No Country for Young Men: Goffredo Fofi ed Inside Out
Mi è capitato di leggere su varie bacheche di vari amici la recensione che il critico Goffredo Fofi ha fatto per il film Pixar Inside Out, su Internazionale (leggetelo qui). Stimo (abbastanza) lo sguardo sempre attento e distaccato del critico e mi ha stupito leggere questo articolo. E la sfilza di commenti su ogni bacheca che lo riproponeva. Non ha avuto, al di fuori delle rumore dei social, la giusta attenzione mediatica, né una degna risposta. Non che sia solitamente famoso per il contraddittorio, ma una quantità così grande ed ingiustificata di sproloqui merita, se non altro, una disamina. Anche perché non è stata scritta da me su SALT, ma da uno dei più importanti critici italiani su una rivista a diffusione nazionale.
Fofi ha torto. Completamente ed in tutto quello che dice.
Si tratta di una affermazione forte, ma purtroppo è proprio così. Spero sia dovuto solo al nipotino che lo ha stressato fino alla morte per andare a vedere il nuovo film Pixar, ma Fofi non ha capito nulla del film e delle sue intenzioni.
Innanzitutto sembra travisare completamente le neuroscienze per misticismi occulti e, addirittura, rigurgiti politeistici. Non serve essere studiosi nel campo biomedico e psicologico per conoscere due cose sulle emozioni di base, quelle universali che condividiamo non solo con tutti gli uomini della terra (dagli aborigeni del Borneo agli Inuit), ma anche con molti mammiferi superiori e quasi tutti i primati. Sì, siamo nati dalle scimmie ed il vostro dio non può farci proprio nulla. Non serve essere neuroscienziati e conoscere le teorie ormai pluridecennali e validate di Paul Ekman: basta aver guardato un paio di puntate di Lie to Me, serial televisivo americano uscito ormai qualche anno fa, che romanzava la storia – vera – di Ekman. Per lavoro, dunque, credo che Fofi si sia confrontato anche con questo e che quindi conoscesse le teorie sulle emozioni di base. Bisogna dunque pensare che lo sproloquio catto-antievoluzionista sia voluto e non solo frutto di ignoranza?
Dopo una attenta analisi mi sono convinto che lui sostenga che il film passi come messaggio che siamo completamente e solo dipendenti dalle emozioni, senza alcuna mediazione razionale. Questo è falso anche nei confronti del film stesso, dal momento che quando le emozioni si “bloccato” [SPOILER ALERT] la ragazzina è in grado di decidere di tornare sui suoi passi, nonostante le emozioni. Inoltre la gestione “emotiva” degli adulti è molto più smussata di quella della ragazzina. Anche questo risponde ad un criterio legato al neurosviluppo, dal momento che il controllo razionale si acquisisce con l’età e con la strutturazione di una coscienza. I bambini sono molto più suscettibili alle emozioni, carenti di controlli “superiori” ed in questo simili, forse, agli animali.
Sembra che Fofi abbia deciso cosa vedere, focalizzandosi solo sulla parzialità del film che a lui interessava per fare un attacco antiamericano e, incredibilmente, filocattolico. Mi ha stupito soprattutto l’accenno all’assenza di libero arbitrio, come se stessimo disquisendo di teologia e filosofia, travisando completamente che l’impianto teorico del film è scientifico in primis e non filosofico (e poi, alla fine, è un film Pixar, non un film di Malick…). E la scienza può spiegare, al massimo, “come vada il cielo, non come si vada al cielo” (per chi non lo sapesse, sono parole di Galileo). L’appunto sul libero arbitrio è, inoltre, piuttosto ridicolo, dal momento che questo sì è un costrutto creato ad arte da una religione monoteista per giustificare se stessa e meglio controllare tutti noi. L’illusione cattolica del libero arbitrio non dovrebbe sfuggire a chi ha fondato e dirige una rivista che si chiama Lo Straniero! L’idea di Camus di accettazione dell’assurdo prescindeva clamorosamente dal concetto di libero arbitrio, quasi ridicolizzandolo! Di nuovo, questo mi fa pensare che Fofi abbia voluto piegare a suo piacimento e quindi volontariamente ogni nozione. Mi stupisce, anzi, che un giornale progressista come Internazionale abbia pubblicato un tale sproloquio religioso. Camus avrebbe liquidato il tutto con uno sbuffo di pipa e con una frase criptica che l’avrebbe fatto odiare da metà della popolazione ed amare dall’altra metà. Io non ci riesco, ho bisogno di più parole.
