La famiglia e lo Stato nel Teorema di Pasolini
La famiglia è da sempre il primo modello di ogni società ed il suo nucleo fondante. Questa affermazione è ancora più vera, se si parla della famiglia e della società borghese. Pasolini ritiene che non possa esistere rivoluzione o affrancamento da una società borghese, senza una rivoluzione all’interno della famiglia borghese, cioè dove la morale ed il pensiero borghese nascono e vengono insegnati. Con Teorema, forse il suo film più teorico e meno accessibile, il regista cerca di dimostrare in maniera scientifica come questa rivoluzione distruttiva possa avvenire, con una sequenza matematica di eventi.
Sembra anacronistico parlare di società borghese negli anni ’10 del nuovo millennio, lontani da una lotta di classe e da una divisione fra mondi borghesi e proletari/operai che non ci appartiene più, ma Pasolini liquida questa distanza storica nei primi cinque minuti di film, realizzando un finto documentario-intervista, dove ad alcuni operai si chiede del futuro della fabbrica. Da sempre marxiano (e non –ista, perché non aprioristicamente dogmatico) scettico, non è difficile capire quale sia la sua idea sul futuro: Marx diceva che saremmo diventati tutti proletari; Pasolini teme che diventeremo tutti borghesi (coproprietari della fabbrica, metaforicamente). È evidente che 40 anni di storia hanno dato ragione all’intellettuale italiano, non al filosofo tedesco. Nulla, dunque, è anacronistico in Pasolini: la sua visione ha anticipato, per molti versi, la modernità. Anche in Teorema. Quella famiglia è, fondamentalmente, quella in cui noi stessi siamo cresciuti, anche se ora giriamo con le barbe lunghe.
Il film ha due introduzioni: quella documentaristica e quella di presentazione dei personaggi. La seconda avviene usando immagini in seppia, mute, in cui si vedono i personaggi interagire fra di loro, senza però sentire quello che si dicono. Solo alla fine della sequenza compare l’immagine a colori, nuovamente col sonoro, dell’Ospite. La fondazione ideologia del film è subito chiara e traspare anche dalle immagini di desolata terra vulcanica infrapposte alle scene di vita borghese. La vita borghese è falsa –senza sonoro, in seppia- governata da un orizzonte morale ed etico sterile e senza vita –la desolazione vulcanica-; ma questo ragazzo, l’enigmatico Ospite interpretato da Terence Stamp è vivo, reale, autentico. E sconvolgerà la vita ai membri della famiglia, con matematica precisione, così come matematicamente è tripartita l’opera filmica.
Le tre sezioni sono facilmente riconoscibili. Alla prima spetta il compito delle “seduzioni”. Tutti i membri della casa vengono sedotti sessualmente dal giovane ospite, dalla domestica al padre, ricco proprietario di fabbrica. Benché le esperienze sessuali non vengano mostrate, sono molto chiare. Stupisce come la sessualità sia molto più velata rispetto ad altri film di Pasolini, dalla Trilogia della Vita a Salò, per esempio. Pur condividendo l’impianto ideologico con altri film, Teorema non ne condivide i diversi piani di lettura. La Trilogia della Vita è tutta basata su più piani di lettura dell’opera: a partire da quello immaginifico, per giungere a quello politico-ideologico. Lo stesso vale per Salò, leggibile di pancia o di testa. Teorema non vuole ottenere questo: vuole essere un film-dimostrazione (matematicamente intesa). L’idea di base è la stessa: la rivoluzione passa attraverso il corpo, quindi il desiderio ed il sesso. Il corpo è rivoluzionario. Il giovane Ospite scardina ogni certezza attraverso il proprio corpo, che è vita prima di tutto, e libertà e contrasta nettamente coi copri morti ed incatenati degli altri membri della famiglia.
