Il cuore è un cacciatore solitario | C. McCullers
Questo è un libro che ho inseguito per diversi anni, come se il momento giusto per leggerlo non arrivasse mai. La prima volta che ne ho sentito parlare avevo 21 anni, e seduta a gambe incrociate sulle mura della città alta di Bergamo evidenziavo svogliata incomprensibili regole di grammatica russa. Davanti a me, seduta sul prato, una ragazza scoppiò improvvisamente a piangere. Di fronte al mio sguardo atterrito, si limitò a sollevare il suo libro appena terminato per mostrarmi la copertina “mi ha fatto a pezzi il cuore” mi disse, abbinando all’iperbole tipicamente americana la sua migliore espressione melodrammatica.
Gettato il libro di russo sull’erba del prato (o oltre le mura?) mi misi subito alla ricerca di notizie: autrice americana dalla biografia tormentata, una storia popolata da idealisti sconfitti, una sonnolenta cittadina della Georgia nel pieno del furore razzista degli anni Trenta. Il cocktail perfetto per la dipendenza alco-letteraria della sottoscritta, insomma. Ma la guerra fredda tra lingua russa e letteratura americana incalzava, e il paziente lavoro di mediazione per evitare un conflitto di cui sarei stata l’unica vittima mi distolse dalla ricerca.
A cinque anni di distanza, ho finalmente trovato una copia polverosa nella biblioteca vicino a casa, e ho lasciato che allietasse le mie prime sere fiorentine.
Il cuore è un cacciatore solitario è la prima opera di Carson McCullers, che lo scrisse a soli 23 anni. I suoi personaggi si sarebbero sempre contraddistinti per un’apatia data dall’opprimente luogo che li ospita, ma anche e soprattutto da ideali che, per quanto nobili, nessuno di loro è in grado di coltivare. Due uniche figure brillano in questa triste costellazione di sconfitti (ben diversi dagli sconfitti Hemingwayani, che in ogni modo tentano di soffocare virilmente le loro ansie): Singer, un misterioso gioielliere sordomuto, e Mick, una ragazzina che insegue testardamente il sogno di diventare musicista.
Attorno a queste figure ruota un intero universo di personaggi secondari: dal beone vagabondo Jake Coulter al mite Biff, proprietario di un bar degno dei più angoscianti quadri di Hopper, fino al dottor Copeland “un nero che è incredibilmente riuscito a diventare dottore”, che sacrifica il rapporto con i suoi figli alla rabbiosa ricerca di un riscatto per la sua razza, alimentata dalle letture di Marx e dal fervore religioso. Tutti sono attratti dal buon Singer (in inglese cantante: un pifferario magico muto, una sirena al contrario, che più che ingannare i navigatori li guida dolcemente al di fuori di una rotta monotona e letale) e da Mick.
Singer è un gioielliere, come il padre dell’autrice. La piccola Mick è una ribelle, come lei intenzionata a diventare una pianista. Carson abbandonò la sua idea solo per dedicarsi alla scrittura: Mick, come gli altri, si aggrappa a Singer per trovare il coraggio di realizzare le sue ambizioni. Le descrizioni della piccola accoccolata accanto ad una vecchia radio, regalo del sordo, sono tra le più incantevoli dell’intero romanzo
“La sinfonia le viveva dentro e si completava poco alla volta, fino a diventare limpida nel ricordo. Non ne aveva perduta una sola nota, e nel suo intimo, la musica vibrava esattamente come durante il concerto. Ma non riusciva ad esprimerla. Doveva soltanto attendere, aspettare pazientemente come le foglie che sbocciano sulla quercia in primavera”
Mick è una figura limpida e idealista, da cui tutti sono attratti e insieme spaventati. Ama ed è amata: da un suo coetaneo, con cui lascia la propria innocenza tra le foglie di un bosco, da Biff, che per lei prova un’attrazione disturbante, e naturalmente da Singer, che nei suoi concerti immaginari spicca sempre in prima fila. E l’alter ego della stessa autrice, che per lei nutre una chiara predilizione, pur non risparmiandole cocenti delusioni.
Non vi svelerò, naturalmente, le sorti di questo gruppetto ben assortito: sarebbe un torto all’autrice, e alla sua sorprendente capacità di costruire un’intera trama attraverso sullo sviluppo psicologico dei suoi personaggi, attraverso introspezioni frammentate o fiumi di parole rivolte ad un silenzioso confessore.
Una risposta, però, ve la devo: mi ha fatto a pezzi il cuore? Forse no. Non è un romanzo che colpisce “come un’ascia il mare ghiacciato che è dentro di noi”.
Nelle prime serate in una nuova città, ciò che cerchi non è però una scossa violenta, ma qualcuno che ti faccia compagnia. La McCullers in questo è bravissima; la sua scrittura accompagna con garbo tra i meandri dell’animo umano, ed è un viaggio che rapisce e illumina:
“Il cielo si curvava dolcemente, come l’interno di una gigantesca sfera di cristallo turchino cupo, punteggiato dallo splendore freddo delle stelle. Tranquillo odore, tiepido odore di cedri. E, quando ormai non si spera più di ritrovare la musica fuggita, eccola che ritorna”.