Fofi ha perso una grande occasione: quella di lodare un film che meritava lodi, colpevole solo di essere figlio della Pixar, grande macchina creatrice di sogni. Ma forse qualcosa di buono può nascere anche qui, in seno alla più grande major al mondo. Perché, caro Fofi, la dietrologia aiuta a vendere, come dire che i vaccini fanno venire l’autismo, entrambi figli dello stesso mondo e dello stesso pensiero unico. Inside Out ricorda che una volta eravamo in grado di fare cinema con nozioni scientificamente corrette. Questo non lo ha notato, il nostro critico. La scienza è stata per anni una forza motrice del cinema, statunitense in primis, ma non solo. Ad un certo punto, direi tra gli anni ‘80 e gli anni ’90 (potrei assumere Jurassic Park come spartiacque) il cinema ha preso una direzione completamente diversa, anche in quei film che un minimo di scientificità la meriterebbero (Interstellar, mi leggi?). Ed ora siamo qui a farci insegnare da un cartone animato (NON un film per bambini, si badi bene), per giunta mainstream, che si possono creare sogni con la scienza; che si può fare un film apprezzabile da tutti, leggibile a vari e molteplici livelli di profondità, con un impianto teorico impeccabile; che si possono accostare le fughe della Pixar (perché il film ha una forma classicissima, in termini d’animazione di brand) a voli d’arte cinematografica come la sequenza del pensiero astratto.
Davvero c’era bisogno di tirare in ballo i poteri occulti? Lo si faccia per i supereroi Marvel, almeno! Davvero c’era bisogno di mettere di mezzo la filosofia religiosa? Decisamente no. E forse, caro Fofi, il pubblico è più intelligente di quanto tu stesso voglia farlo. E difficilmente diventerà uno zombie guardando un film sulle emozioni.
[…] che gli unici sprazzi di originalità ad Hollywood si trovino nell’animazione, forse ancora libera dalle convenzioni e malleabile secondo la mente del […]
[…] a testa senza esclusione di colpi fra Inside Out e Anomalisa. Con la differenza che il primo è un film tipicamente Hollywodiano, anche per bambini; […]
[…] libertà che Hollywood non sa più ottenere). È sufficiente ricordare alcuni titoli Pixar, come Inside Out o il mai troppo acclamato Wall-E, ma anche titoli minori come Rango di Verbinski, per rimanere […]
[…] Va bene per tutti. Tutti. Fidatevi. […]
[…] Il tragitto è lo stesso che compio anche al mattino, prima di legarmi ad una sedia per combinare qualcosa con i miei studi e ripetermi il mantra, di Alfieriana memoria: “Volli, sempre volli, fortissimamente volli”. In realtà vorrei ancora il caldo abbraccio del piumone e il Puddingteilchen, della Zimmermann Backerei di Colonia (una porzione di felicità ripiena di soffice budino alla vaniglia e senso di colpa), ma i doveri incombono e la strada risulta pesante. Tuttavia quel km scarso che mi separa dal rincasare, alla sera, è diverso. Non solo perché è in discesa, ma perchè, avvolto nel buio, è il mio tempo. Quello in cui cerco di camminare in posizione eretta, perchè di Alfieri non ho la volontà, ma di Leopardi ho sicuramente la gobba. Ricordo di stringere i glutei, perchè oltre al freddo – che solo in Kamcatka è simile- i workout della Butt Bibble non sono mai sufficienti. Divento regista dei film mentali (tendenzialmente tristi come Her, perché sono immancabilmente sfigata come Theodore) e li stronco con impietose recensioni, che nemmeno Goffredo Fofi scriverebbe. […]
[…] Sebastian Schipper, le sale di proiezione dovrebbero fare a gara per mostrarlo al pubblico, i critici dovrebbero stracciarsi le vesti gridando al miracolo, e la diffusione di questa opera dovrebbe essere massima, capillare. E invece. […]