La seconda sezione è quella delle “confessioni”, dove ciascun membro della famiglia rivela i propri sentimenti all’Ospite, nel giorno della sua partenza. L’orizzonte morale ed etico del borghese è desolato, ma il paesaggio scelto dal regista non è un semplice deserto, bensì brulla roccia vulcanica, sulla quale aleggiano vapori e cenere. E sotto la quale ribolle, senza bisogno di vederla, la lava. Questa lava altro non è che la vita stessa, che l’Ospite risveglia sotto l’apparenza inerte della famiglia borghese. Vita che stimola altra vita. Vita pronta ad eruttare, distruggendo la superficie e tutto ciò che incontra sul suo cammino. Durante le riprese, Pasolini scrisse anche un libro, col medesimo titolo. Molto più che una semplice sceneggiatura, è la riscrittura del film in parole, capace di spiegare anche le cose che il film lascia in sospeso, per la differenza dei mezzi. Le varie parti dei capitoli sono inframezzate da poesie, che rappresentano via via attacchi ai Poteri forti (Chiesa e Stato), ma soprattutto affermazioni ogni volta più forte di quella Vita di cui l’Ospite è portatore. Il corpo è vita, è rivoluzionario ed è anche arte.
La terza parte del film mette in scena le “trasformazioni” che la venuta dell’Ospite ha portato. Come una messianica figura pagana, figlio di una religione tutta umana e sull’uomo (non su un dio) incentrata, il passaggio dell’Ospite crea sconvolgimenti non facilmente accettabili. La vita erompe, furiosa e sorda ad ogni ragione. E le conseguenze sono catastrofiche. La giovane figlia entra in stato catatonico; la madre si mette ad abbordare giovani ragazzi in giro per Milano; il figlio diventa un tormentato ed insoddisfatto pittore; il padre regala la fabbrica ai suoi operai e si denuda, alla stazione Centrale. Pasolini sembra dirci che la vita è lì, da qualche parte sotto la scorza borghese, ma non basta averla assaggiata per possederla. La povertà morale borghese è quasi incapace di comprendere la vita, finanche di vederla. La ricopre di infamia e sensi di colpa (la madre), la ammanta di follia o la tramuta in una consunzione intellettuale ed artistica.
L’Ospite, unica figura del tutto Pura del film, è permeato di vita, senza alcun sovracostrutto né alcun pregiudizio. Tratta tutti i membri della famiglia parimenti: scherza col figlio, suo coetaneo, come scherza col padre, seduce la madre di famiglia, come seduce la domestica di casa. Non fa differenze di classe, di sesso o di anzianità: la vita seduce e colpisce tutti quanti, senza distinzione. Non traspare nessun tipo di sentimento peccaminoso nelle azioni dell’Ospite. Il peccato esiste solo per chi ci crede, per chi ne avverte la colpa. Il sesso è vita, non è peccato, se praticato senza sensi di colpa, senza pudori, come una cosa naturale. Come dovrebbe essere. Indipendentemente dall’orientamento sessuale, che è un costrutto a posteriori, completamente inutile. La mente borghese è incapace di percepire, di prestare ascolto a ciò che di sacro esiste all’interno dell’Uomo, all’interno del Corpo. La sacralità umana viene sacrificata ad una Chiesa che ha dimenticato il suo centro, ad uno stato che si è alienato dalla sua base (creandosi esso stesso un “corpo”, per giustificarsi”).
L’unica che riesce ad “ascoltare” il sacro richiamo della vita è la domestica, di estrazione umile e rurale. Pasolini riprende uno dei suoi primi temi: la vita è più vera nelle persone di umile estrazione (si pensi alle poesie, ma anche ai primi film, ai “Ragazzi di Vita”). La sua trasformazione avviene proprio in senso mistico religioso. Eppure alla fine lei stessa chiede una sorta di “martirio”, che avviene in un cantiere, all’ombra di una ruspa, emblema del mondo del cemento che sommerge ogni tipo di virgulto vitale, ripreso anche nel Pianto della Scavatrice. Siamo di fronte a grandissimi temi, del tutto attuali, che coinvolgono tutt’oggi la nostra moralità. Da qui tutto deriva, dai dibattiti sui matrimoni gay, alla politica della cosa pubblica.
La grandezza di un intellettuale (forse l’ultimo italiano) risiede proprio in questo: riuscire a prevedere i tempi, fare filosofia con l’attualità e spiegare con immagini di tutti i giorni le teorie filosofiche. Senza mostrare la fine del processo conoscitivo, ma indicandone la strada ed i mezzi. A noi non rimane che studiare e trarre le conclusioni.
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