L’antidoto contro la vecchiaia
L'effetto balsamico dei libri
Si può vivere benissimo anche senza leggere, ne sono convinta.
Ma occorre sapersi accontentare della vita che si ha. E non per tutti una sola esistenza si rivela sufficiente. Capisci di essere un amante dei libri quando la tua vita ti sta troppo stretta per lasciare che sia l’unica, quando non riesci a trattenere le lacrime mentre qualcuno legge a voce alta per te e ti spalanca le porte di tutte le vite che non stai vivendo, come accade nel film The Reader.
Non mi sono sempre piaciuti i libri. Ho passato i miei primi 7 anni di vita a ripudiarne anche solo la vista. E poi, d’un tratto, la folgorazione.
Ricordo di aver passato la seconda elementare (correva l’anno 1997) a leggere Il sole e il girasole, un libello dalla copertina rossa, con poche pagine scritte a caratteri cubitali. Mi piaceva talmente tanto che appena arrivavo alla fine, lo ricominciavo da capo, senza darmi (né dargli) tregua.
Molti anni dopo venni a conoscenza della celebre frase di Umberto Eco, secondo il quale: “Si può essere colti sia avendo letto dieci libri che dieci volte lo stesso libro”. Non che Il sole e il girasole mi avesse reso una persona colta (anche se…), ma certamente quella fu la prima volta che m’innamorai di un libro. Poi la seconda elementare finisce e ti rendi conto che puoi addirittura provare a leggere un altro libro, poi un altro ancora, e la tua camera straripa di oggetti ma per un libro in più c’è sempre spazio: non esiste valigia senza averne almeno uno all’interno e se non ci fossero i libri il tuo comodino sarebbe tristemente vuoto.
Credo ciecamente nell’effetto balsamico della lettura, da intendersi come chiave d’accesso verso un mondo “altro”, in fuga dalla materialità dell’esistenza. Nell’ingiustamente poco popolare racconto Mendel dei libri, Zweig descrive un personaggio per cui, se si amano i libri, è difficile non provare una forte empatia: Mendel era un bibliofilo eccezionale, il cui amore per la lettura rasentava la follia.
Del resto, non sorprende sapere che l’eccesso di libri possa compromettere il senno: basti pensare a Madame Bovary, che si lasciò travolgere dalla continua lettura di romanzi o a Don Chisciotte, a cui a nulla servì il rogo che il curato e il barbiere fecero dei suoi libri di cavalleria, nel vano tentativo di riportarlo alla realtà. Eppure in tutti questi personaggi citati si può riconoscere il comune tratto della lettura interpretata alla stregua di una religione: come se l’esaltazione del valore salvifico del libro vincesse in ogni caso contro il pericolo di perdere il senso della realtà, come se la follia fosse il giusto prezzo da pagare per aver vissuto così tante vite oltre alla propria.
Leggere è ammettere di non essere mai sazi di ciò che si è appreso, di avere un’implacabile sete di curiosità nell’osservare il mondo con lenti diverse. “Sapeva leggere” – scrisse Sepùlveda – “Fu la scoperta più importante di tutta la sua vita. Sapeva leggere. Possedeva l’antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia.” E raramente un libro è destinato a restare impresso sulla carta stampata: a volte prende nuova vita proiettandosi su una pellicola cinematografica, altre si ritrova ad essere recitato su un palcoscenico teatrale e altre ancora viene tradotto in canzoni indimenticabili, inciso su un disco da conservare con gelosia. È il caso di Non al denaro, non all’amore né al cielo dove alcune poesie tratte dall’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters hanno ispirato alcuni dei testi più emozionanti mai scritti nella storia della musica italiana, tanto da legittimare chi sostiene che, tra i due, il vero poeta sia proprio De André. Ecco allora che attraverso l’arte di Faber, quasi epigrammatica, indossiamo le lenti di un giudice, di un blasfemo e – udite, udite – di un matto.
Durante un’intervista di Fernanda Pivano, De André raccontò di aver cercato di ricavare dall’opera di Lee Masters temi che “si adattassero ai tempi nostri”, traducendo questo Spoon River alla realtà in cui viviamo oggi, in modo da rendere queste poesie ancora così attuali da farci dimenticare che furono scritte nel 1914. È curioso come la cultura cerchi sempre nuovi mezzi di divulgazione che cavalchino la modernità del presente: è quello che ha cercato di fare la fondazione Cesare Pavese attraverso il progetto #Leucò, che ha seguito le orme del primo tentativo con #LunaFalò, con l’idea di far riscrivere al popolo di Twitter le più celebri opere dello scrittore piemontese. Certo non è semplice tradurre i Dialoghi con Leucò in 140 caratteri, ovvero il limite di spazio di un singolo post su Twitter. Eppure pare che Pavese, a colpi di tweet, abbia spopolato sul web, coinvolgendo centinaia di utenti. I risultati finali di questo progetto saranno esposti al prossimo Salone del Libro di Torino (16-20 maggio), dove noi di Salt Editions saremo in prima fila per assistere alla tavola rotonda su #Leucò e su come la cultura possa farsi strada anche attraverso i social network.
Amo i libri cartacei, ma faccio parte di quella categoria di lettori che non vede la tecnologia come un ostacolo, bensì come un’inestimabile opportunità: ci pensate? Il vostro e-book reader non richiama forse una moderna biblioteca di Babele, come sognava Borges?
editoriale centratissimo e….toccante! indovina perché ?!!!! La lettura di spessore scalda il cuore ad ogni età !
Bellissimo *_*
Grazie di cuore!! felice che vi sia piaciuto e soprattutto che leggiate sempre quello che scrivo 🙂 grazie davvero
Ben scritto, bene architettato.
Sono Mario Signorelli, burgundo52 è il mio nome utente. Ciao.
Grazie mille, Mario! Gentilissimo.
Francesca