Claudio Rossi Marcelli – We are a family

Claudio Rossi Marcelli – We are a family

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Luglio 2015. Sorvolo la Manica divorando il nuovo libro del giornalista di Internazionale Claudio Rossi Marcelli: “E il cuore salta un battito”. Rido, mi commuovo, mi arrabbio. Gennaio 2016. L’Italia si (ri)trova nuovamente catapultata nell’eterno dibattito finora irrisolto su unioni civili e omogenitoralità. Vorrei raccontare una storia, un esempio di preziosa normalità. È il capo a ricordami di lui, di loro. Di quanto mi ero emozionato a raccontarle della loro famiglia. Claudio mi risponde da Copenhagen dove ora vive con il compagno Manlio, le gemelle Maddalena e Clelia e l’ultimo nato, Bartolomeo.  Ecco, questo squarcio di straordinaria normalità inizia in un’estate del 1996. Roma, piazza Ungheria. Camuffato all’interno di un’uscita di gruppo c’è un appuntamento. I due ragazzi si sorridono, si piacciono. Sono proprio loro. “E il cuore salta un battito” è “l’istantanea, anzi, la Polaroid, vista l’epoca, di quel momento magico tra i 20 e i 25 anni in cui si vive in balìa delle emozioni ma, al tempo stesso, senza rendersene conto, si gettano le basi della propria vita”, mi dice tutto d’un fiato Claudio al telefono. Deve averlo già detto almeno trecento volte ma si percepisce il sorriso sulle labbra mentre lo ripete con orgoglio. Scherziamo. Credo che Claudio sia la prima persona che conosco che scrive un’autobiografia a 40 anni. Ma dopo aver letto il suo libro credo anche di averne capito il perché. Mi ferma subito, però:

No no, Marina Ripa di Meana ha scritto la sua famosissima biografia proprio alla mia età. Non conosci “I miei primi 40 anni”?? Quindi sì, si può benissimo!

Pardon.

Comunque, dicevamo, questo libro più che un’autobiografia è il racconto di un rapporto sentimentale. Di una tresca estiva che, da tresca, è diventata un impegno per la vita. E ora siamo papà Claudio e papà Manlio.

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Cosa ti ha spinto a scrivere la tua, la vostra storia?

Varie cose. Diciamo che la ragione principale l’ho capita ascoltando, ex post, le parole di Mariasole Tognazzi. Quando ha diretto il film “Io e Lei”, che parla di una coppia lesbica, ha detto una frase bellissima che mi ha fatto capire perché, anche io, avevo deciso di fare una cosa simile: “volevo raccontare una storia come tutte le altre perché quando dimostri che l’amore è uguale allora anche i diritti devono essere uguali“. Per me c’era un motivo civico sotto: volevo che tanti lettori vedessero la banalità o la semplice eccezionalità di una semplice storia d’amore.

Ogni storia spesso è utile ma non necessaria, dicono. Per molti, però, “E il cuore salta un battito” ed “Hallo Daddy”, l’altro tuo libro che racconta nel dettaglio la vostra esperienza di genitori, lo sono e lo saranno. Pensi di aver dato un esempio?

No. Penso piuttosto di aver dato un racconto. Spesso, almeno finora, mi è capitato di pensare che i libri che ho scritto sono i due libri che avrei voluto trovare quando avevo vent’anni e mi chiedevo cosa avrei fatto e soprattutto come. Questi libri per me – e spero anche per gli altri – sono come un amico che ti parla e ti racconta. Che ti dice: “A me è andata così. Spero sarà così anche per te!”. Non è un esempio, quindi, ma una testimonianza.

A chi ti sei rivolto quando li hai scritti?

Claudio 3Questi sono due libri che sembrano avere lo stesso approccio ma, in realtà, li ho scritti e vissuti in maniera molto diversa. “Hello Daddy” era una testimonianza a caldo. Urgente. Era ed è il racconto di qualcosa che mi stava succedendo. Qualcosa di dirompente che avevo voglia e bisogno di condividere (l’arrivo di Clelia e Maddalena, le due gemelle, nate da una maternità surrogata negli States, ndr). Sapevo che tante persone vivevano nella nostra stessa situazione con il desiderio di avere dei figli ma senza sapere nemmeno da dove cominciare. Ecco, questo libro è l’amico che racconta al pubblico omosessuale che c’è una strada. Che tutto questo è possibile. Ed è anche il libro per tutti gli altri lettori che vogliono una spiegazione su un fatto particolare come quello della maternità surrogata. Una spiegazione fatta in modo leggero, sereno. “E il cuore salta un battito”, invece, l’ho scritto proprio come quando si scrive un romanzo. La distanza da quell’epoca mi ha fatto studiare e creare i personaggi (una su tutte: Susanna. Caricatura straordinaria dell’amicizia folle e necessaria, ndr). Il suo valore civico è quello di raccontare un amore uguale che ha bisogno di uguali diritti.

