda, è che solo gli ignoranti si esprimono per luogo comune.
Solo quelli senza cuore e senza parole.
Solo quelli senza argomenti.
Ergo, solo quelli che è meglio se se ne stanno zitti.
GOOGLE: La risposta a tutto. Ricorrervi quando si è in difficoltà. Abbrevia le discussioni. Talvolta contiene informazioni personali che mettono in difficoltà. Vedi ALIMENTI. Vedi FACEBOOK. Vedi GOOGLARE.
Vi partecipo questa parabolina d’utilità perché è uscito di recente, per i tipi di Einaudi, un volumetto curioso con tanto di maiale gigante in copertina: l’ha scritto Giuseppe Culicchia – che quanto a libri validi si difende bene: vedi Brucia la cittaà o Paso Doble; e poi vive a Torino che è una città bellissima – per combattere uno dei grandi drammi di questi nostri giorni postmoderni.
Non i risvoltini. Non i referendum senza quorum. Non le buche sul Lungotevere.
No.
La frase fatta.
GUAI: Per profilarsi scelgono sempre la stessa location: l’orizzonte. Vedi ORIZZONTE
Mi sono perso in un luogo comune è un Dizionario della nostra stupidita’: organizzato in ordine alfabetico, pronto a far bella mostra di sé fra un Devoto-Oli e un Rocci di mia cuggina, è un catalogo di tutti quei periodi facili che tanto vi fanno sghignazzare su Dinosauri Onesti. Una dopo l’altra, quelle ideucce dal consenso facile, da big likes in bacheca, lo stereotipo chic ma pure quello un po’ kitsch dei cliché da little talk: ovvero, tutto quello che ci esce di bocca quando – animali da salotto buono quali siamo – non abbiamo elaborato manco le basi azotate di un pensiero, ma dobbiamo dire la nostra.
INTELLETTUALI: Frequentano i salotti. Sempre di Sinistra. Sempre snob. Sempre antipatici. Sempre a spiegare perché la Sinistra perde le elezioni. Se la tirano. Citare appena possibile la frase sugli intellettuali e la pistola attribuendola a Joseph Goebbels, anche se non è sua. Chiedersi che fine abbiano fatto. Concludere che si sono estinti sul lido di Ostia. Brigare per una rubrica o un posto da direttore in un Istituto italiano di Cultura o almeno una cattedra da preside. In mancanza, inventarsene una.
Diceva Gustave Flaubert del DIZIONARIO: Riderne. E’ fatto solo per gli ignoranti.
[FLAUBERT: Ricordarlo solo per aver detto: “Madame Bovary c’est moi”.]
È con questa citazione fulminante che si apre l’incipit: non c’e’ scampo, questo libro ci farà del male. Perché ai densissimi guizzi comici quali FUFFA: È tutta. Vedi PARTITO DEMOCRATICO, si alternano anche sprazzi di rasserenata malinconia: con un registro semitrasparente, Culicchia racconta di sé e di noi, e di Torino, e della deriva delle nostre giornate fragili e del nostro pensare omologato, fermamente convinti d’essere pezzi unici, irreplicabili. Questo libro ci smonta, pezzetto per pezzetto.
GATTI: Meno affettuosi dei cani. Rispetto a questi sono tuttavia più autonomi. Vedi CANI. I siti online dei principali quotidiani italiani presentano ogni giorno almeno un video che vede come protagonista un esemplare. Se ne deduce che le redazioni devono per forza essersi dotate di una nuova figura professionale, probabilmente denominata “gattaro” o “gattara”, che per contratto setaccia il web allo scopo di scovare la star felina del giorno. Rievocare: “Una volta si mettevano in pentola e poi li si faceva passare per conigli”. Rimarcare: “E poi non devi portarlo di sotto a fare i bisogni” Il primo gatto con cui ho convissuto si chiamava Fufi. L’ultimo, Patata. Nel mezzo Grigio, Micio, Zelda. Micio veniva a sedersi sulle mie ginocchia bambine quando stavamo a tavola. Non si azzardava a mangiarmi nel piatto, semplicemente era contento di poter esercitare questo suo privilegio consapevole del fatto che i miei genitori non vedevano di buon occhio la sua presenza alle ore dei pasti. E’ stato il solo con cui ho avuto una vera complicità. Quando se ne stava andando a morire per conto suo l’ho convinto a tornare indietro. Poi l’ho pianto e l’ho sepolto in giardino. Ecco: questo e’ un altro esempio di “autofiction”.
Lo sapevate, che ci avrei piazzato dei gatti. Comunque, vorrei ricordarvi che pure Lo Stato Sociale si era cimentato nella tematica mainstream della bruttezza del luogo comune: ne Il sulografo e la principessa ballerina ( che ancora non abbiamo capito davvero di che cosa parla ‘sta canzone, e secondo me non l’ha capito manco Lodo), ci si sperticava in affermazioni quali:
il punto non è dire la verità ma dirla male
e allora te lo voglio dire
senza dirla per luogo comune.
Culicchia ci dice la verita’, e non ce la dice nemmeno troppo male: ci ha osservato, ci ha ascoltato, si e’ perso nella nostra manchevolezza verbale, nella fugacità dei nostri pensieri rimasticati, nella nostra intelligenze che forse forse non sono cosi’ brillanti come dicono i cv.
E’ tipico dell’intelligente, d’altronde, porsi questa domanda ancestrale: ma quanto siamo stupidi?
Ecco, tanto.
Ma questo libro ci aiuta ad esserlo con più consapevolezza.
Non perdetevelo.
INTELLIGENTE: A scuola, picchiando l’insegnante colpevole di aver dato un brutto voto alla propria discendenza, urlare con la bava alla bocca: “Mio figlio e’ molto intelligente!”
titolo | Mi sono perso in un luogo comune. Dizionario della nostra stupidita’
autore | Giuseppe Culicchia
editore | Einaudi
anno | 2016
pagine | 229
CHAMPAGNE: Non prendere mai in considerazione né torrenti né ruscelli: scorre solo a fiumi.