Voina Hen | Noi Non Siamo Infinito
Stati d'animo e prese di (in)coscienza
Avete presente quelle americanate tristissime, quei film in cui i padri si ostinano a chiamare i figli “campione”? Quei film in cui se è inverno sbuca qualche famigliola o qualche coppietta che pattina allegramente su un laghetto ghiacciato? Ogni volta penso “adesso il ghiaccio si incrina e precipitano tutti. Stronzi”. Che alla fine è un po’ una metafora, no? Camminiamo su una sottilissima lastra di ghiaccio, cercando di tenerci in equilibrio, rigorosamente in silenzio. Perché è così che ci hanno insegnato. “Se ti impegni e fai il bravo, puoi diventare tutto quello che vuoi”. Studia, lavora, testa bassa, in silenzio, non badare agli altri, pensa al tuo futuro. Puoi diventare quello che vuoi. PUOI DIVENTARE QUELLO CHE VUOI.
Ci hanno fatto credere di essere speciali, di essere i migliori, che saremmo diventati qualcuno. E così siamo diventati una generazione di eterni insoddisfatti, nell’infinita attesa del cambiamento che darà un senso alla nostra vita, al nostro futuro. Ma quale futuro?
Tutto questo pippone pseudoprofondo per dirvi che qualche giorno fa, il ghiaccio che scricchiolava sotto i miei piedi si è definitivamente rotto. Era incrinato da un pezzo, e forse ho fatto finta di non accorgermene. È bastato premere play.
L’opera prima dei Voina Hen, Noi non siamo infinito, è l’impronta decisa che rompe la lastra di ghiaccio, quella che ti fa precipitare nell’acqua gelida della realtà: non puoi diventare quello che vuoi, non sei speciale, sei come tutti gli altri. Cos’è che volevi diventare da piccolo? Ci sei riuscito? No, e nonostante tutto continui ad annaspare, aggrappandoti a chissà cosa. La verità è che dovremmo essere tutti incazzati, nessuno escluso, ma non ne siamo capaci, da troppo tempo abituati a curare le apparenze, a fare finta che vada tutto bene (E mi chiedo dov’è finita la volontà di potenza/l’hai scambiata con un po’ di apparenza/non ti arrabbi più perché hai imparato la clemenza/è codardia, ma lo sa solo la coscienza); siamo ancora convinti che prima o poi qualcosa potrebbe succederci così, all’improvviso.
Ma dove cazzo correte con gli zaini sulle spalle, pieni di castelli campati in aria e smania di realizzazione? Con la perenne frustrazione di non riuscire a raggiungere la tanto agognata felicità? Con gli sguardi persi nel vuoto, neanche foste degli zombie appena usciti da The Walking Dead? I Voina Hen si incazzano con noi e per noi, e alzano il tendone di questo circo di nani e puttane, mostrandoci le cose come sono per davvero. In tutte le tracce dell’album, compreso il singolo che ne ha anticipato l’uscita (di cui trovate il video qui), si palesa un sound crudo, duro, ma che allo stesso tempo non lascia alcuno spazio all’imperfezione. Nel gruppo regna una caotica armonia, gli strumenti si fondono senza sbavature alla voce dei Voina, Ivo Bucci, che interpreta i testi con un’onestà espressiva disarmante: in lui – e in tutti i componenti del gruppo – nulla è costruito, e si vede; riesce a trascinare e a farsi ascoltare, con la rara capacità di urlare senza alzare la voce (un po’ come Godano nei Marlene Kuntz. Magari un po’ più incazzato).
Cari Voina, se arrabbiarvi significa fare album del genere, continuate pure. A me al massimo viene la gastrite.
[…] Voina | La Provincia […]