Ho riso parecchio sulle tue prime esperienze da genitore, su come le hai raccontate. Ho sorriso della normalità del tutto. Le perle di Maddalena, Clelia e Bartolomeo sono epiche. Un momento in cui ti sei sentito completo e felice?

Beh, guarda. Per me l’approccio sit com nello scrivere questa storia era fondamentale. Ma guarda che è davvero proprio così! (ride). Poi mi sono detto: se “Will e Grace” ha fatto così tanto bene ai diritti gay, allora questa è la strada giusta. Come si può leggere, i momenti di grande felicità sono tantissimi. La vita di coppia e di genitore sono una gran fatica: richiedono una manutenzione continua. Il premio però arriva in quei momenti in cui realizzi gli affetti che hai, le cose che hai costruito.

Mi stai dicendo che non ti è mai capitato di dirti: “ma chi diavolo me l’ha fatto fare”?

No, francamente no. Poi, certo, da quando ho figli ho molto più rispetto di chi dice che non ne vuole (ride). Sono un bagaglio che ti stravolge la vita. Qualcosa di totalizzante. Ma io ho sempre sentito di essere fatto per questo. Di avere avuto una vocazione a questo stile di vita emotivamente stabile. Non mi sono mai pentito e mai mi pentirò.

Tu e Manlio vi siete conosciuti a Roma. Siete finiti a vivere in Svizzera e ora in Danimarca. Come vivete la vostra vita di coppia nel nord Europa? Mai avuto problemi?

No guarda, veramente zero. Ma zero zero! Pensa che in Svizzera siamo arrivati che la stepchild adoption la stavano ancora approvando. Abbiamo vissuto tutto il periodo del dibattito ma molto serenamente. Lì ci siamo potuti sposare ma ognuno era padre dei propri figli. A Copenhagen, invece, è tutto estremamente normale. Per i danesi non esiste alcuna differenza. Ricordo, quando siamo arrivati, la tizia allo sportello che ci ha detto: “per noi siete sposati e i figli sono vostri” e, anche con un certo orgoglio, ha trascritto il nostro status come “famiglia”.

Nessun problema nemmeno sul fronte maternità surrogata?

Qui la maternità surrogata – va detto – è statisticamente molto rara. Hanno tutti i diritti possibili per i gay ma… gli mancano i gay!  la Danimarca è grande quanto il Lazio… Abbiamo molti più amici papà e mamme omosessuali in Italia che qui.   claudio 4

Ecco, a proposito di Italia. Nel libro racconti gli anni a cavallo dello storico “Roma World Gay Pride”. Quelli tra il ’96 e il 2000… Cosa è cambiato?

Ecco, mentre diventavo adulto diventava adulto anche il movimento LGBT italiano. Da qualcosa di sotterraneo e sovversivo si trasformava nell’evento del WORLD PRIDE. Sai una cosa, però? Da quell’evento in poi non ho visto altre grandi cose. Non so nemmeno dirti bene cosa sia mancato… Mi fa un po’ impressione pensare che sono passati già 16 anni. Se quel giorno mi avessero detto: per 16 anni non otterrete nulla, nemmeno uno straccio di legge sull’omofobia. Beh, ecco… Non so come mi sarei sentito. Non so se avrei avuto la stessa grinta. È cambiata sicuramente la percezione dell’omosessualità: da perversione a status. Però c’è proprio un ritardo strutturale.

Hai scelto lo strumento del libro per comunicare a un Paese dove non vivi più. Ci torneresti? Ci hai mai pensato?

Fino a prima che si aprissero gli ultimi dibattiti forse sì. Però recentemente abbiamo pensato proprio che, forse, per il momento no. Non abbiamo nei piani brevi di tornare. Serve uno scatto culturale che richiederà ancora degli anni. Le gemelle hanno otto anni. Capiscono tutto. Perché dovrei portarle in un Paese dove devono subire discriminazione mentre stiamo a 2 ore di aereo da casa e possiamo stare bene? È come se dal Kansas mi fossi trasferito a New York, insomma. Sto lì perché non vedo perché dovrei combattere con la mentalità di provincia sulla pelle dei miei figli.

Papà Claudio, cos’è per te il sale della vita?

(Non ci pensa nemmeno un secondo e risponde così, di getto). È il coraggio. Il sale della vita è il coraggio, perché rende tutto più bello. Anche la felicità, se te la sei guadagnata con il coraggio, è ancora più bella. Il coraggio è quell’ingrediente che ti consente di fare il passo più lungo della gamba. E la nostra è una storia di coraggio. Se dovessi trovare una polvere magica della vita quella è proprio il coraggio.

 

Claudio 2

 

 

 

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