Una vita come tante | Astenersi deboli di cuore
Una vita come tante (A Little Life) di Hanya Yanagihara non è un libro per stomaci deboli, né per cuori delicati. Scordatevi di iniziarlo se siete in un periodo particolarmente complicato della vostra vita: fatevi inghiottire dal buco nero delle sue 720 pagine se ciò di cui avete bisogno è l’equivalente letterario di una testata contro il muro.
La trama sembra definita fin dalle prime pagine: le peripezie di quattro amici che da liceali maturano in giovani uomini tra l’urlo e il furore della New York contemporanea. I caratteri in cui riconoscersi ci sono proprio tutti: Willelm, bellissimo cenerentolo svedese che da cameriere sogna di tramutarsi in principe azzurro/attore. JB, rumoroso ed egoista, che semina droga e scopamici lungo la sua strada verso la celebrità artistica. Malcolm, frustrato architetto afroamericano che vive la ricchezza della sua famiglia come una vergogna; e infine Jude, silenzioso e gentile, il misterioso pianeta dalle origini sconosciute attorno al quale ruota questa galassia ben assortita.
Per qualche capitolo, i ragazzi seguono diligentemente la rotta del classico romanzo di formazione, tra successi e delusioni. Si innamorano ( di maschi e femmine, indistintamente ), trovano lavoro, qualcuno si crea persino una famiglia.
Ma quando ormai Una vita come tante è avviato, la storia ha preso il largo e ci si aspetta di navigare nella bonaccia, solleticati al massimo dall’innocua brezza di sogni giovanili mai realizzati, ecco che il capitano ci conduce con sadica determinazione verso un mare sempre più tempestoso.
“They all—Malcolm with his houses, Willem with his girlfriends, JB with his paints, he with his razors—sought comfort, something that was theirs alone, something to hold off the terrifying largeness, the impossibility, of the world, of the relentlessness of its minutes, its hours, its days.”
La storia si modella sempre più su Jude, il più silenzioso e brillante dei quattro amici: un ragazzo dall’intelligenza prodigiosa e l’anima ferita, che si divide tra matematica, giurisprudenza e feroce autolesionismo.
“But this was part of the deal when you were friends with Jude: he knew it, Andy knew it, they all knew it. You let things slide that your instincts told you not to, you scooted around the edges of your suspicions. You understood that proof of your friendship lay in keeping your distance, in accepting what was told you, in turning and walking away when the door was shut in your face instead of trying to force it open again.”
L’autrice ci svela passato, presente e futuro del suo eroe tormentato attraverso continui flashback e liberi flussi di pensiero, alternando il punto di vista di Jude a quello degli altri personaggi: una costruzione meticolosa e molto realistica, da cui emerge un personaggio che meriterebbe da solo il Man Booker Prize a cui il libro è candidato.
Non è questo il luogo per giudicare se Jude St. Francis sia o meno un personaggio positivo. Di certo lo si ama o lo si odia. Soprattutto, si impara a conoscerlo in modo tanto accurato da pensare di poter prevedere le sue azioni, o addirittura di sapere come guarirlo.
Impossibile è invece rimanere distaccati, non farsi coinvolgere da almeno un aspetto della narrazione. Il lettore è scosso di continuo: sussulta per la cruda descrizione di un dettaglio anatomico, si riconosce nel misto di paranoia e ambizione dei giovani protagonisti, si innervosisce fino a gettare il libro dall’altra parte della stanza. Io l’ho fatto, urlando contro il viso sofferente ritratto in copertina, rifiutandomi di riconoscere che gli aspetti di Jude che tanto mi irritavano non erano che un riflesso della mia stessa personalità. Mi sono fatta strada tra le centinaia di pagine con fatica e determinazione, interrompendomi di continuo per il troppo coinvolgimento.
L’ho chiuso con una sensazione di nausea e vertigine, lascito di una corrente che mi ha sballottato fino all’ultima pagina. Ripensando al viaggio, dalla sicurezza della terraferma, mi rendo conto di aver gettato tra le onde più di una certezza: come ogni viaggio che si rispetti mi ha in parte cambiato. O forse mi ha solo aiutato a scoprirmi un po’ più a fondo, incidendo una corazza non più necessaria.
“I might say that this whole incident is a metaphor for life in general: things get broken, and sometimes they get repaired, and in most cases, you realize that no matter what gets damaged, life rearranges itself to compensate for your loss, sometimes wonderfully.”
titolo | Una vita come tante
autore | Hanya Yanagihara
anno | 2015