Snowpiercer è un film che inizia alla grande
Con la sua atmosfera cupa e disperata, i suoi personaggi laceri e dai volti sporchi, e la sua bellissima trama colma di mistero, Snowpiercer è un film che inizia alla grande.
L’umanità compie un tentativo disperato e tardivo per fermare il riscaldamento atmosferico, e fallisce. Le conseguenze stravolgono il pianeta, avvolgendolo in un’era glaciale permanente. Ogni forma di vita è annientata.
[Titoli di testa]
I preziosi sopravvissuti sono a bordo del Rattling ark, un treno alimentato da un motore eterno, progettato dall’imprenditore Wilford (Ed Harris), che viaggia intorno al globo senza mai fermarsi. Uomini, donne, e bambini, trasandati e vestiti di stracci, vivono in un ambiente buio che definire claustrofobico sarebbe riduttivo, e quotidianamente vengono “visitati” da soldati con fucili in spalla che, dopo aver monitorato qualche cosa che non comprendiamo, mettono in fila i disgraziati e li nutrono di nere barrette mollicce. Il nostro protagonista, Curtis, (un Chris Evans finalmente slegato dai suoi ruoli da supereroe belloccio, talmente mascherato da barba, sozzura, e oscurità imperante da renderlo irriconoscibile) è un punto di riferimento tra i dannati di questo inferno in miniatura, ed insieme al decano del gruppo (John Hurt) sta pianificando pazientemente una ribellione, un’avanzata verso la testa del treno. Ma chi è il nemico?
Un giorno la consueta ispezione da parte dei soldati prende una piega inaspettata; una giovane donna vestita di giallo (prima vera nota di colore nel film, e prima dimostrazione dell’esistenza di un’altra classe di esseri umani) misura tutti i bambini, portandone via due: la disperazione del padre di uno dei bambini si tramuta in rabbia che, ridicola e drammatica nella sua impotenza, si risolve nel lancio di una scarpa verso la donna in giallo.
La punizione ovviamente non tarda ad arrivare, incarnata nella figura di una meravigliosa Tilda Swinton che, mentre il povero “colpevole” viene crudelmente punito, tiene una lezioncina al gruppo inorridito sull’importanza di rimanere al proprio posto, i passeggeri di ultima classe sono al loro posto in coda al treno, e così è e deve essere.
Il vaso è vicino al traboccare. I tempi sono quasi maturi, ripete Curtis, in attesa di uno dei rari biglietti rossi nascosti nelle barrette alimentari, anonimi e lapidari ordini da parte ignota. L’insurrezione è vicina.
L’ultimo dei bigliettini rossi suggerisce il nome del tecnico che costruì gran parte del treno (Song Kang-Ho), imprigionato con la figlia (Ko Ah-Sung) che ama più di se stesso, e in cambio della droga da cui è dipendente, aiuterà i ribelli nel tentativo di raggiungere la testa del treno, aprendo porta dopo porta.
Il regista coreano Bong Joon-Ho svolge la sua particolarissima cifra stilistica nella commistione di generi differenti all’interno dello stesso film. A momenti che ricordano il puro film d’azione orientale (come la battaglia nel vagone a luci spente, che ricorda la violenza visiva dell’Oldboy di Park Chan-wook), vengono accostati senza soluzione di continuità momenti da film drammatico o addirittura da melò, il tutto nella cornice più puramente fantascientifica che non viene mai meno, neppure nelle scene più apertamente distanti dal genere stesso. Come già avveniva nel Monster-Movie The Host e nel thriller Memories of Murder (uno dei modelli di True Detective), il regista dimostra che il cinema non riguarda la materia trattata, ma la maniera di trattarla.
Il messaggio ambientalista, seppure non sbandierato palesemente nel film, è costantemente presente, e fa da drammatica cornice ad uno dei film di fantascienza più interessanti degli ultimi anni, il cui fulcro è invece di natura socio-politica, tanto più forte e reale quanto più viene distorto e reso fantastico ed esagerato dalla lente del genere. Tilda Swinton (Ministro del treno) è la traduttrice di questo messaggio con i suoi surreali e agghiaccianti discorsi, con la sua ottusa visione della realtà, e nella sua singola interpretazione ci offre le due facce della società classista del treno -inteso come mondo, ovviamente, non solo del film, ma e sopratutto nostro. Le parole di Tilda Swinton ci fanno rabbrividire di orrore, ma il suo personaggio, la sua fisicità, è la parodia e la critica dei suoi stessi discorsi.
Chris Evans è finalmente eccellente nei panni di un personaggio apparentemente semplice, uomo forte e d’azione, ma tormentato dal suo passato, dalla sua coscienza, pieno di sofferenza e dubbi e paure. É fiammeggiante e potente ma anche cupo, miserabile.
Notevoli sono i due attori coreani, padre e figlia tossici e laceri, che acquistano sempre più spessore procedendo nel film e nel treno: ingegnosa la trovata di un futuristico traduttore elettronico simultaneo che permette a Song Kang-Ho di recitare in un film in lingua inglese.
Bella prova anche per Octavia Spencer (l’indimenticabile Minnie di The Help) che interpreta una madre coraggiosa e forte, che segue a testa alta la rivolta, nel disperato tentativo di riprendersi il suo bambino portato via dalla donna in giallo.
Snowpiercer è un ottimo film, intrigante ed intelligente, crudo e violento senza essere disgustoso o intollerabilmente splatter, rapido, avvincente, e soprattutto concepito con dedizione, con amore. La trama elaborata e ricca di colpi di scena è ambientata alla perfezione nel treno, la cui struttura iper complessa ricorda il Nautilus del Capitano Nemo.
Trama eccellente, attori notevoli, scene d’azione memorabili, ma alto contenuto socio-politico su cui riflettere e discutere: insomma, cosa volere di più da un film di fantascienza? Assolutamente raccomandato (anzi ora me lo riguardo!)
Titolo originale: Snowpiercer
Regia: Bong Joon-Ho
Anno: 2013
Cast: Chris Evans, Tilda Swinton, Ed Harris, John Hurt